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Recenti sviluppi in tema di intervento e di opposizione di terzo ordinaria nel processo amministrativo (nota a CGARS, 13 gennaio 2021, n. 27)  di Michele Ricciardo Calderaro

Sommario: 1. Premessa: il caso di specie. – 2. La controversa ammissibilità dell’intervento nel giudizio amministrativo. – 3. La legittimazione ad agire dei controinteressati e l’esperibilità dell’opposizione di terzo.  – 4. La soluzione fornita dal CGARS sul rapporto tra opposizione di terzo ed intervento nel giudizio di appello: l’orientamento in materia di ammissibilità dell’opposizione di terzo è consolidato.

1. Premessa: il caso di specie.

La sentenza che si annota nel merito è stata chiamata a pronunziarsi sull’utilizzo e sulla gestione delle concessioni demaniali.

Difatti, la Società ricorrente in primo grado era stata autorizzata con provvedimento dell’11 ottobre 2012 al subingresso nella concessione demaniale avente a oggetto un’area di mq. 100 in località Torre Conca del Comune di Pollina da adibire a servizi per la balneazione, concessione rinnovata il 27 marzo 2015 ed infine prorogata ope legis al 31 dicembre 2020.

Successivamente, la stessa società con istanza del 26 novembre 2014 aveva chiesto, ai sensi dell’art. 24 del regolamento di esecuzione del codice della navigazione, di essere autorizzata ad adeguare la concessione alle norme igienico – sanitarie e al decreto dell’Assessorato regionale del territorio e dell’ambiente del 4 luglio 2011, e, soprattutto, ad ampliare l’area concessa di mq 2.552,23 (successivamente ridotti a mq 1.997,00) per la sistemazione di sedie a sdraio e ombrelloni.

L’Assessorato regionale, previo preavviso di rigetto del 25 maggio 2017, con provvedimento del 18 luglio 2017 aveva però rigettato tale istanza.

La ricorrente impugnava il provvedimento regionale dinnanzi al T.A.R. Palermo dolendosi di una carenza d’istruttoria e di motivazione, nonché di una violazione delle garanzie procedimentali.

A sostegno della posizione dell’Amministrazione regionale si costituiva in giudizio il Comune di Pollina attraverso un intervento ad opponendum.

La stessa ricorrente con successivo atto di motivi aggiunti impugnava anche il provvedimento dell’Assessorato regionale, che sulla base della nota del Comune di Pollina n. 9659 del 15 febbraio 2018 l’aveva dichiarata decaduta dalla concessione demaniale n. 399/2012 ai sensi delle clausole nn. 15 e 17 della concessione n. 388/2006 e dell’art. 47 lett. a), b) e f) del codice della navigazione, con la motivazione che il titolo non era mai stato attivato, e comunque non erano mai state rilasciate le autorizzazioni necessarie per la gestione dello stabilimento balneare.

Con un secondo atto di motivi aggiunti, notificato il 12 ottobre 2018, la società ricorrente impugnava, infine, il decreto n. 538 del 14 agosto 2018 col quale l’Assessorato aveva rilasciato al medesimo Comune di Pollina, ai sensi dell’art. 36 del regolamento di esecuzione del codice della navigazione, la concessione demaniale marittima per una superficie complessiva di 3.000 mq. (dei quali mq. 1.725,00 di area scoperta e mq. 1.275,00 di area coperta con opere di facile rimozione) sulla spiaggia a ovest di capo Raisi Gerbi del Comune.

Il T.A.R. Palermo, con sentenza n. 903 dell’8 maggio 2020, accoglieva il ricorso e i motivi aggiunti e annullava gli atti impugnati sulla base delle seguenti motivazioni: la decadenza della ricorrente dalla concessione demaniale era stata arbitrariamente disposta in violazione delle garanzie procedimentali e senza adeguata istruttoria; il rigetto dell’istanza di ampliamento proposta dalla stessa società era viziato da carenza istruttoria e di motivazione: tale istanza andava intesa quale domanda nuova e autonoma, sulla quale l’Assessorato regionale avrebbe dovuto determinarsi; il Comune avrebbe potuto ottenere l’assegnazione della concessione demaniale solo per destinare l’area in questione ad altri usi pubblici e non già per disporne a favore di privati terzi, nel qual caso avrebbe dovuto indire un’apposita procedura comparativa.

La sentenza è stata appellata dinnanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia dall’Amministrazione regionale e dal Comune di Pollina e nella stessa direzione è stato spiegato anche un’opposizione di terzo mediante intervento ad adiuvandum da parte della Società partner del Comune nell’iniziativa di utilizzo sull’area demaniale sulla base di un accordo di partenariato tra loro concluso il 22 febbraio 2019.

Il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, con ordinanza 17-22 giugno 2020, ha accolto per quanto di ragione l’istanza cautelare proposta dal Comune di Pollina e dalla Società proponente l’opposizione di terzo, per l’effetto sospendendo interinalmente l’efficacia della sentenza appellata nella parte in cui aveva annullato il titolo concessorio rilasciato al primo, motivando in questi termini: “rilevato che la complessità della controversia, che vede l’articolata sentenza in epigrafe sottoposta a contestazione da parte di tre soggetti distinti, rende chiaro come la sede naturale di trattazione dei suoi molteplici aspetti problematici –sostanziali e processuali, questi secondi soprattutto di legittimazione ad appellare- sia quella del giudizio di merito, la cui udienza pubblica conviene pertanto sin d’ora fissare…;

considerato, con riferimento all’assetto interinale della materia del contendere, che la ricorrente vittoriosa in prime cure non dispone, almeno allo stato, di un titolo amministrativo idoneo a permetterle un accesso al godimento dell’area demaniale in contesa, dovendo/potendo l’Amministrazione regionale ancora rideterminarsi sui temi oggetto del primitivo ricorso e del primo atto di motivi aggiunti, e per l’ulteriore ragione che alla stregua della sentenza di prime cure occorrerebbe, in sostanza, svolgere una procedura di valutazione comparativa tra gli aspiranti in lite;

osservato, per contro, che le ragioni a base delle domande cautelari proposte dal Comune appellante nonché dalla società proponente l’opposizione di terzo (n.d.a.), le quali appaiono sorrette da una sufficiente prospettazione di periculum in mora e fumus boni iuris (anche grazie alle convergenti censure rivolte alla sentenza in epigrafe dall’Amministrazione regionale), sono invece suscettibili di una misura cautelare autoesecutiva, la quale pertanto può essere accordata nei limiti necessari a permettere, nelle more del giudizio, la prosecuzione delle attività di godimento dell’area sulla base del titolo a suo tempo rilasciato dalla Regione al Comune”.

L’organo di appello della giustizia amministrativa siciliana, pertanto, ha ritenuto di accogliere l’istanza cautelare presentata dal Comune di Pollina, anzitutto in quanto le questioni, sia di rito che di merito, meritavano un adeguato approfondimento in sede di merito, ma specialmente poiché, con riferimento alla valutazione del periculum in moraeffettuata sulla base di una comparazione degli interessi pubblici e privati in gioco, ha ritenuto prevalente l’interesse dell’Amministrazione regionale a rideterminarsi in materia e ad esercitare il correlativo potere, nonché l’interesse del Comune a mantenere il godimento dell’area demaniale sulla base del titolo all’epoca rilasciato dalla Regione. 

In sede di discussione del merito, e quindi con la sentenza che si annota, è stato confermato invece l’annullamento della declaratoria di decadenza della concessione pronunciata dall’Amministrazione regionale in quanto assunta in violazione delle garanzie procedimentali e senza adeguata istruttoria.

La pronunzia del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia, che in fatto è stata chiamata a pronunziarsi in materia di utilizzo delle concessioni demaniali, è meritevole però in questa sede di attenzione anzitutto quanto alle questioni di rito, specialmente per quanto concerne l’esperibilità dell’intervento e dell’opposizione di terzo nel processo amministrativo e conseguentemente l’individuazione dei terzi controinteressati dal giudizio.

 2. La controversa ammissibilità dell’intervento nel giudizio amministrativo.

Come anticipato, la sentenza che si annota obbliga a compiere alcune riflessioni sulla posizione dei terzi nel processo amministrativo, ed in particolare sulla possibilità di esperire l’intervento in giudizio o di utilizzare lo strumento dell’opposizione di terzo.

In linea generale, l’intervento in giudizio è l’ingresso di un terzo in un processo pendente e può soggiacere a diverse classificazioni teoriche.

La ragione pratica dell’istituto consiste nell’interdipendenza delle posizioni giuridiche e dei rapporti giuridici; sebbene i terzi non possano essere pregiudicati formalmente dalla sentenza pronunciata tra altri, i rapporti giuridici di cui sono titolari possono sostanzialmente subire delle conseguenze indirette dalla sentenza altrui, determinando ciò la possibilità di un loro interesse all’esito di un processo di cui non sono parti.

Anzitutto, l’intervento può essere qualificato come volontario o coatto a seconda che l’ingresso del terzo in giudizio avvenga sulla base di una sua propria autonoma scelta o per scelta di una delle parti già costituite, qualora si ritenga la causa comune al terzo oppure si voglia essere garantiti dallo stesso, o ancora per ordine del giudice laddove sia necessario integrare il contraddittorio oppure qualora il giudice ritenga la causa comune al terzo e, dunque, opportuno lo svolgimento del simultaneus processus anche nei confronti di quest’ultimo.

L’intervento volontario, a sua volta, può essere classificato in tre ulteriori categorie: occorre, difatti, distinguere tra intervento principale, intervento litisconsortile ed intervento adesivo dipendente.

Si parla di intervento principale (anche detto ad excludendum) allorquando l’interventore fa valere, nei confronti di tutte le parti, un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo, di intervento litisconsortile o adesivo autonomo allorquando il terzo interventore deduce in giudizio un rapporto connesso per l’oggetto o per il titolo nei confronti di alcune soltanto delle parti in causa, mentre l’intervento adesivo dipendente si ha quando il terzo, avendo un proprio interesse, interviene per sostenere le ragioni di una delle parti, al fine di ottenere una sentenza favorevole alla parte adiuvata.

Se il codice di procedura civile disciplina compiutamente le diverse tipologie di intervento, più complessa è la situazione nel processo amministrativo.

Diverse sono le problematiche sollevate nei confronti dell’ammissibilità dell’intervento nel processo amministrativo, causate, in primo luogo, dalla mancanza, sino al codice del 2010, di un’organica disciplina dettata dal legislatore, circostanza che ha posto il problema dell’applicabilità per analogia della disciplina prevista dal codice di rito civile.

La risposta formatasi era nel senso di escludere una generalizzata trasposizione delle norme processualcivilistiche nel processo amministrativo, atteso che queste sono state concepite e dettate con riferimento ad un modello di processo da citazione mentre il processo amministrativo è un tipico esempio di processo da ricorso, che si instaura dunque con un atto che si dirige subito al giudice, contenendo l’editio actionis ma non la vocatio in jus.

Ed infatti, sino al codice del 2010 la disciplina dell’intervento era contenuta in sole due disposizioni, ovvero nell’art. 22, legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e nell’art. 37, r.d. 17 agosto 1907, n. 624, regolamento per la procedura dinnanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato.

Entrambe le disposizioni si limitavano a stabilire la possibilità di intervenire in giudizio per coloro che avessero un interesse nella contestazione ed a disciplinare le modalità di notifica e del successivo deposito dell’atto di intervento.

Sulla base di questa sintetica quanto laconica disciplina, l’orientamento tradizionale, che, come anticipato, esclude una generalizzata applicabilità delle norme dettate per il processo civile, afferma che il processo amministrativo non dovrebbe conoscere l’intervento principale e quindi la proposizione di una domanda autonoma da parte del terzo, avente ad oggetto una situazione soggettiva propria, diversa rispetto a quella già dedotte dalle altre parti e con esse incompatibili, in quanto è difficile individuare in questo tipo di giudizio soggetti che abbiano un interesse eterogeneo ed opposto rispetto a quello del ricorrente ed a quello della parte resistente.

Questa conclusione ha trovato conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, in specie nei propri arresti antecedenti al codice del 2010.

In particolare, i giudici amministrativi hanno ribadito che il terzo interventore, non potendo essere titolare di un interesse diretto nella controversia, non può assumere una posizione autonoma ma solo aderire alla posizione di una delle due parti principali, escludendo, pertanto, la possibilità di esperire un intervento principale o anche solo litisconsortile.

Esperibilità dell’intervento principale o litisconsortile che, secondo un autorevole orientamento formatosi in dottrina, risulterebbe esclusa anche perché, trattandosi di interventi finalizzati alla tutela diretta di interessi dei terzi, sarebbe incompatibile con la regola della perentorietà dei termini per agire nel giudizio amministrativo.

Non sembra potersi condividere tale conclusione, non soltanto perché, a seguito della emanazione del codice, la totale preclusione all’intervento principale ed a quello litisconsortile sembra essere venuta meno, pur continuando a rimanere perentori i termini per l’esercizio dell’azione nel giudizio amministrativo, ma anche in virtù del fatto che, se è vero che nel processo civile non vi sono termini di decadenza ma solo di prescrizione per l’esercizio dei propri diritti, bisogna altresì tenere in considerazione che l’intervento volontario e quello litisconsortile non sono consentiti ad libitum ma soltanto sino a quando le parti originarie hanno la facoltà di svolgere attività assertoria, costituendo l’atto di intervento esperito in un momento successivo, e cioè sino al momento della precisazione delle conclusioni, un intervento tardivo, possibile solo in forma adesiva.

Il codice di procedura civile ed il codice del processo amministrativo, rispettivamente agli articoli 268 e 28, prevedono pertanto che il terzo potrà intervenire solamente accettando lo stato ed il grado in cui il giudizio si trova senza poter compiere alcun atto difensivo rispetto al quale sia già maturato un termine preclusivo nei confronti delle altre parti: la conseguenza è che nel processo civile il terzo non potrà intervenire oltre l’udienza di trattazione o nel termine eventualmente fissato dal giudice a’ sensi del sesto comma dell’art. 183, cod. proc. civ., ovvero sino a quando alle parti originarie è consentita attività assertoria, dovendosi tenere in considerazione la possibilità di emendatioma non di mutatio libelli, con la conseguenza che l’intervento successivo, ammesso dall’art. 268, comma 1, cod. proc. civ. sino alla precisazione delle conclusioni, deve considerarsi, secondo l’orientamento prevalente, tardivo e limitato ai casi dell’intervento adesivo dipendente o del colegittimato all’azione.

Nel processo amministrativo, in modo analogo e ragionando in via astratta, l’intervento principale e litisconsortile non saranno più possibili decorso il termine di decadenza, al fine di evitare che l’intervento divenga lo strumento processuale cui ricorrere allorquando si è decaduti dall’azione di annullamento, potendo così dar luogo ad un possibile abuso del processo, dato l’utilizzo di uno strumento processuale per finalità ad esso estranee.

La conseguenza è che, se l’interventore formula al giudice amministrativo la propria domanda entro il termine di decadenza per la proposizione dell’azione, non vi dovrebbero essere ostacoli, riferibili ai termini processuali, che impediscano di ammettere ogni forma di intervento volontario.

Occorre, tuttavia, tenere in considerazione le peculiarità del processo amministrativo; ed infatti, come anticipato, nel giudizio di impugnazione è difficile ipotizzare l’esistenza di soggetti che assumano una posizione contrapposta ad entrambe le parti del giudizio attraverso la proposizione di un atto di intervento principale.

D’altronde, diversi sono i connotati dell’azione proponibile in tale tipologia di giudizio rispetto a quelli propri dell’azione nel processo civile.

L’azione nel processo amministrativo, nella sua tradizionale configurazione impugnatoria, ha carattere unilaterale, nel senso che il giudice è tenuto ad accertare soltanto la fondatezza delle censure dedotte dal ricorrente in relazione al provvedimento impugnato, contrariamente al processo civile ove l’azione è bilaterale, concorrendo ad essa il convenuto, che, se pure si limita esclusivamente a concludere per il rigetto della citazione o del ricorso dell’attore, sostanzialmente propone al giudice una domanda di accertamento del rapporto dedotto in giudizio.

Pertanto, seguendo la ricostruzione tradizionale, l’estraneità, rispetto al processo amministrativo d’impugnazione, della figura dell’intervento volontario nelle sue varie forme e con l’ampiezza nota al processo civile, deve farsi risalire ai concetti dell’immutabilità delle posizioni soggettive, per cui chi ha titolo per proporre ricorso non può in alternativa entrare nel giudizio come interventore, e della disponibilità di un solo mezzo di difesa, a seconda della posizione nella quale si trova l’interesse che si vuole tutelare rispetto al provvedimento impugnato.

Se vi è difficoltà, data la natura peculiare del giudizio amministrativo, specialmente nel suo modello originario e tradizionale di giudizio di impugnazione, ad ammettere l’intervento di un terzo portatore di un interesse incompatibile sia con quello del ricorrente sia con quello dell’Amministrazione resistente, pacifica è sempre stata l’ammissibilità dell’intervento adesivo dipendente nel giudizio amministrativo.

L’intervento adesivo dipendente, che si ha allorquando il terzo entra nel processo sostenendo le ragioni di una delle parti, si articola, come noto, in intervento ad adiuvandum allorché l’interventore aderisca alla posizione ed alle domande proposte dal ricorrente ed in intervento ad opponendum quando l’interventore aderisce alla posizione della parte resistente o del controinteressato, opponendosi, in tal modo, alle domande avanzate dal ricorrente.

L’orientamento della giurisprudenza amministrativa è oramai consolidato nel ritenere ammissibile questa tipologia di intervento nel giudizio amministrativo.

Come è stato chiarito, due debbono essere le condizioni esistenti affinché l’intervento adesivo dipendente possa essere ritenuto ammissibile: la prima, di ordine negativo, si traduce nella necessaria alterità dell’interesse vantato dall’interventore rispetto a quello che legittimerebbe la proposizione del ricorso in via principale; la seconda, invece, a carattere positivo, esige che l’interventore sia in grado di ricevere un vantaggio, anche in via mediata e indiretta, dall’accoglimento del ricorso principale, ovviamente qualora sia proposto un intervento ad adiuvandum.

 Di conseguenza, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato, risulta inammissibile l’intervento ad adiuvandum spiegato nel processo amministrativo da chi sia ex se legittimato a proporre direttamente il ricorso giurisdizionale in via principale, considerato che in tale ipotesi l’interveniente non fa valere un mero interesse di fatto, bensì un interesse personale all’impugnazione di provvedimenti immediatamente lesivi, che può farsi valere solo mediante proposizione di un ricorso principale nei prescritti termini decadenziali.

È invece ammesso l’intervento adesivo dipendente, volto cioè a tutelare un interesse collegato a quello fatto valere dal ricorrente principale, con la conseguenza che la posizione dell’interessato è meramente accessoria e subordinata rispetto a quella della corrispondente parte principale.

Difatti, la posizione che legittima a spiegare intervento ad adiuvandum nel giudizio amministrativo consiste nella titolarità di un interesse non direttamente leso dal provvedimento da altri impugnato: ad esempio, non è stato ritenuto ammissibile l’intervento adesivo dell’amministrazione controllata nel giudizio per l’annullamento di un atto negativo di controllo, e cioè di un atto repressivo dell’esercizio di un potere, del quale è attributaria mentre è, al contrario, ammesso l’intervento del successore a titolo particolare nel rapporto controverso.

Ciò perché, sempre secondo il Consiglio di Stato, l’intervento nel processo amministrativo, sia nella previgente disciplina sia secondo il disposto di cui all’art. 28 co. 2, c.p.a., non determina un litisconsorzio autonomo, bensì adesivo dipendente, a sostegno delle ragioni di una delle parti, consentito a condizione che il soggetto, se legittimato, non sia decaduto dal diritto di impugnare il provvedimento amministrativo.

Nel processo amministrativo, insomma, l’intervento adesivo può essere svolto da soggetti che, non essendo stati parti nel rapporto sostanziale dedotto in giudizio, hanno comunque un interesse da far valere in giudizio, a condizione che la situazione giuridica fatta valere risulti dipendente o secondaria rispetto all’interesse fatto valere in via principale.

Ne consegue, sulla scorta dell’anticipato orientamento della giurisprudenza amministrativa, che è inammissibile l’intervento di chi sia comunque legittimato a proporre direttamente ricorso in via principale avverso il medesimo atto impugnato da terzi nel procedimento in cui ritiene di intervenire, eludendosi altrimenti il rispetto dei termini decadenziali individuati dalla legge.

La circostanza che l’intervento adesivo dipendente, nelle forme dell’intervento ad adiuvandum o ad opponendum, possa essere proposto solo da un soggetto titolare di una posizione giuridica collegata o dipendente da quella del ricorrente in via principale comporta, così come ribadito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel corso del 2020, che non è sufficiente a consentire l’intervento la sola circostanza che l’interventore sia parte di un diverso giudizio in cui venga in rilievo una quaestio iuris analoga a quella oggetto del giudizio nel quale intende intervenire.

Peraltro, laddove si ammettesse la possibilità di spiegare l’intervento volontario a fronte della sola analogia fra le quaestiones iuris controverse nei due giudizi, si finirebbe per introdurre nel processo amministrativo una nozione di interesse del tutto peculiare e svincolata dalla tipica valenza endoprocessuale connessa a tale nozione e potenzialmente foriera di iniziative anche emulative, scisse dall’oggetto specifico del giudizio cui l’intervento si riferisce.

Risulterebbe pertanto sistematicamente incongruo ammettere l’intervento volontario in ipotesi che si risolvessero nel demandare ad un giudice diverso da quello naturale (art. 25, co. 1, Cost.) il compito di verificare in concreto l’effettività dell’interesse all’intervento (e, con essa, la concreta rilevanza della questione ai fini della definizione del giudizio a quo), in assenza di un adeguato quadro conoscitivo di carattere processuale, ove si pensi alla necessaria verifica che il giudice ad quem sarebbe chiamato a svolgere, ai fini del richiamato giudizio di rilevanza, circa l’effettiva sussistenza in capo all’interveniente dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del giudizio a quo.

Questo ovviamente per quanto concerne la giurisdizione di legittimità ove si pone il problema del rispetto dei termini decadenziali per l’impugnazione dei provvedimenti.

Diversa parrebbe la situazione relativamente alle controversie che rientrano nella giurisdizione esclusiva.

Difatti, si dovrebbe ritenere che nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva che vertono sulla tutela dei diritti soggettivi siano utilizzabili tutte le forme di intervento disciplinate dal codice di procedura civile, non potendosi pervenire a soluzione diversa se si vuole che il processo amministrativo, seguendo altresì i dettami del diritto e della giurisprudenza europea, sia effettiva attuazione della funzione giurisdizionale, cioè renda giustizia.

Ed invero, la configurazione della nuova giurisdizione amministrativa esclusiva in termini di “giurisdizione piena” non consente una limitazione delle facoltà processuali delle parti, ove esse non siano espressamente escluse dalle norme processuali amministrative o, comunque, rispetto ad esso incompatibili.

Così, in queste ipotesi, dovrebbe ritenersi ammissibile l’intervento non solo adesivo ma anche principale: ogni soggetto che si pretenda interessato può intervenire in giudizio rispettando le forme e i termini propri dell’atto di intervento, salva la successiva verifica all’udienza cautelare o pubblica dell’ammissibilità e della fondatezza dell’intervento stesso.

Se si configura il giudizio amministrativo non più necessariamente come un giudizio su un atto ma come un giudizio su un rapporto e sulle sottese situazioni giuridiche, che possono essere anche di diritto soggettivo, è evidente che in questi casi, avvicinando sempre di più il processo amministrativo a quello civile, quanto a facoltà e poteri processuali, non si può non consentire la possibilità di intervenire in giudizio secondo tutte le modalità di intervento volontario previste dal codice di procedura civile.

3. La legittimazione ad agire dei controinteressati e l’esperibilità dell’opposizione di terzo.

Gli istituti dell’intervento in giudizio e dell’opposizione di terzo sono tra di loro strettamente interconnessi e non possono essere trattati disgiuntamente.

Quanto appena descritto in tema di intervento è perciò una necessaria precondizione per comprendere al meglio la portata dell’istituto dell’opposizione di terzo.

Occorre, anzitutto, dare conto del fatto che l’opposizione di terzo non è sempre stata prevista tra i mezzi impugnatori della sentenza del giudice amministrativo.

La Corte costituzionale, difatti, con la sentenza di tipo addittivo n. 177 del 1995, aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 28 della Legge n. 1034 del 1971 nella parte in cui non prevedeva l’opposizione di terzo tra i rimedi impugnatori nei confronti delle sentenze del giudice amministrativo, strumento necessario al terzo toccato dal giudicato al fine di far valere le sue ragioni dotandolo di un apposito mezzo di impugnazione equivalente a quello che, in altri processi, consente di soddisfare le medesime esigenze, atteso che l’azione amministrativa, direttamente o di riflesso, coinvolge per sua natura una pluralità di soggetti che non sempre sono ritenuti parte necessaria nelle controversie oggetto del giudizio.

L’interconnessione con l’intervento in giudizio è palese laddove si consideri che, se al terzo deve essere consentito l’utilizzo di questo strumento impugnatorio, parimenti si deve ribadire possibile, quantomeno relativamente alle ipotesi di giurisdizione esclusiva vertenti su diritti soggettivi, esperire tutte le tipologie di intervento volontario previste nel nostro ordinamento, tenendo in considerazione che l’intervento volontario costituisce, come noto, una sorta di opposizione di terzo “anticipata”, nel senso che permette di introdursi in quel giudizio rispetto al quale si ha un particolare interesse e che si concluderà con una sentenza rispetto alla quale si potrebbe attivare il rimedio dell’opposizione del terzo.

Tutto ciò evita, rispettando i principi della pienezza del contradditorio e dell’effettività della tutela giurisdizionale del singolo processo, di ricorrere ad uno strumento di eliminazione del giudicato formatosi, valorizzando la regola aurea della certezza dei rapporti giuridici così come definiti dalla sentenza che conclude il giudizio.

Come anticipato, però, il percorso che ha portato all’inclusione dell’opposizione di terzo tra i mezzi impugnatori nel processo amministrativo è stato lungo e tormentato, non solo per la mancata previsione da parte del legislatore ma anche per l’atteggiamento, che si potrebbe definire non creativo, della giurisprudenza amministrativa.

La IV Sezione del Consiglio di Stato, sin dal 1892, ha ritenuto di negare accesso ad istanze in forma di opposizione di terzo in quanto estranee al procedimento contenzioso amministrativo. La spiegazione può essere rinvenuta, oltreché nel silenzio normativo, anche nella tradizionale configurazione impugnatoria del giudizio amministrativo, che pareva escludere la possibilità di consentire un tal mezzo impugnatorio ai terzi, in quanto, se il provvedimento oggetto del giudizio di annullamento ha un’efficacia erga omnes, la stessa efficacia deve essere necessariamente riconosciuta alla sentenza che conclude il giudizio.

Il problema principale che emerse in un processo che si stava configurando come un processo di parti riguardava la posizione dei controinteressati pretermessi dal giudizio di primo grado, rispetto ai quali autorevole parte della dottrina evidenziò la necessità di ammettere l’esperibilità dell’opposizione di terzo come necessaria garanzia del contraddittorio in favore di soggetti che altrimenti non avrebbero altro modo di tutelare le proprie posizioni soggettive.

Per quanto si ritenesse che la giurisprudenza amministrativa non potesse colmare la lacuna normativa o meglio non potesse estendere in via analogica la disciplina prevista per il processo civile, emergeva con forza il problema della tutela dei terzi, ed in particolare dei controinteressati, e della necessaria attuazione della garanzia del contraddittorio, con la conseguenza che specialmente il Consiglio di Stato cercò di estendere la legittimazione dell’intervento in appello in senso ampiamente esteso a “qualunque interessato che non sia anche parte necessaria del processo”, in considerazione del fatto che il giudizio, tra altre parti pendente, “possa pregiudicare in linea di fatto la posizione soggettiva” del terzo escluso dal giudizio.

Risolutivo è stato l’intervento, probabilmente tardivo, della Corte costituzionale con la sentenza n. 177 del 1995.

La Corte, come noto, ha ritenuto la mancanza nella disciplina del processo amministrativo dell’opposizione di terzo ordinaria avverso le sentenze del Consiglio di Stato in contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione.

Ciò semplicemente sulla base della ratio dell’istituto.

L’esigenza del rimedio è, in base agli orientamenti prevalenti, desunta dalla constatazione della possibilità che – nonostante la regola generale, dettata dall’art. 2909 cod. civ., dell’ inefficacia della sentenza nei confronti di soggetti diversi dalle parti del processo a conclusione del quale essa sia stata pronunciata – si presentino casi in cui, per effetto della cosa giudicata, venga a determinarsi una obbiettiva incompatibilità fra la situazione giuridica definita dalla sentenza e quella di cui sia titolare un soggetto terzo rispetto ai destinatari della stessa.

L’opposizione di terzo ordinaria trae perciò ispirazione da tale evenienza e consente a coloro che non sono stati coinvolti nel processo di far valere le loro ragioni, infrangendo lo schermo del giudicato per rimuovere il pregiudizio che da esso possa loro derivare. Ciò sia nel caso che la situazione vantata dall’opponente ed incompatibile con quella affermata dal giudicato venga considerata dal diritto sostanziale prevalente rispetto a quest’ultima, sia nel caso che la sentenza cui ci si oppone risulti pronunciata senza il rispetto di regole processuali.

Evenienze del genere si manifestano certamente anche nel processo amministrativo. Anzi, a causa dell’intreccio dei rapporti naturalmente implicati dall’attività amministrativa e dai relativi procedimenti oggetto di sindacato giurisdizionale, è probabile che detta evenienza possa manifestarsi più frequentemente proprio in questo processo e non soltanto nei casi in cui un controinteressato, parte necessaria, sia stato pretermesso e non abbia potuto far valere le sue ragioni. 

Non di rado, difatti, l’azione amministrativa, direttamente o di riflesso, coinvolge per sua natura una pluralità di soggetti che non sempre sono ritenuti parte necessaria nelle controversie oggetto del giudizio. 

Data la peculiare natura del processo amministrativo che, come attualmente configurato, si svolge normalmente tra i soggetti interessati dall’atto impugnato, è possibile che la sentenza che lo conclude possa poi dar luogo, per la sua attuazione, ad altri procedimenti interferenti su rapporti facenti capo a soggetti che non dovevano o, in alcuni casi, addirittura non potevano partecipare al processo e dunque diversi dai destinatari in senso formale della sentenza medesima.

L’introduzione così perentoria operata dalla Corte costituzionale ha trovato finalmente la sua definitiva consacrazione legislativa con il Codice del processo amministrativo del 2010.

L’art. 108 del Codice, riprendendo in modo pressoché analogo il dettato dell’art. 404 cod. proc. civ., al primo comma delinea l’opposizione di terzo ordinaria stabilendo che un terzo può fare opposizione contro una sentenza del tribunale amministrativo regionale o del Consiglio di Stato pronunciata tra altri soggetti, ancorché passata in giudicato, quando pregiudica i suoi diritti o interessi legittimi.

Una volta che l’istituto ha trovato espresso riconoscimento nel sistema positivo del processo amministrativo, è divenuto necessario individuare quali sono i soggetti che vi possono ricorrere, e qui la giurisprudenza ha dovuto evidentemente chiarire quali sono i terzi che possono vedere pregiudicata la propria posizione di diritto soggettivo o di interesse legittimo da una sentenza pronunziata tra altre parti processuali.

Come chiarito anzitutto dal Consiglio di Stato, la legittimazione a proporre opposizione di terzo nei confronti della decisione del giudice amministrativo resa tra altri soggetti deve essere riconosciuta: a) ai controinteressati pretermessi, perché è mancata la notifica nei loro confronti; b) ai controinteressati sopravvenuti; c) ai controinteressati non facilmente identificabili; d) in generale, ai terzi titolari di una situazione giuridica autonoma e incompatibile, rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della sentenza oggetto di opposizione, con esclusione, di conseguenza, dei titolari di un diritto dipendente, ovvero di soggetti interessati di riflesso, non sussistendo per questi, per definizione, il requisito dell´autonomia della loro posizione soggettiva.

La legittimazione a proporre opposizione di terzo nei confronti di sentenza del giudice amministrativo resa inter alios deve essere, dunque, riconosciuta ai controinteressati pretermessi, nonché a quelli occulti (perché non facilmente identificabili) o sopravvenuti, non intervenuti nel processo, allorquando tale assenza non sia dipesa da una loro decisione, ma sia conseguenza di un’omissione dovuta alla controparte, alla mancata attivazione dei poteri di integrazione del contraddittorio del giudice o a vizi del procedimento amministrativo a monte, per mancanza di una corretta individuazione o di una espressa evocazione nella formalità degli atti. 

Tali soggetti, pur non avendo partecipato al relativo giudizio, sono nondimeno titolari di un interesse qualificato al mantenimento dell’atto impugnato: interesse che, di conseguenza, risulta travolto direttamente dall’annullamento dell’atto stesso; sicché l’attuazione del comando contenuto nella sentenza sarebbe ontologicamente incompatibile rispetto ad una coesistenza, sul piano sostanziale, dei due ordini di interessi propri del ricorrente e dell’opponente.

Pertanto, nell’attuale formulazione dell’art. 108, co. 1 del Codice, dopo le modifiche apportate dal d.lgs. n. 195/2011, la legittimazione a proporre opposizione si incentra su due elementi essenziali, uno che si potrebbe definire di carattere negativo e l’altro positivo: la mancata partecipazione al giudizio conclusosi con la sentenza opposta ed il pregiudizio che reca la sentenza ad una posizione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo di cui l’opponente risulti titolare.

Solamente attraverso l’opposizione di terzo, quindi, può sanarsi la contraddizione tra “cosa giudicata” in senso sostanziale (ex art. 2909 cod. civ.), che tuttavia, come è noto, definisce e limita l’efficacia dell’accertamento contenuto in sentenza alle parti del giudizio, e posizione di colui che tale qualifica di parte non ha potuto incolpevolmente acquisire, risolvendosi così quella incompatibilità fra la situazione giuridica definita dalla sentenza e quella di cui sia titolare un soggetto terzo rispetto ai destinatari della stessa, già rilevata dalla Corte costituzionale con la nota sentenza additiva del 1995.

Deve, invece, escludersi la legittimazione ad agire in opposizione di terzo avverso la sentenza lesiva per il titolare della posizione principale di coloro che, rimasti estranei al giudizio, siano titolari di un interesse di mero fatto, non giuridicamente rilevante, alla rimozione del provvedimento impugnato, interesse che avrebbe tutt’al più legittimato un intervento ad adiuvandum in primo grado, ai sensi dell’art. 28, co. 2, cod. proc amm.

E quindi, la legittimazione ad impugnare la sentenza con l’opposizione di terzo ordinaria (ex art. 108, comma 1, cod. proc. amm.) presuppone in capo all’opponente la titolarità di un diritto, o di un interesse legittimo, pregiudicato dalla situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra altre parti, con la precisazione che l’incompatibilità della sua posizione con la statuizione giurisdizionale deve essere riferita non solo a colui il quale aspirava al medesimo bene conseguito dal ricorrente vittorioso, ma, in senso più lato, anche a colui che intenda difendere un bene della vita inciso negativamente, nella sua integrità o nel suo valore, dalla sentenza opposta.

Il problema principale nel valutare l’ammissibilità dell’opposizione di terzo concerne, pertanto, la figura del terzo nel processo amministrativo, ed in particolare del controinteressato, e la sua legittimazione ad intervenire, o meglio a resistere rispetto ad una sentenza ed a un giudicato che si può formare anche nei suoi confronti senza che questo abbia potuto svolgere attività difensiva a tutela dei propri interessi nel giudizio.

La questione non è di facile risoluzione, specialmente quanto all’individuazione dei terzi, e così il Consiglio di Stato ha cercato di chiarire il quadro con un’importante pronunzia del 2019.

Le leggi sul processo amministrativo hanno sempre contemplato, accanto ai controinteressati, che sono parti necessarie, una categoria indefinita di terzi che sono legittimati a intervenire, ma il modello risulta tutt’altro che conclusivo, se non altro perché considera più le forme di ingresso nel processo, che i contenuti e le prerogative di ciascuna partecipazione.

Per i controinteressati in senso stretto, la questione si pone, sotto il profilo processuale, nei termini di attuazione del principio del contraddittorio, il quale (in particolare, art. 2 cod. proc. amm. anche in relazione all’art. 24 Cost. e all’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, richiamati dall’art. 1 cod. proc. amm.), si declina operativamente (artt. 27 e 41 del Codice) nel senso della sua necessaria “integralità”, garantita dalla notifica del ricorso all’Amministrazione resistente e, ove esistenti, a tutti i “controinteressati”, che costituiscono le parti necessarie, cioè le “parti nei cui confronti la sentenza deve essere pronunciata” (al riguardo, l’art. 28, co. 1, le legittima, in caso di omessa notifica, all’intervento “senza pregiudizio del diritto di difesa“, cioè senza la soggezione allo stato e grado del giudizio e senza il condizionamento alla sussistenza di uno specifico interesse ed all’accertamento del mancato verificarsi di decadenze, cui il successivo comma subordina l’intervento di altri terzi che non siano contraddittori necessari).

Propriamente controinteressati sono, del resto, le “persone alle quali l’atto o provvedimento direttamente si riferisce” di cui già faceva (esatta) parola l’art. 36, co. 2, T.U sul Consiglio di Stato: titolari di un interesse qualificato opposto a quello del ricorrente, la cui posizione processuale (era ed) è qualificabile in termini di vero e proprio litisconsorzio necessario.

Peraltro, è noto che la nozione rilevante di controinteressato necessario fa leva sulla ricorrenza di un duplice requisito: 1) sostanziale, rappresentato dalla titolarità di una posizione qualificata di vantaggio, attribuita specificamente a quel soggetto dal provvedimento impugnato (in tal senso l’atto è “riferibile” ad essa); 2) formale, rappresentato dall’identificazione nominativa del soggetto nell’atto impugnato.

Oltretutto, la verifica dei requisiti per la posizione di controinteressato viene effettuata con riguardo al momento di introduzione del giudizio (come è logico, trattandosi di posizione di controinteresse rispetto all’atto impugnato). Pertanto, l’acquisto di una posizione qualificata di vantaggio successivamente alla presentazione del ricorso (come spesso si verifica nel caso di emanazione di provvedimenti consequenziali a quello impugnato) non comporta alcuna necessità di integrare il contraddittorio. Per tal via, non sono litisconsorti necessari i controinteressati successivi.

Queste considerazioni dimostrano l’eccezionalità della figura dei controinteressati in senso solo sostanziale (o controinteressati “occulti”) e dei controinteressati successivi: essi sono parimenti titolari di una situazione soggettiva qualificata (opposta, con riferimento all’atto impugnato, a quella del ricorrente) e sono, perciò, assoggettati agli effetti della sentenza (quanto meno, della sentenza di annullamento), pur non essendo contraddittori necessari.

Occorre osservare – avuto riguardo alla distinzione tra effetto di annullamento ed efficacia (soggettiva) del giudicato – che tali soggetti subiscono le conseguenze demolitorie della sentenza inter alios, ma non sono soggetti al relativo giudicato, che è condizione – necessaria prima che sufficiente – a legittimarli alla opposizione di terzo.

Più complessa è la situazione che si verifica allorché la posizione di vantaggio sia determinata da un atto impugnato che abbia consistenza normativa o portata generale: in questi casi (in sintomatica differenza di quel che è dato riscontrare nei provvedimenti c.d. plurimi), l’annullamento ha caratteristica efficacia ultra partes

Nondimeno, a differenza dei controinteressati in senso proprio, l’attribuzione di una posizione di vantaggio è, per definizione, priva del carattere di “specificità”: onde, pur essendo possibile l’intervento in giudizio, appare arduo immaginare una generalizzata legittimazione all’opposizione di terzo (verisimilmente preclusa proprio dal rilievo che si tratta di soggetti direttamente incisi dal giudicato, rispetto al quale non sono perciò propriamente terzi).

Sotto ulteriore profilo, titolare di una posizione qualificata d’interessi, opposta a quella del ricorrente, non è solo chi abbia “conseguito un vantaggio specifico” per effetto dell’atto impugnato, ma è anche chi per effetto dello stesso atto abbia “evitato un pregiudizio specifico”. Si pensi al caso del proprietario rispetto all’impugnazione, da parte del vicino, di un diniego (o di un annullamento) di un permesso di costruire; ovvero al concorrente, rispetto alla impugnazione di un provvedimento di esclusione.

La giurisprudenza afferma tradizionalmente che questi soggetti non sono controinteressati, rilevando che il provvedimento impugnato (negli esempi proposti: il diniego o l’annullamento del permesso di costruire, l’esclusione da una procedura concorsuale o ad evidenza pubblica) non assegna ad essi alcuno specifico vantaggio. Di conseguenza, anche se questi terzi sono espressamente “nominati” nell’atto, non assumono mai la veste di contraddittori necessari, pur potendo intervenire in giudizio.

Dovrebbe anche, coerentemente, escludersi per costoro la possibilità di proporre opposizione di terzo: sennonché la questione, secondo il Consiglio di Stato, parrebbe richiedere un complessivo ripensamento, che esula del tutto dai limiti delle considerazioni che si vanno svolgendo, alla luce della possibilità che, in conseguenza del progressivo trasformarsi del giudizio sull’atto in giudizio sul rapporto, si acceda già in sede cognitoria (e non solo nella tradizionale prospettiva conformativa) all’accertamento, in presenza di attività vincolata, della fondatezza della pretesa.

Parimenti opinabile è, in questa prospettiva, il superamento, per espressa e non poco problematica opzione positiva, della tradizionale opinione circa l’assenza di controinteressati nel giudizio avverso il silenzio dell’Amministrazione: anche qui, se la possibilità di legittimare posizioni di controinteresse necessario emerge dalla scelta legislativa (verosimilmente giustificata proprio dalla apertura del giudizio sul silenzio all’accertamento della fondatezza sostanziale della pretesa), resta dubbio in quale misura possa strutturarsi la legittimazione a proporre opposizione di terzo avverso la sentenza che si limiti ad accertare l’obbligo di provvedere.

In ogni caso, ancora diversa è la posizione dei terzi titolari di un interesse semplicemente “dipendente” da quello di una delle parti necessarie del processo, che per vario rispetto possono essere equiparati (anche ai fini della legittimazione all’intervento) ai titolari di un interesse di mero fatto.

Costoro, per un verso non possono vantare una posizione soggettiva autonoma (stante la postulata relazione di dipendenza) e, per altro verso, non sono mai e per definizione, rispetto al giudicato inter alios, in posizione di incompatibilità giuridica, ma – semmai – di mera (e non rilevante) incompatibilità pratica (che, se vale ad abilitarli all’intervento adesivo dipendente ad adiuvandum, ne esclude la legittimazione all’opposizione impugnatoria).

I rilievi che precedono giustificano, pur nella obiettiva problematicità di qualche profilo, le conclusioni cui è giusta la giurisprudenza, alla cui stregua deve ritenersi che la legittimazione a proporre opposizione di terzo nei confronti di una sentenza del giudice amministrativo resa inter alios vada, in definitiva, riconosciuta solo ai controinteressati pretermessi, nonché a quelli occulti (perché non facilmente identificabili) e a quelli sopravvenuti, non intervenuti nel processo, allorquando tale assenza non sia dipesa da una loro decisione, ma sia conseguenza di un’omissione dovuta alla controparte, alla mancata attivazione dei poteri di integrazione del contraddittorio del giudice o a vizi del procedimento amministrativo a monte, per mancanza di una corretta individuazione o di una espressa evocazione nella formalità degli atti.

Tali soggetti, pur non avendo partecipato al relativo giudizio, sono nondimeno portatori di un interesse (giuridicamente) qualificato al mantenimento dell’atto impugnato: interesse che, di conseguenza, risulta travolto (direttamente ed immediatamente) dall’annullamento dell’atto stesso; sicché l’attuazione del comando contenuto nella sentenza sarebbe ontologicamente incompatibile rispetto ad una coesistenza, sul piano sostanziale, dei due ordini di interessi propri del ricorrente e dell’opponente.

Si deve, per l’opposto ordine di ragioni, escludere la legittimazione attiva all’opposizione di terzo ordinaria di coloro la cui situazione giuridica sia (semplicemente) collegata da un rapporto di dipendenza o di derivazione con quella di altri soggetti parti in causa; allo stesso modo deve essere esclusa la legittimazione ad agire dei soggetti interessati solo di riflesso: rispetto a tali categorie difetta, infatti, il requisito dell’autonomia della posizione soggettiva stessa.

Pertanto, a differenza della parte necessaria pretermessa, il titolare della posizione secondaria, accessoria e riflessa, pur potendo intervenire nel giudizio, non è legittimato ad impugnare con opposizione di terzo ordinaria la sentenza lesiva per il titolare della posizione principale.

  

4. La soluzione fornita dal CGARS sul rapporto tra opposizione di terzo ed intervento nel giudizio di appello: l’orientamento in materia di ammissibilità dell’opposizione di terzo è consolidato.

Per pacifica giurisprudenza, l’opposizione di terzo è mezzo di impugnazione a contestuale natura rescindente e rescissoria, perché mira anche all’accertamento di una pretesa in conflitto con quella accertata giudizialmente.

Il problema principale, come si è ampiamente visto nel precedente paragrafo, attiene alla legittimazione alla proposizione del rimedio impugnatorio.

Nel caso di specie, la Società che ha proposto l’opposizione di terzo ha radicato la propria legittimazione su due elementi: di aver partecipato alla procedura indetta dall’Amministrazione comunale mediante avviso pubblico, nell’anno 2017, per acquisire la disponibilità di operatori interessati all’attivazione di un partenariato pubblico/privato per la gestione delle attività connesse a una concessione demaniale marittima nella località Capo Rais Gerbi (titolo che sarebbe stato poi rilasciato al Comune mediante un decreto regionale); e di avere stipulato con lo stesso Comune il relativo accordo di partenariato il successivo 22 febbraio 2019.

Il Consiglio di Giustizia ha ritenuto inammissibile l’opposizione di terzo.

Basandosi sulla consolidata giurisprudenza esaminata nel paragrafo precedente, il Consiglio di Giustizia ha ricordato che la proposizione dell’opposizione di terzo ordinaria contro una sentenza del giudice amministrativo, ancorché non passata in giudicato, è subordinata alla sussistenza di un pregiudizio, determinato dalla pronunzia impugnata, ai diritti o agli interessi legittimi del ricorrente. 

Il rimedio ha, infatti, il fine di tutelare il litisconsorte necessario pretermesso, ovvero il titolare di una situazione soggettiva autonoma e incompatibile con quella accertata nella sentenza e rispetto a quella riferibile alla parte risultata vittoriosa per effetto della pronunzia opposta.

Perché possa essere proposta l’opposizione di terzo deve perciò sussistere un elemento fondamentale: la titolarità di una posizione soggettiva autonoma giuridicamente qualificata rispetto al thema decidendum, escludendo, per converso, la legittimazione di coloro che versino in una posizione collegata da un nesso di dipendenza o derivazione (o comunque meramente secondaria e accessoria) rispetto a quella di una delle parti in causa, o che siano interessati solo di riflesso.

Nel caso di specie, la posizione della Società che ha proposto opposizione di terzo si ricollega appunto solo in via derivata e riflessa, ossia solo per il tramite del concluso accordo di partenariato, alla concessione demaniale rilasciata dalla Regione, col decreto impugnato in sede giurisdizionale, all’Amministrazione comunale di Pollina.

Il provvedimento concessorio, di per sé, non attribuisce infatti all’opponente alcun diretto vantaggio giuridico.

Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia, però, si spinge oltre, non limitandosi a dichiarare la semplice inammissibilità dell’opposizione di terzo spiegata; ed infatti, in coerenza con il principio di conservazione degli atti processuali, ha ritenuto che l’intervento della Società opponente benché spiegato sotto forma di opposizione di terzo, possa comunque essere riguardato sub specie di comune intervento adesivo dipendente ad adiuvandum dell’appello comunale, in applicazione della regola generale della possibilità d’intervento nel giudizio d’impugnazione da parte di chi vi abbia interesse (art. 97 c.p.a.).

La conclusione cui giunge l’organo d’appello della giustizia amministrativa siciliana è condivisibile.

Dato che l’opposizione di terzo ordinaria può essere proposta non già da tutti coloro che rivestono la qualità di terzi rispetto al giudizio nel quale è stata emessa la sentenza ed abbiano comunque un interesse, sia pure di fatto, ad insorgere contro la pronunzia, ma soltanto da chi, oltre ad essere terzo, vanta in relazione al bene che ha formato oggetto della controversia un proprio diritto autonomo e nel contempo incompatibile con il rapporto giuridico accertato o costituito dalla sentenza, circostanza che nel caso di specie non era ravvisabile, la legittimazione ad introdursi in giudizio della Società che ha proposto l’opposizione di terzo giudicata inammissibile può essere qualificata più correttamente come legittimazione ad intervenire in appello poiché, ai sensi dell’art. 97, cod. proc. amm., l’intervento adesivo non autonomo può essere proposto per la prima volta anche nel processo amministrativo di appello da parte di chiunque abbia interesse alla contestazione, altresì ove titolare di un interesse di mero fatto.

Questo è proprio il caso di specie ove non vi è un contrasto tra i rapporti giuridici accertati in sede giurisdizionale e quelli di soggetti terzi, potendo questi vantare solo interessi in via derivata e riflessa dall’utilizzo della concessione demaniale da parte del Comune di Pollina, con la conseguenza che al limite possono intervenire in appello ex art. 97 del Codice ma non certo proporre opposizione di terzo ordinaria.

 

 

 Si permetta il rinvio, per un approfondimento della questione, a M. Ricciardo Calderaro, La comparazione degli interessi nel giudizio cautelare amministrativo. Un nuovo modo di valutare i presupposti processuali, in Federalismi, n. 27/2020, 223 ss.; in generale si rinvia a M.A. Sandulli, La fase cautelare, in Dir. proc. amm., 2010, 1130 ss.; in materia cautelare si deve dare conto della recente tendenza ad impugnare i decreti cautelari monocratici, malgrado il chiaro disposto in senso contrario del Codice del processo amministrativo: sul punto cfr. M.A Sandulli, Giurisprudenza creativa e digitalizzazione: una pericolosa interazione che accresce i rischi di incertezza sulle regole processuali, in Federalismi, 13 gennaio 2021; ma già prima del Codice cfr. C.E. Gallo, L’appellabilità del decreto cautelare presidenziale, in Foro amm. CdS, 2009, 2615 ss.

 Sulle reiterate proroghe delle concessioni demaniali per uso turistico e sul relativo intervento della Commissione dell’Unione europea nei confronti dell’Italia cfr. P. Quinto, Proroga delle concessioni demaniali, in LexItalia, 9 dicembre 2020; la letteratura in materia è ampia, ex multis si rinvia a F. Francario, Il demanio costiero. Pianificazione e discrezionalità, in Aa. Vv., Scritti in onore di Eugenio Picozza, Napoli, Editoriale Scientifica, 2019, vol. I, 729 ss.; F. Armenante, La non disciplina delle concessioni demaniali: dall’abrogazione dell’innaturale diritto di insistenza alle plurime e asistematiche proroghe anticomunitarie, in Riv. giur. edil., 2020, 261 ss.; A. Lucarelli, L. Longhi, Le concessioni demaniali marittime e la democratizzazione della regola della concorrenza, in Giur. cost., 2018, 1250 ss.; M. Timo, Concessioni demaniali marittime: tra tutela della concorrenza e protezione della costa, in Giur. it., 2017, 2191 ss.; L. Di Giovanni, Le concessioni demaniali marittime e il divieto di proroga ex lege, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2016, 912 ss.; A. Monica, Le concessioni demaniali marittime in fuga dalla concorrenza, in Riv. it. dir. pubbl. comun., 2013, 437 ss.; M. D’Orsogna, Le concessioni demaniali marittime nel prisma della concorrenza: un nodo ancora irrisolto, in Urb. e app., 2011, 599 ss.

 Così E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, Principi, a cura di V. Colesanti, E. Merlin, E.F. Ricci, Milano, Giuffrè, 2007, 103; nello stesso senso L. Montesano, G. Arieta, Trattato di diritto processuale civile, Padova, Cedam, 2001, vol. I, 632, secondo cui “la ratio che accomuna le varie ipotesi di intervento, sia volontario che coatto, deve essere individuata nell’interdipendenza dei rapporti giuridici sostanziali, cioè nei collegamenti, di vario tipo e natura, che possono sussistere, sul terreno sostanziale, tra il rapporto che è oggetto dell’originario processo ed altri rapporti che coinvolgono o possono coinvolgere soggetti estranei al primo: coinvolgimento, però, che, per la natura stessa di tali collegamenti sostanziali, non richiede mai la necessaria partecipazione di altri soggetti (i quali sarebbero, in tal caso, litisconsorti necessari), ma che può determinare, sempre sul terreno sostanziale, conseguenze in senso lato pregiudizievoli (o potenzialmente tali) nei confronti di questi soggetti in relazione all’esito della lite, tali da giustificare la partecipazione degli stessi al processo inter alios”.

 S. Costa, Intervento (dir. proc. civ.), in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1972, vol. XXII, 466, evidenzia come l’intervento coatto, inteso in senso generale, comprende vari istituti che vanno dall’intervento coatto in senso stretto, alla laudatio o nominatio auctoris, ed alla litisdenuntiatio; “questi due ultimi istituti non hanno in realtà la funzione di servire per la chiamata in causa di un terzo, ma la litisdenuntiatio consiste nella denunzia al terzo che è sorta una determinata lite, mentre con la nominatio auctoris il possessore d’una cosa in nome altrui, convenuto in tale qualità, denuncia la lite al possessore mediato, onde esser estromesso“.

 Secondo F. Locatelli, Commento all’art. 105, in L.P. Comoglio, C. Consolo, B. Sassani, R. Vaccarella (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, Torino, Utet, 2012, vol. II, 97 ss., “le ragioni che giustificano il superamento della bilateralità dello schema classico del processo e aprono la via all’ipotesi dell’intervento in causa, concernono le connessioni sostanziali sottostanti alle azioni esperite, che possono essere di diverso tipo, ma mai tali da rendere la partecipazione del terzo al processo necessaria (ossia non si è dinnanzi a quelle stesse ragioni che legittimano e giustificano il litisconsorzio facoltativo). L’interesse ad intervenire spontaneamente in causa si comprende, in particolare, solo alla luce delle possibili conseguenze indirette e pregiudizievoli che potrebbero scaturire per il terzo che decida di rimanere estraneo al processo”.

 Sul punto cfr. C. Punzi, Il processo civile, Sistema e problematiche, Torino, Giappichelli, 2008, vol. I, 315 ss., secondo cui, in tale tipologia di intervento, “le caratteristiche che deve avere il diritto del terzo, perché costui possa ottenere la tutela richiesta, sono tre: autonomia-incompatibilità-prevalenza“.

 In tema cfr. A. Chizzini, Commento all’art. 105, in C. Consolo (diretto da), Codice di procedura civile commentato, Milano, Ipsoa, 2010, 1186, a giudizio del quale, con questa tipologia di intervento, “si viene a instaurare a posteriori un litisconsorzio facoltativo dato che può mancare l’accordo per l’azione comune all’inizio del processo“.

 Così, ex multis, S. Costa, op.cit., 462. 

 A. Chizzini, L’intervento adesivoStruttura e funzione, Padova, Cedam, 1992, vol. II, 901 ss., osserva come “l’affermazione di una dipendenza all’interno del processo rispetto alla volontà della parte principale deve essere un dato accolto solo alla luce della valutazione del diritto positivo – e con precisione, del diritto processuale – e non un mero corollario che si trae dalla stessa natura della situazione sostanziale che opera sul piano diverso della legittimazione. Peraltro (…) spesso non si supera l’immediato rilievo che l’intervenuto non è titolare del rapporto dedotto e in ragione di ciò si ritiene di potere risolvere persuasivamente ogni questione che attiene alla posizione dell’intervenuto nel processo. Il che appare, invece, del tutto insufficiente“.

 Sulle tipologie e le modalità di intervento nel giudizio civile cfr. C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, Torino, Giappichelli, 2016, vol. I, 454 ss. e vol. II, 134 ss.; G. Tarzia, F. Danovi, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano, Giuffrè, 2014, 166 ss.

 Con riferimento alla disciplina che era stata prevista per l’intervento nel giudizio dinnanzi al Consiglio di Stato cfr. U. Borsi, La giustizia amministrativa, Padova, Cedam, 1941, 315, secondo cui “l’interveniente non può ampliare il tema della controversia sollevata col ricorso”; A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, Jovene, 1969, 830 ss.

 M. D’Orsogna, L’intervento nel processo amministrativo: uno strumento cardine per la tutela dei terzi, in Dir. proc. amm., 1999, 434, osserva come “volgere lo sguardo direttamente al complesso gioco degli interessi coinvolti dall’azione amministrativa, al di là dello schermo formale del provvedimento amministrativo, avrebbe richiesto, infatti, un mutamento di prospettiva assai profondo cui dottrina e giurisprudenza non erano preparate, attese le incertezze dogmatiche sulla nozione di interesse legittimo e la costruzione del processo amministrativo secondo uno schema prettamente demolitorio. E ciò trova conferma nella circostanza che alcune delle più brillanti intuizioni sull’intervento (che rappresentano forse il miglior tentativo di trasferire alla realtà amministrativa le esperienze del processo civile) provengono da quella nostra dottrina che ha consegnato alla dogmatica giuridica una compiuta elaborazione del rapporto giuridico amministrativo quale oggetto del giudizio: con tutto ciò che a questa innovativa (al di là della sua accoglibilità sul piano concettuale) elaborazione consegue in tema di ricostruzione del contraddittorio, del giudicato e dell’estensione delle forme di intervento ammesse nel giudizio amministrativo”; sull’esclusione di una generalizzata applicabilità delle norme del codice di procedura civile all’intervento nel processo amministrativo cfr. M. Pazardjiklian, Riflessioni sulla legittimazione all’appello da parte dell’interveniente “ad opponendum”, in Dir. proc. amm., 1997, 853 ss.

 Sul punto cfr. A. Police, Il ricorso di primo grado, la costituzione delle altre parti, l’intervento, il ricorso incidentale, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, Padova, Cedam, 2014, vol. XLII, 407 ss.; per una ricostruzione tradizionale si rinvia a F. Sciarretta, Appunti di giustizia amministrativa, Milano, Giuffrè, 2007, 196 ss., a giudizio del quale l’unico intervento ammissibile nel processo amministrativo è quello volontario adesivo, rimanendo esclusi sia l’intervento principale che quello litisconsortile, “in quanto attraverso questi tipi di intervento potrebbe essere facilmente elusa la perentorietà del termine entro il quale deve essere proposto il ricorso”; sulla possibilità del solo intervento ad adiuvandum cfr. già G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 1958, vol. II, 266.

 Secondo L.R. Perfetti, Commento all’art. 22, in A. Romano, R. Villata (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, Cedam, 2009, 779, le disposizioni in questione non escludono affatto l’intervento principale – “rivenendo l’enunciato normativo in esame dall’imitazione del codice di rito previgente, nel quale le forme di intervento diverse da quello adesivo erano pacificamente ammesse – né, per le ragioni che si sono già esposte, pare si debba raggiungere la conclusione che l’ammissione di forme di intervento diverse da quello adesivo comporti la necessaria deroga al termine decadenziale di impugnazione (che semmai varrà solo per quelle parti la cui domanda giudiziale sia intesa ad ottenere l’annullamento del provvedimento)“. Contraria l’opinione di R. Ferrara, Commento all’art. 22, in A. Romano (a cura di), Commentario breve alle leggi sulla giustizia amministrativa, Padova, Cedam, 2001, 831, secondo cui, sulla base delle disposizioni in commento, risultava ammissibile solo l’intervento volontario ed adesivo dipendente, in quanto rimesso alla volontà dell’interventore ed a favore di una delle parti principali del processo.

 M. Ramajoli, Riflessioni in tema di interveniente e controinteressato nel giudizio amministrativo, nota a Cons. Stato, Ad. Plen., 8 maggio 1996, n. 2, in Dir. proc. amm., 1997, 118 ss., evidenzia come la configurazione che la legge di istituzione dei Tribunali Amministrazioni Regionali offriva all’istituto dell’intervento derivasse strettamente da quella del codice di procedura civile del 1865 ove, all’art. 201, si stabiliva che chiunque avesse interesse in una controversia tra altre persone poteva intervenirvi; sul punto cfr. in giurisprudenza Cons. Stato, Sez. V, 13 aprile 1989, n. 215, in Giur. it., 1989, III, 185 ss.; Cons. Stato, Sez. V, 15 giugno 1992, n. 558, in Dir. proc. amm., 1993, 491, con nota di E. Stoppini, Intervento ad opponendum e legittimazione all’appello nel processo amministrativo: brevi riflessioni, 495 ss., e in Giur. it., 1993, III, I, 800 ss.

 Per l’interpretazione che ravvisava nell’art. 22 della c.d. Legge T.A.R. gli estremi per configurare solamente l’intervento adesivo, ad adiuvandum ed ad opponendum, nel processo amministrativo cfr., S. Tassone, Intervento “ad opponendum” nel giudizio di primo grado e legittimazione all’appello, nota a Cons. St., Sez. V, 15 giugno 1992, n. 558, in Giur.it., 1993, III, 803 ss.

 Si può far risalire a V.E. Orlando, La giustizia amministrativa, in V.E. Orlando (a cura di), Primo Trattato completo di diritto amministrativo italiano, Milano, Società editrice libraria, 1901, vol. III, 1016, la prima formulazione secondo cui l’unica forma di intervento ammissibile nel processo amministrativo è quella denominata dipendente.

 Così si esprimono G. Tarzia, F. Danovi, op. cit., 167.

 Sul punto cfr. P. Patrito, Lo svolgimento del giudizio e le decisioni emesse in camera di consiglio, in R. Caranta (diretto da), Il nuovo processo amministrativo, Bologna, Zanichelli, 2011, 449 ss.; V. Caianello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, Utet, 2003, 626, che esclude la compatibilità dell’intervento litisconsortile nel processo amministrativo da impugnazione; contra, C.E. Gallo, Giudizio amministrativo, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 1991, vol. VII, 244, secondo cui dovrebbe ritenersi in astratto possibile l’intervento principale in sede di giurisdizione esclusiva, “allorché vi possa essere una terza parte, a questo punto presumibilmente un’amministrazione, che voglia far valere in giudizio la titolarità a sé spettante dei diritti su un bene dedotto in giudizio”; M. Ramajoli, La connessione nel processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 2002, 143, sostiene che anche nel processo amministrativo di legittimità dovrebbe trovare ingresso l’intervento principale nelle ipotesi di connessione necessaria per incompatibilità.

 Con rare eccezioni: ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 17 gennaio 1978, n. 13, in Cons. St., 1978, I, 24 ss., ha affermato la possibilità di ammettere tutte e tre le tipologie di intervento previste dall’art. 105, cod. proc. civ., ovvero l’intervento principale, litisconsortile e adesivo dipendente nel processo amministrativo; in dottrina cfr. l’orientamento favorevole all’ammissibilità dell’intervento principale nella giurisdizione esclusiva, già nel vigore della Legge T.A.R., di E. Picozza, Processo amministrativo (normativa), in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1987, vol. XXXVI, 484.

 In questi termini Cons. Stato, Sez. VI, 18 agosto 2009, n. 4958, in Foro amm. CdS, 2009, 1885, che, partendo da tale presupposto, afferma che ai fini della legittimazione all’intervento volontario di soggetti diversi dalle parti originarie è sufficiente un qualsiasi interesse, anche di puro fatto o morale.

 Così N. Saitta, Sistema di giustizia amministrativa, Napoli, Editoriale Scientifica, 2015, 158; contra, M. Nigro, L’intervento volontario nel processo amministrativo, in Jus, 1963, 372, che critica l’orientamento preclusivo dell’ammissibilità dell’intervento principale, fondato sull’ostacolo dell’elusione del termine per ricorrere, osservando che esso non può avere valore assoluto; ed infatti, tale ostacolo è privo di ragione d’essere, non solo allorquando il termine non è ancora scaduto, bensì anche nel caso di impugnativa di atti indivisibili, il cui annullamento opera nei confronti di tutti i destinatari, che restano soggetti al giudicato, con conseguente restrizione del contraddittorio alle dimensioni che non gli sono state naturali. Si consideri, inoltre, che è stata ammessa la possibilità di convertire l’atto di intervento in ricorso principale, qualora non siano scaduti i termini di decadenza, purché tale atto possegga, rispetto a quest’ultimo, i requisiti di sostanza e di forma, compresi quelli di natura fiscale, ed emerga la volontà di agire quale ricorrente: così Cons. Stato, Sez. V, 28 ottobre 1970, n. 713, in Foro amm., 1970, I, 2, 908; la conseguenza è che, attraverso la conversione, si dà ingresso ad un intervento di tipo principale: si esprimono in tali termini A. Caracciolo La Grotteria, Parti e contraddittorio nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1993, 43 e A. Albini, L’intervento del legittimato a ricorrere e conversione in ricorso principale nel processo amministrativo, in Riv. dir. proc., 1955, II, 288.

 Cass. civ., Sez. III, 5 ottobre 2018, n. 24529, in Ilprocessocivile.it, 3 dicembre 2018, con nota di G. Amodio, Intervento del terzo e preclusioni, ha ribadito che, allorquando il terzo decida di intervenire in un processo nel quale sia stata già esaurita la fase della deduzione istruttoria, piuttosto che agire a tutela del proprio diritto in un autonomo giudizio, egli non potrà che sottostare al sistema delle preclusioni ed al divieto di regressione delle fasi processuali, potendo solo partecipare al giudizio rebus sic stantibus.

 Cass. civ., Sez. II, 1° marzo 2016, n. 4051, in Giur.it., 2016, 2150 ss., con nota di C. Cariglia, La Corte di Cassazione conferma il nuovo orientamento in tema di ammissibilità della domanda nuova, precisa che la modificazione della domanda, consentita dall’art. 183 cod. proc. civ., può riguardare uno o entrambi gli elementi della domanda, il petitum e la causa petendi, sempre che la domanda così modificata risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio e senza che, perciò solo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte, ovvero l’allungamento dei termini processuali; questa possibilità è finalizzata a consentire che si concentrino, in unico processo e dinnanzi allo stesso giudice, delle controversie aventi ad oggetto la medesima vicenda sostanziale, piuttosto che determinare la potenziale proliferazione dei processi; in senso conforme Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310, in Giur.it., 2015, 2101 ss., con nota di G. Palazzetti, Ammissibilità dei nova ex art. 183, 5° comma; in Foro it., 2015, I, 3193 ss., con nota di A. Motto, Le sezioni unite sulla modificazione della domanda giudizialeivi, 2016, I, 255, con nota di C.M. Cea, Tra mutatio ed emendatio libelli: per una diversa interpretazione dell’art. 183, c.p.c.; in Corriere giur., 2015, 968 ss., con nota di C. Consolo, Le S.U. aprono alle domande “complanari”: ammissibili in primo grado ancorché (chiaramente e irriducibilmente) diverse da quella originaria cui si cumuleranno

 Secondo Cass. civ., Sez. III, 24 aprile 2015, n. 8394, in Guida dir., 2015, 32, 77, si deve parlare di mutatio libelli “quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un petitum diverso e più ampio oppure una causa petendi fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo; si ha, invece, semplice emendatio quando si incida sulla causa petendi, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul petitum, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere“; così anche Cass. civ., Sez. trib., 20 luglio 2012, n. 12621, in Giust. civ. Mass., 2012, 9, 1058. Sulla possibilità di emendatio e l’impossibilità di mutatio libelli cfr. già Cons. Stato, Sez. V, 6 novembre 1992, n. 1186, in Cons. St., 1992, I, 1580, secondo cui gli artt. 183 e 184 c.p.c. pongono il principio del divieto di modificare la domanda e di ampliare l’oggetto del giudizio: peraltro va ritenuto che una modifica consentita della domanda (emendatio libelli) si ha ogni qualvolta non si verifichi mutamento del fatto giuridico a fondamento della pretesa, non prospettandosi nuovi elementi di mutazione del fatto costitutivo del diritto né aggiungendosi o sostituendosi al diritto controverso, come specificato nella domanda introduttiva; viceversa per modificazione non ammessa della domanda (mutatio libelli), secondo il Consiglio di Stato, deve essere intesa sia quella che, mediante l’immutazione del fatto costitutivo, introduca nel processo un nuovo e diverso fatto giuridico, considerato quale presupposto oggettivo cui l’ordinamento fa conseguire determinati effetti giuridici in corrispondenza al mutare del thema decidendum originario, sia quella che rinnovi l’oggetto della domanda.

 Così C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, Giappichelli, Torino, 2016, vol. II, 136 ss., secondo cui l’intervento tardivo pregiudica le possibilità di difesa del terzo interveniente, specie sotto il profilo delle iniziative istruttorie a lui precluse.

 E quindi, compiere un atto formalmente lecito, tendente però a perseguire finalità estranee al suo scopo: così F. Cordopatri, L’abuso del processo nel diritto positivo italiano, in Riv. dir. proc., 2012, 874 ss.; sul punto cfr. altresì, tra gli studi più recenti, P.M. Vipiana, L’abuso del processo amministrativo, in G. Visintini (a cura di), L’abuso del diritto, Napoli, Esi, 2016, 247, secondo cui la valenza certa dell’abuso del processo, quale argomentazione giuridica, è quella di costituire uno schema argomentativo “in cui collocare una serie di istituti che già trovano la loro disciplina in sede normativa. A tale livello l’abuso del processo assurge a mero minimo comun denominatore di tali istituti: una sorta di fil rouge fra essi oppure, in altri termini, una scatola in cui collocarli tutti. In tale ruolo l’abuso del processo è una figura inidonea a ledere: sicuramente non indispensabile, ma forse non inutile a creare, a fini sistematici e didattici, una base unitaria ad un numero di istituti eterogenei”; M. Fornaciari, Note critiche in tema di abuso del diritto e del processo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2016, 593 ss.; M.G. Pulvirenti, Riflessioni sull’abuso del processo, in Dir. e proc. amm., 2016, 1091 ss.; A. Panzarola, Presupposti e conseguenze della creazione giurisprudenziale del c.d. abuso del processo, in Dir. proc. amm., 2016, 23 ss.; G. Corso, Abuso del processo amministrativo?, in Dir. proc. amm., 2016, 1 ss.; G. Tropea, Spigolature in tema di abuso del processo, in Dir. proc. amm., 2015, 1262 ss.; S. Baccarini, Abuso del processo e giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., 2015, 1203 ss., secondo cui “non si tratta di comportamenti vietati o comunque illeciti perché in diretta violazione delle norme processuali, ma di uso improprio di uno strumento processuale, in sé lecito, che produce effetti pregiudizievoli sul procedimento”; G. Verde, L’abuso del diritto e l’abuso del processo (dopo la lettura del recente libro di Tropea), in Riv. dir. proc., 2015, 1085 ss.; Id., Abuso del processo e giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2015, 1138; G. Tropea, L’abuso del processo amministrativo: studio critico, Napoli, Esi, 2015; K. Peci, Difetto di giurisdizione e abuso del processo amministrativo, commento a Cons. Stato, Sez. III, 13 aprile 2015, n. 1855, in Giorn. dir. amm., 2015, 691 ss.; S. Chiarloni, Etica, formalismo processuale, abuso del processo, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, 1281 ss.; quanto all’utilità dell’introduzione del concetto di abuso del processo nel giudizio amministrativo cfr. C.E. Gallo, L’abuso del processo nel giudizio amministrativo, in Dir. e proc. amm., 2008, 1022, secondo cui “si tratta di una norma di chiusura, volta a reprimere un uso distorto dello strumento processuale, che, di conseguenza, è utile per il fatto di esserci, anche se ci si augura che non debba mai essere utilizzata, risultando bastante il suo significato educativo“; N. Paolantonio, Abuso del processo (diritto processuale amministrativo), in Encicl. dir., Giuffrè, Milano, 2008, Annali, II, tomo I, 6, secondo cui, ai fini della costruzione di una definizione di abuso del processo amministrativo, occorre tenere conto della particolare posizione delle parti nel giudizio amministrativo; tale circostanza, secondo l’Autore, reca due conseguenze di non poco momento: “la prima è che gli schemi classici dell’abuso processualcivilistico non trovano sempre pedissequa applicazione nel processo amministrativo: basti pensare al regime della condanna alle spese di lite in caso di soccombenza, assai di rado utilizzata dal giudice amministrativo, sia in sede cautelare che di merito, in virtù di un’atavica quanto ingiustificata esigenza di salvaguardia del pubblico erario. La seconda è che la sostanziale disparità delle parti nel processo amministrativo è essa stessa causa, talora, d’abuso, sia delle parti (dell’amministrazione, ma anche del ricorrente), sia del giudice”; nonché cfr. già l’opinione di G. De Stefano, Note sull’abuso del processo, in Riv. dir. proc., 1964, 582 ss.

 Si veda, per tutti, C.E. Gallo, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, Giappichelli, 2020, 192, che evidenzia come, invece, “se il termine per ricorrere è ancora aperto, nulla vieta che il secondo ricorrente, anziché avviare un giudizio autonomo, proponga una domanda di intervento litisconsortile, senza per questo derogare alla perentorietà dei termini per ricorrere. In ogni caso, l’intervento litisconsortile è possibile nel giudizio di accertamento, non essendovi ragione per impedire la presenza di più parti nello stesso giudizio“.

 Così S. Santoro, Appunti sull’intervento nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1986, 553, secondo cui, sulla base della disciplina dettata dal r.d. n. 624 del 1907 e dalla legge istitutiva dei T.A.R., “nel processo amministrativo, anche in quello d’accertamento (ma è un’anomalia dovuta al fatto che questo è ancora costruito sul modello di quello d’impugnazione), a differenza che nel processo civile, il giudice non può pronunciarsi sulla domanda senza che il ricorrente si sia costituito, e la rinuncia al ricorso non abbisogna di accettazione delle altre parti, alle quali essa deve soltanto essere notificata (art. 46 R.D. cit.)“. Per quanto concerne la disciplina della rinunzia prevista dal codice del 2010, l’art. 84 dispone che questa vada notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell’udienza e se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono il processo si estingue: sul punto cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Sez. I, 22 marzo 2016, n. 96, in www.giustizia-amministrativa.it e T.A.R. Lazio, Roma, III, 8 maggio 2015, n. 6576, in Foro amm., 2015, 1559, a giudizio del quale il documento con cui si dichiara di rinunciare al ricorso non può valere come rinuncia al ricorso stesso, ove non risulti notificato alle altre parti almeno 10 giorni prima dell’udienza così come prescritto dall’art. 84, co. 3, d.lgs. n. 104 del 2010, comprovando, in ogni caso, la carenza di interesse alla definizione del giudizio e giustificando la declaratoria di improcedibilità del gravame. 

 Secondo V. D’Audino, L’intervento adesivo nel procedimento giurisdizionale davanti al Consiglio di Stato, commento a Cons. Stato, Sez. IV, 12 dicembre 1925, n. 937, in Foro amm., 1926, I, I, 31 ss., si equivoca “tutte le volte in cui si sostiene che l’intervento non è ammissibile nei casi in cui l’interessato avrebbe dovuto presentare ricorso autonomo e principale per il motivo che con l’ammissione dell’intervento si riaprirebbero dei termini scaduti. Nessun termine viene ad essere riaperto se dell’annullamento del provvedimento si giova lui come si possono giovare gli altri che non hanno preso parte al giudizio. Siamo lieti che con la decisione annotata la Sezione in difformità delle precedenti pronuncie, pur senza particolare motivazione, abbia adottata la soluzione sin qui difesa ammettendo l’intervento di chi poteva ricorrere in via principale contro la decisione ministeriale che aveva rigettato la sua domanda e si è limitato ad intervenire per chiedere l’accoglimento del ricorso principale presentato da un suo collega impiegato, al quale era stata rigettata identica domanda per identico motivo“.

 Sul punto cfr. A. Tigano, Intervento nel processo-II) Diritto processuale amministrativo, in Encicl. giur., Roma, 1988, vol. XIX, 3.

 L’intervento ad adiuvandum di per sé non è innovativo: il terzo, difatti, pur proponendo una domanda propria, si limita, con essa a chiedere l’accoglimento di una domanda altrui senza agire per la tutela di una propria situazione sostanziale e senza un ampliamento del thema decidendum. Egli si limita ad interloquire nella lite tra altri già pendente, prestando la propria adesione alla domanda o all’eccezione di una delle parti: sul punto cfr., nella giurisprudenza di legittimità, Cass. civ., Sez. II, 14 dicembre 2015, n. 25135, in Ilprocessocivile.it, 8 settembre 2016, con nota di R. Nardone, Intervento adesivo del terzo introdotto con la sottoscrizione dell’atto di citazione.

 Con riferimento all’intervento ad opponendum, la giurisprudenza amministrativa ha ammesso, ad esempio, l’intervento in giudizio del funzionario tecnico di un’Amministrazione comunale: così T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, 25 agosto 2017, n. 1423, in Giorn. dir. amm., 2018, 103 ss., con nota di F. Ielo, L’intervento adesivo dipendente nel processo amministrativo.

 Sul tema cfr. M. D’Orsogna, F. Figorilli, Lo svolgimento del processo di primo grado, La fase introduttiva, in F.G. Scoca (a cura di), Giustizia amministrativa, Torino, Giappichelli, 2013, 319 ss.

 Così T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 2 ottobre 2012, n. 2450, in Foro amm. TAR, 2012, 3045.

 Cons. Stato, Sez. VI, 21 giugno 2012, n. 3647, in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2011, n. 1445, in Foro amm. CdS, 2011, 902; Cons. Stato, Sez. IV, 17 luglio 2000, n. 3928, in Foro amm., 2000, 2617; da ultimo, in questo senso, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 30 giugno 2020, n. 4134, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Trento, Sez. I, 28 luglio 2020, n. 126, in Foro amm., 2020, 1497.

 Sul concetto di parte nel processo amministrativo cfr. F. Benvenuti, Parte nel processo (diritto amministrativo), in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1981, vol. XXXI, 962 ss., ora in Scritti giuridici, Vita e pensiero, Milano, 2006, vol. IV, 3625 ss.

 Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 1992, n. 855, in www.giustizia-amministrativa.it.

 Così, da ultimo, Cons. Stato, Sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 7293, in www.giustizia-amministrativa.it.

 Così Cons. Stato, Sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 853, in Foro amm., 2016, 302.

 T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, Sez. I, 20 aprile 2016, n. 237, in Foro amm., 2016, 1060 (s.m.).

 In tal senso T.A.R. Lazio, Roma, 2 dicembre 2013, n. 10329, in Foro amm. TAR, 2013, 3726; secondo M. Corradino, S. Sticchi Damiani, Il processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 2014, 260, “è confermato, anche nella vigenza del Codice, l’orientamento giurisprudenziale in base al quale non è ammissibile nel processo amministrativo l’intervento adesivo autonomo, ma solo l’intervento adesivo dipendente, essendo insegnamento costante della giurisprudenza quello secondo il quale il soggetto direttamente ed immediatamente leso da un provvedimento ha l’onere di impugnarlo tempestivamente, non essendo configurabile la c.d. figura del cointeressato del ricorrente, il quale non può neppure partecipare al giudizio in veste di interveniente adesivo dipendente”.

 Così Cons. Stato, Ad. Plen., 2 aprile 2020, n. 10, in Foro amm., 2020, 722 ss.

 Per un approfondimento del principio enunciato dalla norma costituzionale si rinvia a M. D’Amico, G. Arconzo, Art. 25, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, Utet 2006, 526 ss.; M. Nobili, Art. 25 Cost., in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, Zanichelli, 1981, 135 ss.; V. Andrioli, La precostituzione del giudice, in Riv. dir. proc., 1964, 325 ss.; E.T. Liebman, Giudice naturale e costituzione del giudice, in Riv. dir. proc., 1964, 331 ss.

 In senso analogo già Cons. Stato, Ad. Plen., 4 novembre 2016, n. 23, in Foro amm., 2016, 2628.

 Contra, T.A.R. Liguria, Sez. I, 1° giugno 2012, n. 754, in Foro amm. TAR, 2012, 1888 (s.m.), che conclude per l’inammissibilità nel giudizio amministrativo dell’intervento principale; in realtà, se ben si legge la motivazione del giudice ligure, la conclusione è più sfumata e sembra ammettere la possibilità di esperire l’intervento principale quanto meno nei casi di giurisdizione esclusiva ove vengano in rilievo diritti soggettivi, posto che “il silenzio della norma (gli artt. 28 e 50, n.d.a.) non consente di ammettere un intervento principale nella giurisdizione generale di legittimità o in quella esclusiva quando si faccia questione di interessi legittimi. Invero l’intervento principale in questi casi si risolve nell’impugnativa dello stesso atto già oggetto di giudizio da parte di altro soggetto per ragioni diverse e quindi con motivi diversi. Tale evenienza non è ammissibile. Infatti, a prescindere dal rispetto dei termini di impugnativa (che potrebbero essere comunque rispettati), l’azione impugnatoria può essere esercitata solo mediante la proposizione di ricorso (principale o incidentale) e con gli accessivi motivi aggiunti e non mediante l’intervento. E ciò in quanto l’oggetto della causa, che risulta non solo dal provvedimento impugnato ma anche dai motivi dedotti, non può essere ampliato se non attraverso gli strumenti a ciò presposti. Ma se l’oggetto della causa (il petitum) non può essere ampliato se non dal ricorrente stesso o dal controinteressato mediante ricorso incidentale, è evidente che l’intervento (depurato della sua valenza impugnatoria) si risolve nella mera esplicitazione di ragioni in favore del ricorrente e quindi in sostanza in un intervento ad adiuvandum. Tale intervento, tuttavia, sarà ammissibile solo quando adduca ragioni a sostegno di una delle parti e non quando le contrasti entrambe. Tra le righe della sentenza, pertanto, si scorge la possibilità di configurare un intervento principale quando il giudizio non si configuri nella sua tradizionale veste impugnatoria, e quindi principalmente nei casi di giurisdizione esclusiva cui siano sottese questioni di diritto soggettivo: non è difatti immaginabile che si attribuisca al giudice amministrativo la stessa cognizione del giudice civile e contestualmente non si offrano alle parti gli stessi strumenti processuali a tutela dei propri diritti.

 In linea generale, secondo I. Pagni, La giurisdizione tra effettività ed efficienza, in G.D. Comporti (a cura di), La giustizia amministrativa come servizio (tra effettività ed efficienza), Firenze, Firenze University Press, 2016, 85, il concetto di effettività deve valorizzare il principio chiovendiano, “in virtù del quale il processo deve dare al titolare di una situazione soggettiva tutto quello e proprio quello che il diritto sostanziale riconosce”; l’affermazione del principio è di G. Chiovenda, Della azione nascente dal contratto preliminare, in Saggi di diritto processuale civile, Milano, Giuffrè, 1930, Vol. I, 101 ss.; Id., Istituzioni di diritto processuale civile, Napoli, Editoriale Scientifica, 1923, ora in Principi di diritto processuale civile, Napoli, Editoriale Scientifica, 1965, 81, secondo cui “il processo deve dare per quanto è possibile praticamente a chi ha un diritto tutto quello e proprio quello ch’egli ha diritto di conseguire“. C.E. Gallo, Servizio e funzione nella giustizia amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 2020, 73 ss., nell’affermare che la giustizia amministrativa non può essere qualificata come servizio pubblico ma come funzione, ricorda che il sindacato prestato dal plesso giurisdizionale T.A.R. – Consiglio di Stato deve essere pieno e completo sull’attività dell’amministrazione: in questo senso occorre leggere l’effettività della tutela nell’ambito del processo amministrativo; in merito cfr. altresì le osservazioni di M.A. Sandulli, Processo amministrativo, sicurezza giuridica e garanzia di buona amministrazione, in Il Processo, 2018, 45 ss.

 S. Foà, Giustizia amministrativa, atipicità delle azioni ed effettività della tutela, Napoli, Jovene Editore, 2012, 74 ss.; così anche R. Giovagnoli, Il ricorso incidentale, in R. Giovagnoli, M. Fratini, Il ricorso incidentale e i motivi aggiunti, Milano, Giuffrè, 2008; sul punto cfr. I.M. Marino, Giurisdizione esclusiva e Costituzione, in V. Parisio, A. Perini (a cura di), Le nuove frontiere della giurisdizione esclusiva. Una riflessione a più voci, Milano, Giuffrè, 2002, 9 ss., ora in Scritti giuridici, a cura di A. Barone, Napoli, Esi, 2015, 996, secondo cui “una giurisdizione paritaria non può che essere quella dell’autorità giudiziaria ordinaria oppure una nuova giurisdizione amministrativa: quella esclusiva, che salvi il giudice amministrativo dall’essere travolto dall’evoluzione dell’ordinamento giuridico (sostanziale), che lo tiri fuori dalla giurisdizione sull’atto e lo affranchi dalla trappola delle situazioni giuridiche”; secondo A. Police, Il cumulo di domande nei “riti speciali” e l’oggetto del giudizio amministrativo, in Dir. proc. amm., 2014, 1197 ss., “se le previsioni del legislatore recente in tema di giurisdizione esclusiva consentono di superare anche le più serie ed autorevoli obiezioni alla teorica che ravvisa l’oggetto del processo amministrativo nel rapporto nel quale si iscrivono le situazioni a cui afferiscono gli interessi in contrasto, se ne deve concludere che anche tale ricostruzione dell’oggetto del giudizio può essere validamente impiegata nel nostro sforzo ricostruttivo della nuova giurisdizione amministrativa e dei suoi caratteri. Si può dire forse di più, sembra quasi che il legislatore abbia conformato la giurisdizione piena del giudice amministrativo proprio per dare attualità e concretezza a quel modello processuale di giustizia amministrativa paritaria ed effettiva il cui avvento era da tempo auspicato in dottrina”; sul carattere paritario del processo amministrativo cfr. V. Domenichelli, Per un processo amministrativo paritario, in Dir. proc. amm., 1996, 415 ss.

 Concorde è l’opinione di E. Picozza, Manuale di diritto processuale amministrativo, Milano, Giuffrè, 2016, 213 ss., secondo cui una spinta all’applicazione di tutti i tipi di intervento è venuta, da un lato, dalla disciplina sostanziale del procedimento amministrativo che, sulla scorta della posizione dottrinale di Giannini, ha disciplinato forma e sostanza del procedimento, prescrivendo i diritti dei soggetti interventori titolari di situazioni pubbliche, private, collettive e diffuse, e, dall’altro, dal diritto internazionale e comunitario, ma anche da quello costituzionale interno, che pretendono oramai che il rapporto tra Amministrazione e cittadini sia configurato come un vero e proprio rapporto giuridico sostanziale, tendenzialmente paritario, almeno quanto a garanzie procedimentali e processuali; in senso conforme, inoltre, L. Coraggio, L’intervento nel codice del processo amministrativo, in Giurisd. amm., 2011, IV, 304, a giudizio del quale in sede di giurisdizione esclusiva ed in materia di diritti soggettivi dovrebbero ritenersi ammissibili tutti i tipi di intervento previsti dal codice di procedura civile; così anche L. Ieva, Soggetti e parti del processo amministrativo, in R. Giovagnoli, L. Ieva, G. Pesce (a cura di), Il processo amministrativo di primo grado, Milano, Giuffrè, 2005, 276.

 Proprio della natura del giudizio amministrativo di legittimità: così F. Satta, Giustizia amministrativa, Padova, Cedam, 1997, 118 ss., secondo cui “nell’interpretazione che per un secolo se ne è data, l’idea del processo amministrativo come giudizio su atti ha condotto al paradossale risultato di frantumare il giudizio sull’atto, che esprime la definitiva volontà dell’amministrazione, in una sorta di somma di giudizi sui singoli atti del procedimento, effettivamente impugnati“; è necessario però ricordare la posizione di R. Villata, Corte di Cassazione, Consiglio di Stato e c.d. pregiudiziale amministrativa, in Dir. proc. amm., 2009, 897 ss., ora in Scritti di giustizia amministrativa, Milano, Giuffrè, 2015, 437 e Id., Nuove riflessioni sull’oggetto del processo amministrativo, in Aa. Vv., Studi in onore di Antonio Amorth, Milano, Giuffrè, 1982, vol. I, 707 ss., ora in Scritti di giustizia amministrativa, cit., 576 ss., che ritiene non configurabile il giudizio amministrativo come un giudizio su un rapporto, a differenza del processo civile, perché “le parti non sono in posizione di equiordinazione, avendo una di esse infatti il potere di disporre del bene; la norma non detta la disciplina per determinare la pertinenza del bene, ma regola le condizioni di esercizio del potere spettante alla parte in posizione di supremazia: al giudice, dunque, non spetta di assegnare il bene all’una o all’altra parte, ma di verificare che una di esse eserciti in modo corretto il potere, che l’ordinamento le riconosce, di disporre di quel bene”.

 Sul rapporto amministrativo si rinvia agli studi di G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano, Giuffrè, 1980; Id., Il rapporto amministrativo e le vicende della posizione del cittadino, in Dir. amm., 2014, 585 ss.; M. Protto, Il rapporto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2008.

 Concorde è la posizione di A. Bartolini, Art. 28-Intervento, in G. Morbidelli (a cura di), Codice della giustizia amministrativa, Milano, Giuffrè, 2015, 377 ss., secondo cui l’apertura del processo amministrativo alle varie tipologie di intervento volontario è sicuramente da accogliere con favore, poiché, “oltre ad essere in linea con le novità contenute nel c.p.a., rappresentano un adeguamento ai mutamenti di ordine sostanziale e processuale verificatisi negli ultimi anni. Difatti, la considerazione secondo cui non è logicamente pensabile che nel processo amministrativo vi sia una parte che vanti una situazione in contrasto sia con l’amministrazione resistente che con il privato ricorrente, risulta essere ancorata ad una visione dei rapporti sostanziali incentrata su uno schema bilatero e ad una concezione dell’oggetto del processo amministrativo di carattere pattizio”; concorde è anche l’opinione di V. Domenichelli, Le parti del processo, in S. Cassese  (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Milano, Giuffrè, 2003, Tomo V, 4340, secondo cui nelle fattispecie di giurisdizione esclusiva, “ove possono essere portate alla cognizione del giudice controversie riguardanti il rapporto prescindendo dall’impugnazione di un atto, si possono ipotizzare anche l’intervento principale, litisconsortile e adesivo“.

 Per un’approfondita ricostruzione dell’istituto nel processo amministrativo si rinvia a W. Troise Mangoni, L’opposizione di terzo nel processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 2004.

 G. Della Pietra, Opposizione di terzo: lo stato dell’arte, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2014, 1093, definisce l’opposizione di terzo come il più fluido tra i mezzi di impugnazione; ed invero, “è un’impugnazione, certo, ma non è data alla parte, e di regola non presume un vizio della sentenza. Postula un pregiudizio, d’accordo, ma – giocoforza, per le ragioni appena dette – non la soccombenza. È offerta al terzo, genericamente, per cui nebuloso resta il novero degli effettivi legittimati. È straordinaria, come talora la revocazione, ma nella versione standard è svincolata da ogni termine. Ha effetto demolitivo, le più volte, ma può anche spingersi a soppiantare nel merito la sentenza impugnata. Ha capacità sostituiva, dunque, ma non è detto che non possa arrestarsi a una mera declaratoria d’inopponibilità della decisione al terzo“.

 Corte cost., 17 maggio 1995, n. 177, in Foro it., 1996, I, 3318; in Giorn. dir. amm., 1995, 889, con nota di A. Baldanza, L’opposizione di terzo nel processo amministrativo; in Giur. it, 1995, I, 504 ss., con note di C. Cecchella, L’opposizione del terzo nella giustizia amministrativa, e di A. Police, L’opposizione di terzo nel processo amministrativo; in Giur. cost., 1995, 1429 ss., con nota di N. Seminara, L’istituto dell’opposizione di terzo ordinaria nel processo amministrativo; in Giur. cost, 1995, 3769, con nota di D. Corletto, Opposizione di terzo e principio del contraddittorio nel processo amministrativo; in Dir. proc. amm., 1996, 294 ss., con nota di F. Lorenzotti, La Corte costituzionale introduce l’opposizione di terzo ordinaria nel processo amministrativo; sull’apertura del giudizio amministrativo all’opposizione di terzo e, di conseguenza, alle varie tipologie di intervento previste nel nostro ordinamento cfr. M. Occhiena, Controinteressato, intervento ad opponendum e opposizione di terzo: il processo amministrativo tra declamazione e applicazione, commento a Cons. Stato, Sez. V, 22 febbraio 1993, n. 275, in Giur. it., 1993, 12 ss., che evidenzia come ciò sia derivato dal progressivo abbandono delle posizioni che delineavano il processo amministrativo come mero processo su un atto, nella sua tipica configurazione impugnatoria, dovendosi dare il giusto spazio ai rapporti ed alle situazioni di interesse sottese all’atto medesimo; sul punto già M.S. Giannini, Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in Riv. Dir. Proc, 1966, 40 ss., affermava che oggetto dell’accertamento giudiziale è il rapporto amministrativo e non tanto l’atto impugnato, dal momento che l’azione davanti al giudice è esercizio di un potere strumentale compreso nell’interesse legittimo; sulla tutela dei terzi e sul ruolo dell’opposizione di terzo cfr. W. Troise Mangoni, Controinteressato e opposizione di terzo nel processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1998, 656 ss., commento a T.A.R. Veneto, Sez. I, 11 aprile 1996, n. 629: secondo l’Autore, un’eventuale prospettiva che qualificasse l’opposizione di terzo come strumento ordinario di tutela dei terzi non solo non garantirebbe in modo pieno il rispetto del principio del contraddittorio, “ma determinerebbe effetti decisamente non desiderabili sull’intero sistema della giustizia amministrativa”, in quanto la proposizione di tale strumento di impugnazione diverrebbe la regola (e non l’eccezione come nel processo civile), con effetti dirompenti sul fondamentale valore della certezza dei rapporti giuridici così come definiti da una sentenza definitiva; ne consegue che all’opposizione di terzo deve essere assegnata “una funzione di chiusura del sistema, che garantisca la tutela dei terzi ove non siano intervenuti gli strumenti ordinari relativi alla corretta instaurazione del contraddittorio”.

 La presenza nell’ordinamento dell’opposizione di terzo comporta la necessità di ripensare la teoria dell’intervento nel processo: così F. Pugliese, L’opposizione di terzo. Riflessi sul processo e sulla funzione amministrativa, in Dir. e proc. amm., 2007, 539, che qualifica tale rimedio come “necessario (perché indefettibile), residuale (perché non su di esso si scaricano le ragioni di tutela delle parti, ma perché ad esso si perviene solo in funzione di chiusura dell’ordinamento processuale e perché a causa di esso si rilegge diversamente il processo), eventuale (perché evitabile con soluzioni satisfattorie alternative, in sede di esecuzione: e solo in questo senso facoltativo), ordinario (non potendosi considerare un rimedio extra ordinem, per la sua stessa natura e per il fatto che non può non essere – dotato com’è di asseitas.

 Per un’ampia trattazione della questione si permetta il rinvio a M. Ricciardo Calderaro, L’intervento nel processo amministrativo: antichi problemi e nuove prospettive dopo il Codice del 2010, in Dir. proc. amm., 2018, 336 ss.

 R. Dickmann, M. Iannaccone, Osservazioni sull’intervento nel processo amministrativo, in Riv. Corte conti, 1992, 6, 293 ss., concordano sull’ammissibilità di tutte le tipologie di intervento volontario in sede di giurisdizione esclusiva; “verrebbe infatti meno la pregiudiziale affermazione della regola della decadenza nei rigorosi termini cui essa è soggetta per la giurisdizione di annullamento, e in un certo senso verrebbe anche meno la severa considerazione delle parti del processo amministrativo come ruoli formalmente precostituiti dalla legge e come tali non modificabili (…) Questa osservazione sarebbe infatti dettata dall’esigenza di assicurare che la tutela giurisdizionale dei diritti davanti al giudice amministrativo sia dotata della medesima effettività, peraltro costituzionalmente garantita, che deriverebbe dall’applicazione degli strumenti processuali azionabili davanti al giudice civile”.

 Ed infatti, “incentivare l’intervento in giudizio dei soggetti che possano essere in qualche modo interessati serve a ridurre, per quanto possibile, il rischio di postume contestazioni del decisum attraverso la proposizione dell’opposizione di terzo”: così G. Mannucci, La tutela dei terzi nel diritto amministrativo, Rimini, Maggioli Editore, 2016, 152; sulla tutela dei terzi cfr. inoltre L. De Lucia, Provvedimento amministrativo e diritti dei terzi, Torino, Giappichelli, 2005, 1 ss.; in giurisprudenza Cons. Stato, Sez. VI, 8 aprile 2015, n. 1778, in Foro amm., 2015, 1097 ss., ha affermato che l’intervento in appello può costituire, anche nel sistema del processo amministrativo, una sorta di opposizione di terzo anticipata. 

 Così C. Mandrioli, A. Carratta, op. cit., vol. I, 458; con riferimento al processo amministrativo cfr. F. Lorenzotti, L’opposizione di terzo nel processo amministrativo davanti alla Corte Costituzionale, commento a Cons. Stato, Sez. VI, 29 aprile 1994, n. 615 (che ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del T.U. 26 giugno 1924, n. 1054 nella parte in cui non prevedeva l’applicabilità anche nel processo amministrativo dell’opposizione di terzo ex art. 404, co. 1, cod. proc. civ.), in Dir. proc. amm., 1995, 131 ss., che evidenzia come sia il principio del contradditorio di cui all’art. 24 Cost. sia il principio di economia processuale “esigono che l’oppositore di terzo abbia avuto in precedenza la possibilità di intervenire volontariamente o di essere chiamato nel processo“.; aggiunge, peraltro, che “la pura e semplice importazione dell’opposizione ordinaria di terzo introdurrebbe una notevole contraddizione nel sistema, mancando un rapporto di identità tra la situazione di chi può limitare o travolgere gli effetti del giudicato con l’opposizione ordinaria e chi è ammesso ad intervenire o è chiamato ad integrare necessariamente il contradditorio nei precedenti gradi del processo“.

 Concorde con quanto sostenuto nel testo è l’opinione di F.M. Tropiano, Le parti e i difensori, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, cit., 310, secondo cui nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo deve ritenersi ammissibile “qualsiasi tipo di intervento (autonomo, litisconsortile, adesivo dipendente), atteso che trattasi di un giudizio su un rapporto nel quale si tende ad ottenere l’accertamento dello stesso ovvero la condanna della P.A., anche in considerazione del fatto che non esistono termini decadenziali“; in tal senso, in giurisprudenza, cfr. anche T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 12 febbraio 2009, n. 1253, in Foro amm. TAR, 2009, 325 ss., con nota di N. Bassi, Difetto assoluto di attribuzione e nullità degli accordi amministrativi: alla ricerca di un difficile equilibrio; secondo il T.A.R. di Milano, l’intervento litisconsortile deve essere ammesso nel processo amministrativo di giurisdizione esclusiva, in quanto “tale processo vertendo in tema di diritti soggettivi (tanto più nella fattispecie qui in esame dove la cognizione del giudice ha espressamente ad oggetto la formazione, la conclusione e l’esecuzione dell’accordo) si svolge infatti (…) secondo un modello del tutto analogo a quello proprio del processo civile e nel quale possono essere fatte valere azioni di accertamento, costitutive e di condanna, il che rende perfettamente applicabile l’art. 105 c.p.c. in tutte le sue specificazioni“.

 Per una ricostruzione si rinvia a D. Corletto, Opposizione nel diritto processuale amministrativo, in Dig. disc. pubbl., Torino, Utet, 1999, vol. XIV, 563 ss.

 Cons. Stato, IV Sez., 9 giugno 1892, n. 172, in GA, 1892, I, 313, ha ritenuto che l’opposizione di terzo sia “rimedio che la legge, ispirandosi più agli interessi pubblici che ai meri privati, non ha creduto di ammettere dinanzi la IV sezione”; nello stesso senso Cons. Stato, Sez. IV, 7 gennaio 1895, n. 12, in GA, 1895, I, 24.

 Cfr., per una ricostruzione, C.E. Gallo, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, Giappichelli, 2020, 367.

 Posizione autorevolmente sostenuta da E. Cannada Bartoli, In tema di controinteressato pretermesso, in Giur. it., 1990, III, 1, 186 ss.; cfr. inoltre Id., la voce Processo amministrativo (considerazioni introduttive), in Noviss. Dig. It., Torino, Utet, Vol. XIII, 1966, 1083 ss.

 M. Nigro, Linee di una riforma necessaria e possibile del processo amministrativo, in Riv. Dir. Proc., 1978, 249 ss.

 Per una ricostruzione dell’evoluzione giurisprudenziale verso una nozione sostanziale di controinteressato si veda F. Pugliese, Nozione di controinteressato e modelli di processo amministrativo, Napoli, Esi, 1989, 161 ss.; più di recente cfr. lo studio di P. Lombardi, Le parti del procedimento amministrativo: tra procedimento e processo, Torino, Giappichelli, 2018.

 Cons. Stato, Sez. VI, 20 ottobre 1981, n. 502, in Foro amm., 1981, 1982 ss., in cui si afferma che nel giudizio amministrativo “… manca la figura del terzo legittimato a proporre opposizione ai sensi dell’art. 404 c.p.c, sicchè qualunque «interessato», che non sia anche parte necessaria del processo, deve essere messo in grado di far valere le sue ragioni mediante intervento nel giudizio, tra altre parti pendente, che possa pregiudicare in linea di fatto la sua posizione soggettiva. Né vi è ragione, se l’intervento avviene allo stato della causa, e cioè senza pregiudizio del diritto di difesa delle altre parti, di escludere l’intervento medesimo in grado di appello”.

 Che si distingue da quella revocatoria di cui all’art. 404, co. 2, cod. proc. civ., secondo cui “gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando è l’effetto di dolo o collusione a loro danno”: sul punto cfr. G. Olivieri, Opposizione di terzo, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino, Utet, 1995, vol. XIII, 116 ss. Sull’opposizione di terzo ordinaria si rimanda al tradizionale studio di A. Proto Pisani, Opposizione di terzo ordinaria, Napoli, Jovene, 1965.

 Esigenza già avvertita da E. Allorio, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, Giuffrè, 1935, 1 ss.

 In tema cfr. A. Travi, L’opposizione di terzo e la tutela del terzo nel processo amministrativo, in Foro it., 1997, III, 21 ss.

 Ad esempio, Cons. Stato, Sez. III, 16 maggio 2018, n. 2895, in www.giustizia-amministrativa.it.

 Così già evidenziava prima del Codice Cons. Stato, Ad. Plen., 11 gennaio 2007, n. 2, in Foro amm. CdS, 2007, 464 e 834 ss., con note di A. Bertoldini, L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, l’intervento in appello ex art. 344, c.p.c. e la legittimazione all’opposizione di terzo e di A.L. Tarasco, Il contraddittorio degli interessi dei consumatori nel giudizio amministrativo: profili problematici dell’impugnazione dei controinteressati sostanziali. L’Adunanza Plenaria, in questo caso, ha giudicato inammissibile l’opposizione di terzo avverso la sentenza del Tar che annulli una delibera dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, avanzata da un soggetto privato nella sua qualità di utente consumatore di gas, qualora l’opponente non abbia fornito alcun elemento particolare o titolo di differenziazione che lo legittimi ad una specifica contestazione in sede giudiziale della sentenza di primo grado, specie laddove questa abbia riguardato determinazioni dell’autorità in ordine alle attività svolte dalle imprese del settore, da cui il singolo utente possa trarne un eventuale vantaggio soltanto in via riflessa ed indiretta.

 Cons. Stato, Sez. IV, 18 novembre 2013, n. 5451, in Foro amm. CdS, 2013, 3012 ss.

 Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2017, n. 5550, in www.giustizia-amministrativa.it.

 Che ha eliminato il problematico inciso “titolare di una posizione autonoma e incompatibile”.

 Così, ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2013, n. 2390, in Foro amm. CdS, 2013, 1330 ss.

 Cons. Stato, Sez. III, 16 dicembre 2013, n. 6014, in Foro amm. CdS, 2013, 3363 ss.

 In tema cfr. C.E. Gallo, I poteri del giudice amministrativo in ordine agli effetti delle proprie sentenze di annullamento, in Dir. proc. amm., 2012, 280 ss.

 Sul giudicato amministrativo la letteratura è ampia: tra gli studi monografici si segnalano, ex multis, S. Valaguzza, Il giudicato amministrativo nella teoria del processo, Milano, Giuffrè, 2016; C. Cacciavillani, Giudizio amministrativo e giudicato, Padova, Cedam, 2005; P.M. Vipiana, Contributo allo studio del giudicato amministrativo: profili ricognitivi ed individuazione della natura giuridica, Milano, Giuffrè, 1990; M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, Cedam, 1989. Cfr., inoltre, F. Francario, Osservazioni in tema di giudicato amministrativo e leggi interpretative, in Dir. proc. amm., 1995, 277 ss.

 Da ultimo si rinvia a Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2020, n. 6318; Cons. Stato, Sez. II, 18 settembre 2020, n. 5472, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it, che hanno osservato che, “con riferimento poi ai provvedimenti in materia edilizia, è stata esclusa la sussistenza di controinteressati nel caso di impugnazione di un diniego di permesso di costruire, anche in sanatoria, atteso che la qualifica di controinteressato va riconosciuta non già a chi abbia un interesse anche legittimo, a mantenere in vita il provvedimento impugnato (e tanto meno a che ne subisca conseguenze soltanto indirette o riflesse), ma solo a chi dal provvedimento stesso riceva un vantaggio diretto ed immediato, ossia un positivo ampliamento della propria sfera giuridica”.

 Ed infatti, secondo Cons. Stato, Sez. V, 21 agosto 2020, n. 5164, in www.giustizia-amministrativa.it, rispetto al provvedimento di esclusione di un concorrente da una procedura di gara, adottato prima che sia intervenuta l’aggiudicazione dell’appalto, non sussistono controinteressati ai quali il ricorso debba essere notificato a pena di inammissibilità, anche in ragione del fatto che l’unico interesse tutelabile degli operatori concorrenti è quello all’aggiudicazione dell’appalto sul quale l’eventuale riammissione di uno di essi non ha incidenza determinante.

 Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5817, in www.giustizia-amministrativa.it.

 C.E. Gallo, Linee per una riforma non necessaria ma utile del processo amministrativo, in Il processo, 2020, 347 ss., osserva come “nella realtà la mancanza di un’azione di accertamento come azione autonoma non si avverte perché il giudice amministrativo è riuscito ad articolare in modo compiuto l’azione di condanna, anche quale azione di condanna pubblicistica, giungendo così sostanzialmente a coprire anche quello spazio che poteva essere coperto da un’azione di accertamento”.

 Per questo tipo di giudizio si rinvia a A. Scognamiglio, Rito speciale per l’accertamento del silenzio e possibili contenuti della sentenza di condanna, in Dir. proc. amm., 2017, 450 ss.; M. Ramajoli, Forma e limiti della tutela giurisdizionale contro il silenzio inadempimento, in Dir. proc. amm., 2014, 709 ss.; E. Sticchi Damiani, Il giudizio del silenzio come giudice del provvedimento virtuale, in Dir. proc. amm., 2010, 1 ss.; per la disciplina antecedente al Codice si rinvia a F.G. Scoca, Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, in Dir. proc. amm., 2002, 239 ss.; A. Travi, Giudizio sul silenzio e nuovo processo amministrativo, in Foro it., 2002, III, 227 ss.

 Così, ad esempio, Cons. Stato, Sez. III, 16 dicembre 2013, n. 6014, cit.; Cons. Stato, Sez. V, 2 maggio 2013, n. 2390

 Cfr. per questa posizione, già prima del Codice, Cons. Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2008, n. 230, in Foro amm. CdS, 2008, 162 ss.

 Si v. in dottrina, in termini generali, F.P. Luiso, Opposizione di terzo, in Encicl. giur., Roma, 1990, vol. XXI, 1 ss.; C.A. Nicoletti, Opposizione di terzo, in Encicl. dir., Milano, Giuffrè, 1980, vol. XXX, 481 ss.

 Da ultimo, Cons. giust. amm. Reg. Sicilia, sez. giurisd., 3 agosto 2020, n. 699, in Dir. & Giust., 5 agosto.

 Così, ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 31 maggio 2010, n. 1833, in Foro amm. CdS, 2010, 580; 

 Cons. Stato, Sez. VI, 30 luglio 2008, n. 3812, in Foro amm. CdS, 2008, 2153.

 Così Cons. Stato, Sez. V, 20 dicembre 2011, n. 6702, in Foro amm. CdS, 2011, 3708; ma già in questo senso Cons. Stato, Ad. Plen., 10 maggio 2011, n. 7, in www.giustizia-amministrativa.it, con riferimento alla legittimazione ad intervenire nel giudizio di appello di un’associazione iscritta nel registro delle associazioni e degli enti che svolgono attività a favore degli immigrati, in quanto titolare di un interesse di fatto ad una pronuncia giurisdizionalmente favorevole alla categoria dei propri soci.

 Per un’esaustiva trattazione dell’intervento in grado di appello si rimanda a S. Perongini, Le impugnazioni in generale, in G.P. Cirillo (a cura di), Il nuovo diritto processuale amministrativo, cit., 818 ss., che sottolinea come, in astratto, “nel processo amministrativo possono esperirsi tutte le forme di intervento volontario, indipendentemente dal fatto che si sia in presenza di casi appartenenti alla giurisdizione di legittimità, a quella di merito o a quella esclusiva. In concreto, tuttavia, le forme di intervento esperibili sono condizionate dalla sussistenza di connessione fra la posizione giuridica soggettiva posta a fondamento dell’intervento e quelle che appartengono già al processo“; cfr., inoltre, S. Oggianu, Intervento nel giudizio di impugnazione, in E. Picozza (a cura di), Codice del processo amministrativo, Torino, Giappichelli, 2010, 165 ss.; nonché N. Paolantonio, Commento all’art. 97, in G. Leone, L. Maruotti, C. Saltelli (a cura di), Codice del processo amministrativo, Padova, Cedam, 2010, 705 ss.; in giurisprudenza si cfr. l’interessante orientamento di Cons. Stato, Sez. IV, 29 agosto 2019, n. 5985, in Foro amm., 2019, 1244, secondo cui l’intervento ad opponendum nel secondo grado di giudizio, rispetto all’appello dell’amministrazione o del controinteressato, è esattamente speculare ad un non consentito intervento ad adiuvandum in primo grado per il soggetto titolare di posizione autonoma.

 

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