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La maggioranza di governo sta isolando l’Italia in Europa, bloccando la riforma del Mes che è stata invece approvata da tutti gli altri paesi. Non c’è alcun motivo valido per bloccare la riforma, ma solo un pregiudizio ideologico e il populismo anti-Europa. Riproponiamo un articolo di tre anni fa in cui spieghiamo in cosa consiste la riforma del Mes. 

Cos’è il Fondo salva-stati?

Il suo vero nome è in realtà Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Si tratta di un’istituzione europea, nata alla luce di un accordo intergovernativo tra i paesi che hanno adottato l’euro. Il Meccanismo eroga prestiti ai paesi che si trovino in difficoltà a finanziarsi sui mercati finanziari a tassi favorevoli. Lo ha fatto in passato con programmi di assistenza a favore di Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro. Ha un capitale versato da tutti i paesi dell’Eurozona e si finanzia emettendo debito sul mercato.

Con la riforma sul tappeto, sarà più difficile accedere ai prestiti erogati dal Mes?

No. Il Mes ha due strumenti a sua disposizione: prestiti e linee di credito. I primi prevedono l’effettiva erogazione di soldi in prestito ai governi in difficoltà, il secondo fornisce una garanzia di intervento, che può essere attivata dal paese beneficiario in caso di necessità. Finora solo il primo strumento (il prestito) è stato utilizzato e su questo la riforma non prevede alcuna novità.
Per quanto riguarda le linee di credito, da un lato la riforma rende più precisa e cogente la cosiddetta “condizionalità ex-ante” per accedere a un primo tipo di linea di credito (Precautionary conditioned credit line – Pccl). Dovranno essere rispettati i paletti posti dalle regole europee di finanza pubblica, tra cui: rapporto deficit/Pil sotto il 3 per cento, rapporto debito/Pil sotto il 60 per cento o in avvicinamento a questo livello, saldo strutturale al di sopra di un minimo prestabilito. D’altro canto, la riforma elimina la cosiddetta “condizionalità ex-post” su questa linea di credito: non sarà più necessario concordare un Memorandum of understanding (Mou) contenente condizioni di aggiustamento fiscale e macroeconomico per l’ottenimento dei prestiti (come avvenuto per esempio nel caso greco). Sarà sufficiente una lettera di intenti, nella quale il paese interessato dovrà indicare come intende soddisfare i criteri di ammissibilità; la coerenza di questa lettera con le regole e le procedure fiscali europee sarà valutata dalla Commissione europea. In ogni caso, se anche un paese non soddisfi alcuni paletti posti dalle regole fiscali europee, potrà comunque accedere a un secondo tipo di linea di credito (Enhanced conditions credit line – Eccl), ma in questo caso occorrerà la firma di un Memorandum of understanding.

La riforma imporrà la ristrutturazione del debito pubblico?

No. Non si prevede alcun nesso automatico tra richiesta di assistenza finanziaria al Mes e ristrutturazione del debito pubblico. Quello che avverrà, ma è già previsto dalle regole attuali, è che vi sarà un’analisi di sostenibilità del debito del paese che fa richiesta di assistenza. In sostanza si valuta se, grazie agli aiuti europei e alle misure concordate, un paese sarà in grado di riportare il rapporto tra debito pubblico e Pil su una traiettoria discendente, tale da scongiurare una futura insolvenza. Se questa valutazione desse un esito negativo, prima di accordare il prestito si dovrebbe procedere a una ristrutturazione del debito, imponendo dunque dei costi ai detentori dei titoli: taglio del valore delle obbligazioni e/o degli interessi, allungamento delle scadenze di rimborso. La novità rispetto alla situazione attuale è un maggiore coinvolgimento del Mes nella analisi di sostenibilità, attualmente affidata alla Commissione e alla Banca centrale europea (ed eventualmente al Fondo monetario internazionale). Qui potrebbe inserirsi un aspetto critico, dovuto alla diversa governance politica del Mes, che è una istituzione intergovernativa: nel suo Board of governors siedono i ministri delle finanze dei paesi membri. La preoccupazione è che la valutazione affidata ai paesi creditori possa essere più severa di quella della Commissione, che riflette invece un punto di vista europeo. Ma c’è da domandarsi quanto in pratica ci sia differenza. Le risorse del Mes sono soldi dei paesi membri ed è già previsto che ciascuno di questi debba approvare il finanziamento perché questo avvenga, in qualche caso anche coinvolgendo i propri parlamenti.

Cosa cambia per le Clausole di azione collettiva?

Un aspetto tecnico rilevante della proposta di riforma è l’introduzione delle cosiddette single-limb Cac (Clausole di azione collettiva) per i titoli di debito emessi in futuro. Per procedere alla ristrutturazione del debito tramite un accordo con i creditori privati (il cosiddetto private sector involvement) occorre avere il consenso di una maggioranza qualificata dei creditori. Una volta ottenuto, l’accordo vale per tutti. Attualmente questo principio viene applicato a ogni serie di debito emesso. Ciò permette a un singolo creditore, tipicamente un fondo d’investimento che detenga una quota significativa di una emissione, di bloccare la ristrutturazione del debito (o di una sua parte). La riforma prevede un meccanismo diverso, che misuri il quorum di consensi su base aggregata, cioè sull’insieme delle emissioni: in questo modo sarà più difficile per un singolo investitore detenere una quota tale da essere in grado di bloccare la ristrutturazione. Come sempre, queste misure, se utili ex post, nel caso un paese avesse deciso di ristrutturare il proprio debito, possono essere pericolose ex ante, nel senso di poter spaventare gli eventuali futuri sottoscrittori, spingendo verso l’alto gli interessi da questi richiesti per detenere i titoli. C’è dunque la preoccupazione che l’introduzione del single limb possa creare un terremoto sui mercati finanziari. Tuttavia, l’introduzione delle attuali Cac nel 2013 aveva suscitato gli stessi timori che però sono stati disattesi; l’introduzione è avvenuta nella totale indifferenza dei mercati.

La riforma del Mes ha qualcosa a che fare con l’Unione bancaria?

Si. Essa prevede che il Mes possa erogare prestiti al Fondo europeo destinato a gestire le crisi bancarie: il Single Resolution Fund (Srf). Questa è una novità positiva e da tempo richiesta nel dibattito europeo da paesi come il nostro. Essa consentirà al Srf di disporre di una linea di sicurezza (common backstop) in caso esaurisca le sue risorse. Il fatto che questa linea di sicurezza sia fornita dal Mes è significativo: si tratta di una prima forma, seppure limitata, di condivisione dei rischi tra i paesi della zona euro. Finora, le risorse fiscali usate nelle crisi bancarie erano solo quelle nazionali. Certo è che il completamento dell’Unione bancaria richiede anche altre riforme, a cominciare dall’introduzione di una assicurazione europea dei depositi. Su questo fronte, la recente proposta avanzata dal ministro delle finanze tedesco Olaf Scholz è ancora molto deludente: non si tratta di una vera assicurazione, ma solo di un sistema di prestiti che interverrebbe in seconda battuta, una volta esaurite le risorse dei fondi di assicurazione nazionali. Ed è su questo fronte che il governo italiano dovrebbe dare battaglia.

*Massimo Bordignon è membro dello European Fiscal Board

** Articolo originariamente pubblicato il 22/11/2019

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Massimo Bordignon



Si è laureato in Filosofia a Firenze e ha svolto studi di economia nel Regno Unito (MA, Essex; PhD, Warwick). Si occupa prevalentemente di temi di economia pubblica. Ha insegnato nelle Università di Birmingham, Bergamo, Brescia, Venezia e come visiting professor negli USA, in Svezia, Germania e Cina. Attualmente è professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l’università Cattolica di Milano, dove ha diretto anche il Dipartimento di Economia e Finanza e la Doctoral School in Public Economics. Ha svolto e svolge tuttora attività di consulenza per enti pubblici nazionali e internazionali ed è stato membro di numerose commissioni governative, compresa la Commissione sulla Finanza Pubblica presso il Ministero del Tesoro nel 2007-8. È attualmente membro dell’European Fiscal Board, un comitato di consulenza del Presidente della Commissione Europea e Vicepresidente esecutivo dell’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica.

Angelo Baglioni

BAGLIONINUOVA

È professore ordinario di Economia Politica presso l’Università Cattolica di Milano. È direttore di Osservatorio Monetario e membro del Comitato direttivo del Laboratorio di Analisi Monetaria (Università Cattolica e ASSBB). E’ presidente di REF Ricerche. Dal 2018 al 2020 è stato membro del Banking Stakeholder Group della European Banking Authority. Dal 1988 al 1997 è stato economista presso l’Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana (ora Intesa Sanpaolo). I suoi interessi di ricerca si collocano nell’area dell’economia monetaria e finanziaria. Ha scritto numerosi articoli su riviste internazionali e libri; l’ultimo è Monetary policy implementation (Palgrave 2024).

 

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