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Attraverso la sentenza in commento, la Quinta Sezione della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema del difficile rapporto tra i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva e autoriciclaggio, affermando un importante principio di diritto secondo cui “affinché sia integrata una condotta di autoriciclaggio che sia distinta dal momento distrattivo – e quindi, da quello in cui si realizza l’attività predatoria ai danni dell’impresa fallita che costituisce l’in se della bancarotta fraudolenta per distrazione – [è richiesto] un quid pluris, cioè un’attività ulteriore rispetto alla sottrazione della risorsa all’impresa fallita, che eviti indebite sovrapposizioni applicative tra le due disposizioni. [Cosicché] […] non integra il reato di cui all’art. 648-ter 1 cod. pen. il mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare a favore di imprese operative, occorrendo a tal fine un quid pluris che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene”.

Questa, brevemente, la vicenda processuale.

La pronuncia in esame tra origine dal ricorso presentato dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Genova avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame in sede che, pronunciandosi sulla richiesta di riesame avanzata dall’indagato, ha annullato parzialmente – con riferimento ai delitti di autoriciclaggio – l’ordinanza con la quale il Giudice per le Indagini Preliminari di Genova applicava nei suoi confronti la misura cautelare degli arresti domiciliari.

Più nel dettaglio, l’indagato era stato attinto dal provvedimento cautelare in quanto ritenuto gravemente indiziato in ordine a plurime condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale distrattiva in relazione al fallimento di una S.p.A, della quale il medesimo era Presidente del Consiglio di Amministrazione e Rappresentante Legale, nonché in ordine a talune condotte di autoriciclaggio. Senonché, il Tribunale del Riesame annullava (in parte) il sopra menzionato provvedimento cautelare per carenza di gravità indiziaria, ritenendo che non vi fosse alterità della condotta contestata all’indagato – consistente nel trasferimento dei fondi dalla società poi fallita alle società beneficiarie – rispetto a quella di bancarotta, risolvendosi il fatto di autoriciclaggio nella stessa operazione depauperativa di cui all’art. 216 L.F..

Ebbene, avverso tale decisione proponeva impugnazione il Pubblico Ministero sostenendo che, con specifico riferimento al caso di specie, il trasferimento delle somme di denaro distratte dal patrimonio della Fallita in favore delle altre società beneficiarie costituisse, invero, un fatto diverso e successivo rispetto alla condotta distrattiva contestata, e che l’introduzione del denaro nel patrimonio delle beneficiarie aveva quale finalità proprio quella di mascherare la sua effettiva provenienza illecita.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha affermato il principio di diritto sopra enunciato. Nello specifico, l’iter logico-argomentativo seguìto dai Giudici di legittimità parte dal presupposto per cui “un primo fondamentale rilievo […] attiene alla struttura stessa della fattispecie di cui all’art. 648-ter 1 cod. pen., struttura che vede la condotta di autoriciclaggio collocarsi temporalmente dopo la commissione del reato presupposto. Il legislatore, infatti, ha tenuto distinti i due momenti, quello di commissione del primo reato che ha generato i beni, il denaro o le altre utilità e quello in cui queste ultime vengono impiegate, sostituite o trasferite in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative”.

Peraltro, precisa la Suprema Corte, seppur sia vero che ai fini della integrazione della fattispecie di reato di cui all’art. 648-ter 1 c.p.ciò che rileva è il reimpiego in attività economiche lecite del denaro o dei beni di provenienza illecita, è altresì vero che affinché si configuri il reato di autoriciclaggio è necessario un quid pluris che denoti l’idoneità della condotta a fungere da ostacolo all’identificazione della provenienza delittuosa del denaro o dei beni distratti – quale tratto caratterizzante dell’autoriciclaggio rispetto al reato di bancarotta che ne è il presupposto.

Sulla base di siffatte premesse, la Corte di Cassazione ha chiarito che “non integra il reato di cui all’art. 648-ter 1 cod. pen. il mero trasferimento di somme oggetto di distrazione fallimentare a favore di imprese operative, occorrendo a tal fine un quid pluris che denoti l’attitudine dissimulatoria della condotta rispetto alla provenienza delittuosa del bene”.

Orbene, si tratta di una pronuncia indubbiamente interessante che, nel delineare i tratti distintivi delle due fattispecie di reato in oggetto, offre ai Giudici di merito fondamentali indicazioni esegetiche al fine di evitare che la medesima condotta venga addebitata all’autore del fatto sia come distrazione patrimoniale che come impiego rilevante ai fini della configurazione del reato di autoriciclaggio, in tal modo realizzando un’indebita sovrapposizione sanzionatoria afferente la medesima condotta illecita.

Con la presente sentenza, infatti, la Quinta Sezione ha ulteriormente accreditato quell’orientamento giurisprudenziale che mira a tenere distinte le due ipotesi di reato, escludendo che, qualora la distrazione riguardi somme di denaro traferite dalla società poi fallita alle società beneficiarie, la sola consumazione del delitto presupposto possa integrare ex se, oltre al reato di bancarotta, anche la diversa ipotesi di autoriciclaggio.

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*A cura dell’Avv. Fabrizio Ventimiglia, Founder Studio Legale Ventimiglia e Presidente Centro Studi Borgogna, e della Dott.ssa Chiara Caputo, Studio Legale Ventimiglia

 

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