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Trentadue banche, 77 obbligazionisti, oltre 2mila creditori, un debito esploso al totale “monstre” di 800 milioni di euro per un’azienda che Iren, l’unico soggetto rimasto in campo per il suo salvataggio, ha stimato valerne meno di 500. Da qui la richiesta che – sacrificati gli azionisti, a partire dalla famiglia Carini per arrivare al centinaio di soci pubblici tra i quali il Comune di Alba col suo 5% (l’offerta per loro è quello di venire ‘rimborsati’ con un 20% di Egea Acque) – tutti i creditori rinuncino a qualcosa, consapevoli che in caso contrario la prospettiva è quella di un fallimento dalle dimensioni e conseguenze rilevantissime per l’economia del territorio.   

I numeri di questo “bagno di sangue”, per la prima volta emersi nella loro gravità a descrivere la portata del rovescio che le fibrillazioni vissute sul mercato dell’energia a cavallo tra il 2022 e il 2023 ma anche il blocco dei crediti Ecobonus, fronte sul quale la multiservizi aveva raccolto commesse per 300 milioni di euro – hanno provocato rischiando di far collassare quel “gigante dai piedi d’argilla” (la definizione dell’ex sindaco Marello è ritornata d’attualità nella serata di ieri), per salvare il quale è in corso quella che il consigliere di gestione Giovanni Valotti non ha avuto remore a definire come “la composizione negoziata della crisi più complessa che si sta tentando attualmente in Italia”. 

Sulla reale portata dell’operazione in corso ai piedi delle Langhe lo stesso Valotti, docente di Economia Aziendale all’Università Bocconi di Milano ed ex presidente del colosso lombardo A2A, tra i professionisti ed esperti impegnati da mesi nella procedura volta a evitare il fallimento di Egea, è tornato in almeno un paio di occasioni nel corso della lunga audizione da lui tenuta di fronte alla 3ª commissione del Consiglio comunale albese. A convocare il consesso era stato il suo presidente Claudio Tibaldi con l’idea di aggiornare commissari, amministrazione comunale e mondo economico locale sullo stato della crisi del gruppo e sull’avanzamento di un iter che, solamente se tutti i tasselli di questo complesso puzzle andranno al loro posto entro il termine del 30 giugno, vedranno allora Egea ripartire con le insegne di una “newco” controllata al 50% da Iren e per la restante parte dalle banche creditrici. Col primo soggetto che metterebbe sul piatto risorse per 85 milioni di euro (“Ne offrivano 65, li abbiamo convinti a rivedere la loro offerta”, ha detto Valotti) impegnandosi a fare propria l’altra parte del capitale entro cinque anni, così che nel medio termine gli istituti bancari oggi creditori della multiservizi possano rientrare di almeno una parte della loro importante esposizione odierna. 

Per farlo occorre però portare a termine il percorso a tappe forzate che nel corso dell’audizione è stato descritto con dovizia di particolari dal professor Valotti e con lui dal dottor Massimiliano Feira, altro esperto impegnato da mesi sul salvataggio della multiservizi, così come il commercialista Riccardo Ranalli, l’esperto in crisi industriali nominato dalla Camera di Commercio di Torino lo scorso 22 giugno, quando, mentre era già in corso una prima fase della trattativa allora avviata con Iren e A2A, ai vertici della Spa albese ci si rese conto che la situazione non era più recuperabile senza un ombrello che riparasse dalle richieste che i creditori iniziavano ad avanzare sino all’extrema ratio dell’istanza fallimentare.  

La condizione perché il salvataggio vada in porto, si diceva, è che tutte le categorie di creditori acconsentano per almeno il 60% dei loro componenti al saldo e stralcio dei crediti loro proposto nell’ambito della procedura

Ai fornitori di Egea Spa, Egea Commerciale Srl ed Egea Produzione e Teleriscaldamento (Pt) Srl è stato allora offerto di accontentarsi di un 25% dei crediti maturati sino al 1° giugno 2023 (per partite successive il saldo sarà invece integrale, così come per i crediti di artigiani, società di artigiani fino a 15 dipendenti e professionisti iscritti ad albi, i cui crediti sono tutelati per legge). Inoltre potranno recuperare l’Iva pagata sull’intero credito e recuperare fiscalmente quando perduto, così che la percentuale del “recovery” possa salire al 53%. “Non c’è da festeggiare, ma si tratta di valori alti, rispetto ad altre analoghe procedure”, ha spiegato Feira. 

Gli obbligazionisti vantano crediti per 20 milioni di euro, oltre ad altri 10 garantiti però da Sace. A loro è stato proposto una stralcio al 30% che potrà salire sulla base dei margini che la nuova società conseguirà nei primi anni di attività. 

Poi ci sono le banche, che al 30 settembre scorso di crediti ne vantavano per 364 milioni di euro, 160 dei quali garantiti e per la parte restante chirografari. La prima tipologia di crediti potrà essere convertita nel 50% della nuova società, partecipazione che Iren si impegnerebbe a riscattare entro il 2029. Sui crediti non garantiti è stato invece proposto un saldo e stralcio al 30%. Come anche all’Erario, peraltro, che di milioni ne vanta oltre 200, e cui è stato prospettato uno stralcio del 70% pagando il restante 30% in dieci anni. 

LA SEDUTA [VIDEO]

 

A che punto siamo con gli accordi? “Coi fornitori è già stato raggiunto – ha spiegato Feira – mentre con gli obbligazionisti ci riuniremo la settimana prossima. C’è ancora una certa tensione nei rapporti tra banche e Iren, su alcuni tecnicismi. Se tutti daranno il loro via libera, il fisco avrà una sorta di obbligo di aderire se gli offriamo almeno il 30%. Se una qualunque delle altre categorie dicesse ‘no’ Egea andrà verso il concordato semplificato e il fallimento. Ugualmente, se l’esperto indipendente avvertisse che è venuta meno la possibilità di successo della procedura, immediatamente la dovrebbe sospendere”. 

E’ quanto si è rischiato di fare solamente la settimana scorsa, quando la Banca Europea per gli Investimenti ha comunicato l’intenzione di non voler aderire, situazione poi rientrata. “Ognuno di questi passaggi – ha proseguito Feira – è al limite del drammatico, siamo veramente appesi a un filo. L’ipotesi che si possa negoziare per portare qualcosa di più è improbabile. Questo – è stata la sua chiosa prima che la parola passasse ai commissari – è il punto di equilibrio massimo raggiungibile per le diverse categorie di creditori e portatori di interesse. Se tutto andrà come speriamo”. 



 

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