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Il Tribunale di Brescia, con ordinanza n. 633 del 03.10.2023, ha rimesso alla Corte di Cassazione la seguente questione di diritto: “se il privilegio processuale di cui all’art. 41, comma 2 TUB sia opponibile a fronte dell’apertura di una delle procedure concorsuali di cui al CCII a carico del debitore esecutato ed in particolare della liquidazione controllata di cui agli artt. 269 ss. CCII”.

Il privilegio del creditore fondiario ex art. 41 TUB

L’art. 41 comma del D.lgs. 385 del 01.09.1193Testo Unico Bancario (di seguito “TUB”) – disciplina il procedimento di espropriazione relativo ai crediti fondiari, ossia i finanziamenti concessi dalla Banca dietro iscrizione di ipoteca di primo grado su immobili del debitore.

Il comma 2 della norma stabilisce che “l’azione esecutiva sui beni ipotecati a garanzia di finanziamenti fondiari può essere iniziata o proseguita dalla banca anche dopo la dichiarazione di fallimento del debitore. Il curatore ha facoltà di intervenire nell’esecuzione. La somma ricavata dall’esecuzione, eccedente la quota che in sede di riparto risulta spettante alla banca, viene attribuita al fallimento”.

Pertanto, se la procedura fallimentare viene aperta dopo che il processo esecutivo è già stato avviato da un creditore fondiario, a prevalere è l’esecuzione, tant’è che il curatore può intervenirvi.

Applicabilità art. 41 TUB alla liquidazione controllata ex art. 268 CCII

Gli artt. 268 e ss. Codice della crisi d’impresa (CCII) disciplinano la liquidazione controllata, ossia quella procedura nella quale la tutela dei diritti dei creditori è affidata ad un liquidatore.

Nel caso oggetto dell’ordinanza in commento, il debitore aveva chiesto al Giudice dell’esecuzione di sospendere la procedura esecutiva immobiliare instaurata nei suoi confronti ex art. 41 comma 2 TUB, in quanto, nel corso del giudizio, era stata attivata la procedura di liquidazione controllata del patrimonio. Il Giudice dell’esecuzione aveva respinto tale richiesta e quindi il debitore si è trovato a dover adire il Tribunale ribadendo l’applicabilità dell’art. 41 comma 2 TUB anche alle procedure concorsuali disciplinate dal CCII ed in particolare alla liquidazione controllata, e chiedendo pertanto la sospensione dell’ordinanza di rigetto.

La questione, pertanto, è la seguente: se il procedimento esecutivo instaurato ex art. 41 comma 2 TUB debba effettivamente prevalere sulla liquidazione controllata ex art. 268 CCII, oppure se tale procedimento debba cessare a seguito dell’apertura della liquidazione.

La prima tesi tutela la posizione della Banca, in quanto il credito di questa deve essere soddisfatto con preferenza rispetto ai crediti coinvolti nella procedura fallimentare, ragion per cui la Banca acquista la qualità di creditore privilegiato. La seconda tesi tutela la posizione dei creditori fallimentari perché in tal caso anche il credito della Banca viene attratto alla procedura concorsuale e quindi esso dovrà “concorrere” con gli altri crediti.

Ai sensi dell’art. 268 comma 1 CCII, il debitore può chiedere l’apertura della liquidazione controllata anche quando già pende nei suoi riguardi una procedura esecutiva individuale.

Pertanto, mentre il TUB prevede che la procedura esecutiva ivi prevista può essere proseguita anche dopo la dichiarazione di fallimento, il CCII prevede che la liquidazione controllata può essere attivata anche nei casi in cui a carico dello stesso debitore è già stato iniziato un processo esecutivo individuale, qual è, nel caso di specie, quello previsto dal TUB.

Come si concilia questo conflitto di norme?

In teoria il TUB, disciplinando in modo specifico la tutela dei crediti fondiari, potrebbe essere considerato come “norma speciale” rispetto al CCII, e quindi si dovrebbe applicare il principio di specialità (art. 15 c.p.) in base al quale la norma speciale deroga alla norma generale salvo che quest’ultima preveda diversamente. Siccome l’art. 268 comma 1 CCII (che è la norma generale) dà al debitore la possibilità di chiedere la liquidazione controllata anche quando è già in corso una procedura esecutiva individuale, dovrebbe essere data prevalenza a tale norma, con la conseguenza che il debitore dovrebbe avere il diritto alla sospensione della procedura esecutiva individuale.

Tuttavia va segnalato il seguente aspetto.

Il CCII, all’art. 166 comma 3 lett. B), stabilisce che “non sono soggette a revocatoria fallimentare le rimesse effettuate su un conto corrente bancario che non hanno ridotto in maniera durevole l’esposizione del debitore nei confronti della banca”.

La ratio della norma è questa: se la Banca finora ha riscosso poco dal debitore, non ha senso che il curatore eserciti l’azione revocatoria delle somme riscosse, in quanto è conveniente, nell’interesse della procedura fallimentare, aspettare che le riscossioni abbiano raggiunto un importo tale da costituire una fonte di utilità concreta per l’attivo fallimentare e quindi per una proficua redistribuzione tra i creditori concorsuali.

A meno che il debitore continui ad adempiere spontaneamente all’obbligazione di rimborso, l’unico modo che la Banca ha per ottenere tale adempimento, e quindi per far sì che le riscossioni raggiungano l’importo sopra citato, è proprio quello di intraprendere un’azione esecutiva individuale contro il debitore, ossia quella prevista dall’art. 41 comma 2 TUB.

In pratica, l’esercizio (o la prosecuzione) della suddetta azione è propedeutica all’esercitabilità dell’azione revocatoria, e quindi è di “aiuto” alla procedura fallimentare, ragion per cui in realtà tra l’azione individuale di cui al TUB e la liquidazione controllata dovrebbe essere ravvisato un rapporto non già di incompatibilità bensì di strumentalità della prima rispetto alla seconda.

Questo rapporto è evidente proprio (ed anche) nella disciplina della liquidazione controllata, in quanto la domanda di accesso ad essa, nel caso in cui venga presentata da un creditore contro un debitore persona fisica, non può essere accolta qualora l’OCC, su richiesta dello stesso debitore, attesti che non è possibile acquisire attivo da distribuire ai creditori “neppure mediante l’esercizio di azioni giudiziarie” (art. 268 comma 3 CCII).

La questione di legittimità costituzionale

A questo punto, però, si sente il bisogno di riflettere su quest’altro aspetto, che verte su una possibile censura di legittimità costituzionale dell’art. 166 comma 3 lett. B) CCII.

Se l’esercizio, da parte della Banca, dell’azione esecutiva individuale ex art. 41 comma 2 TUB è strumentale alla procedura fallimentare (vedi azione revocatoria), quale “interesse ad agire” la Banca dovrebbe avere ad esercitare tale azione, se poi il risultato della stessa, e cioè le somme riscosse dalla vendita forzata dei beni del debitore, è destinato a confluire nell’attivo fallimentare?

L’interesse ad agire è disciplinato dall’art. 100 c.p.c. e costituisce la condizione essenziale affinchè la pretesa azionata in giudizio possa trovare accoglimento, e quindi affinchè il diritto di difesa previsto dall’art. 24 Cost. possa essere utilmente esercitato, consentendo a chi agisce (in tal caso alla Banca) di conseguire dei vantaggi stabili per la propria sfera giuridica, e non dei benefici che invece sono funzionali ad una procedura, quella fallimentare, nella quale sono coinvolti altri creditori, altrimenti il diritto di difesa, da strumento per il soddisfacimento dei propri interessi, si riduce ad un mezzo per tutelare interessi altrui.

Pertanto, una riformulazione dell’art. 166 comma 3 lett. B) CCII, la quale volesse riconoscere alla dimensione costituzionale del diritto di difesa la sua giusta rilevanza, potrebbe essere quella di stabilire che   possono essere oggetto di revocatoria solo le rimesse eseguite dal debitore di propria iniziativa, mentre quelle che siano state frutto dell’azione esecutiva individuale promossa dalla Banca potranno essere oggetto di revocatoria solo nel limite del 20%. In questo modo, tra l’interesse ad agire della Banca e quello della procedura fallimentare si stabilirebbe un equo contemperamento.

Stessa modifica dovrebbe quindi essere apportata all’art. 268 comma 3 CCII, nel senso di prevedere che, ove un terzo (in tal caso la Banca) abbia riscosso dal debitore persona fisica delle somme mediante l’esperimento di un’azione giudiziale, soltanto una parte di tali somme possa essere acquisita all’attivo da distribuire.



 

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