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Un avvocato svolge la propria attività professionale a favore di un’associazione dilettantistica e la controversia per cui ha ricevuto il mandato viene definita con un provvedimento nel 2013. Il professionista, non ricevendo il pagamento delle proprie competenze, nel 2015 ottiene un decreto ingiuntivo e lo notifica, unitamente al precetto, al debitore principale e al fideiussore. Quest’ultimo propone opposizione ex art. 615 c.p.c. deducendo l’estinzione dell’obbligazione, atteso che è spirato il termine di 6 mesi, previsto dall’art. 1957 c.c., decorrente dalla data di emissione del provvedimento (nel 2013). La citata disposizione prevede che “il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore […]”.

Da quanto decorre il termine decadenziale entro cui il creditore deve attivarsi contro il debitore principale?

La Corte di Cassazione, Sezione III, con l’ordinanza del 24 agosto 2023, n. 25197 (testo in calce), precisa che il termine di 6 mesi decorre dalla scadenza dell’obbligazione, vale a dire dal momento in cui il creditore può pretendere l’adempimento. A tal proposito, gli ermellini operano un rinvio alla disposizione sulla prescrizione presuntiva triennale per le competenze degli avvocati (art. 2957 c. 2 c.c.) ove il termine decorre dalla conclusione del giudizio per cui il legale ha svolto la propria prestazione e tale momento coincide con la pubblicazione del provvedimento decisorio definitivo. I giudici di legittimità chiariscono altresì che, secondo l’art. 1957 c.c., non è sufficiente che il creditore agisca in via stragiudiziale, ad esempio, inviando una nota pro forma al debitore o notificando un atto di precetto non seguito dall’esecuzione, ma l’istanza deve essere giudiziale.

I Contratti, Direzione scientifica: Breccia Umberto, Carnevali Ugo, D’Amico Giovanni, Macario Francesco, Granelli Carlo, Ed. IPSOA, Periodico. Rivista di dottrina, giurisprudenza e pratiche contrattuali nazionali e internazionali, arbitrato e mediazione.
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La vicenda

Un legale riceve un incarico professionale da parte di un’associazione sportiva dilettantistica per rappresentarla in una controversia pendente dinnanzi alla Commissione disciplinare e la questione viene definita nel febbraio del 2013. L’avvocato, a fronte del mancato pagamento delle proprie competenze, agisce in via monitoria, l’associazione ingiunta propone opposizione ma viene rigettata. Il creditore notifica l’atto di precetto unitamente al titolo esecutivo sia all’associazione sia al Presidente e Direttore generale della stessa.

Questi ultimi propongono opposizione ex art. 615 c.p.c. e, tra le varie censure, sostengono che sia applicabile l’art. 1957 c.c. a tenore del quale il creditore può agire contro il fideiussore a patto che abbia proposto le proprie istanze verso il debitore entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale. In primo e secondo grado, viene accolta l’opposizione a precetto presentata dai fideiussori. L’avvocato, infatti, ha agito contro il debitore principale (l’associazione) dopo oltre due anni dall’emissione del provvedimento della Commissione disciplinare (atto con il quale si è esaurito l’incarico del professionista), pertanto, non ha rispettato il suddetto termine e l’obbligazione si è estinta.

Si giunge così in Cassazione.

Premessa: termine di decadenza di 6 mesi e liberazione del fideiussore

La fideiussione è il contratto con cui una parte (fideiussore o fideiubente) garantisce l’adempimento dell’obbligazione del debitore principale (fideiuvato) nei confronti del creditore. È un’obbligazione di garanzia e ha natura accessoria rispetto all’obbligazione principale, per cui se quest’ultima viene meno, automaticamente cessa anche l’obbligazione fideiussoria. Il fideiussore e il debitore sono obbligati solidalmente verso il creditore (art. 1944 c. 1 c.c.), eccezion fatta per il beneficio di preventiva escussione (art. 1944 c. 2 c.c.).

La liberazione del fideiussore può avvenire:

a) per una condotta colposa e antigiuridica del creditore (art. 1955 c.c.),

b) per il mancato esercizio del diritto da parte del creditore entro 6 mesi dalla scadenza dell’obbligazione (art. 1957 c.c.).

Nel caso in esame, viene in rilievo proprio l’art. 1957 c.c. rubricato “scadenza dell’obbligazione principale” (sub b) che stabilisce quanto segue.

  • Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro 6 mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate (comma 1).
  • La disposizione si applica anche al caso in cui il fideiussore abbia espressamente limitato la sua fideiussione allo stesso termine dell’obbligazione principale. In questo caso però l’istanza contro il debitore deve essere proposta entro 2 mesi (commi 2 e 3)
  • L’istanza proposta contro il debitore interrompe la prescrizione anche nei confronti del fideiussore (comma 4).

Per completezza espositiva si segnalano due decisioni aventi ad oggetto la clausola di rinuncia all’applicazione dell’art. 1957 c.c. contenuta nei contratti di fideiussione omnibus basati sullo schema predisposto dall’ABI e dichiarato contrario alla disciplina antitrust: la prima delle Sezioni Unite (Cass. SS. UU. 41994/2021) e la seconda del Tribunale di Reggio Emilia (sent. 1336/2021).

La scadenza dell’obbligazione e la decorrenza del termine decadenziale

L’avvocato si duole del fatto che i giudici di merito abbiano ritenuto esigibile il suo credito dal momento dell’emissione del provvedimento della Commissione disciplinare, facendo decorrere da allora il termine semestrale di cui all’art. 1957 c.c. Il legale ritiene invece che, in mancanza di un contratto tra le parti, il credito sia esigibile solo allorché intervenga un titolo giudiziale che ne determini il preciso ammontare. Il titolo in questione è il decreto ingiuntivo ottenuto dal creditore e la sentenza con cui è stata rigettata l’opposizione del debitore. Inoltre, il professionista sostiene che al caso di specie non sia applicabile la diposizione dettata in materia di prescrizione presuntiva relativa alle competenze degli avvocati, in quanto le due disposizioni (l’art. 2957 c. 2 c.c. e l’art. 1957 c.c.) avrebbero una diversa ratio.

La Suprema Corte considera infondata la doglianza e si sofferma sull’individuazione del momento in cui l’obbligazione diviene esigibile per il professionista, perché da allora decorre il termine di decadenza semestrale.

L’art. 1957 c.c. menziona la “scadenza dell’obbligazione principale”.

Quando il creditore può pretendere l’adempimento?

Per individuare tale momento, la giurisprudenza fa riferimento alla norma in materia di prescrizione presuntiva triennale (art. 2957 c. 2 c.c.). In quel caso, il termine decorre dalla conclusione del giudizio per cui il legale ha svolto la propria prestazione, perché da allora il corrispettivo diviene esigibile, salva diversa pattuizione (Cass. 7378/2009). È da tale momento che l’obbligazione può considerarsi “scaduta”.

Riassumendo, il dies a quo della prescrizione presuntiva per le competenze degli avvocati coincide con l’esaurimento dell’affare per il cui compimento è stato attribuito il mandato, ossia la pubblicazione del provvedimento decisorio definitivo (Cass. 13774/2004; Cass. 13401/2015; Cass. 21943/2019; Cass. 4595/2020). Le eventuali successive attività svolte dall’avvocato, quantunque legate alla decisione definitiva – come i procedimenti esecutivi volti a rendere effettivo il diritto – costituiscono prestazione di una nuova attività che, in quanto tale, è soggetta ad un autonomo termine di prescrizione (Cass. 21943/2019). Si ricorda che, prima della conclusione del giudizio, la prescrizione presuntiva inizia a decorrere solo allorché sia cessato il rapporto con il cliente, ad esempio, per il decesso di quest’ultimo; in tale circostanza, il rapporto di mandato si estingue e ciò comporta l’insorgenza del diritto del legale alle proprie competenze (Cass. 40626/2021; Cass. 7281/2012; Cass. 2987/1979).

Accordo creditore-debitore su dilazione di pagamento: non rileva ai fini del termine

Nella fattispecie oggetto di scrutinio, l’obbligazione principale (facente capo all’associazione) è scaduta ed è divenuta esigibile con l’esaurimento dell’attività professionale del ricorrente, ossia dalla data in cui è intervenuto il provvedimento della Commissione disciplinare (nel febbraio 2013).

La ratio del termine semestrale previsto dall’art. 1957 c.c. consiste nell’evitare che il fideiussore sia esposto all’incremento dell’importo garantito a causa dell’inerzia del creditore. Infatti, potrebbe accadere che quest’ultimo non si attivi tempestivamente di fronte all’inadempimento del debitore principale, lasciando aumentare l’esposizione debitoria, contando sulla responsabilità solidale del fideiussore (Cass. 15902/2014). In ragione di ciò, la giurisprudenza ha chiarito che «eventuali accordi tra il creditore e il debitore principale, che possano eventualmente dilazionare il termine di pagamento del debitore principale, non hanno rilevanza sul termine di decadenza previsto dall’art. 1957 c.c. in favore del fideiussore» (Cass. 12901/1993). In buona sostanza, non è opponibile al fideiussore l’accordo tra il creditore e il debitore principale, raggiunto dopo la conclusione del negozio giuridico che ha regolato l’obbligazione principale, che dilazioni il termine di pagamento per il debitore e deroghi alla disciplina di cui al primo comma dell’art. 1957 c.c., spostando “ad libitum” il termine di decadenza. Un simile accordo vincola solo i paciscenti (creditore e debitore) e non il terzo, quale è il fideiussore. Pertanto, un’eventuale “proroga” del termine di adempimento opera a rischio del creditore che può vedere estinguersi la garanzia fideiussoria.

Istanza contro il debitore”: non basta un atto stragiudiziale

L’art. 1957 c.c. prevede che l’obbligazione del fideiussore permanga anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale “purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”. Le istanze menzionate dalla norma devono avere carattere giudiziale, ossia il creditore deve esperire un’azione giudiziale, al fine di ottenere l’accertamento e il soddisfacimento delle proprie pretese (Cass. 2898/1976). In altre parole, è necessario ricorrere ad un «mezzo di tutela processuale, volto ad accertare, in via di cognizione o esecutivamente, secondo le forme e i modi di legge, l’accertamento ed il soddisfacimento delle pretese del creditore» a prescindere dall’esito e della concreta idoneità a raggiungere l’obiettivo (Cass. 1724/2016; Cass. 7502/2004; Cass. 6823/2001).

Pertanto, non valgono come “istanza” ex art. 1957 c.c.:

  • la notifica di un atto stragiudiziale come è la nota pro forma inviata dal ricorrente all’associazione, debitore principale (Cass. 283/1997),
  • l’atto di precetto notificato ma non seguito dall’esecuzione (Cass. 1724/2016).

Conclusioni: decadenza maturata e ricorso rigettato

Secondo i giudici di merito, l’obbligazione è scaduta nel febbraio 2013 (data dell’emissione del provvedimento della Commissione disciplinare) e da quel momento è iniziato a decorrere il termine di 6 mesi per il recupero del credito. Il primo atto di natura giudiziale posto in essere dall’avvocato è stato il ricorso monitorio depositato del 2015, pertanto, il legale è incorso nella decadenza di cui all’art. 1957 c.c.

In conclusione, la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite a favore del controricorrente per 3.400,00 euro oltre oneri oltre al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13 c. 1 quater DPR 115/2002.

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