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Orientamenti giurisprudenziali

Conformi:

Cassazione penale, sezione V, 4 novembre 2021, n. 44666

Cassazione penale, sezione V, 8 ottobre 2020, n. 33114

Cassazione penale, sezione V, 24 settembre 2020, n. 32413

Cassazione penale, sezione V, 14 luglio 2017, n. 43977

Difformi:

Non si rinvengono precedenti

La Cassazione ribadisce che per riconoscere la responsabilità dell’amministratore testa di legno di società fallite non è sufficiente richiamare la mera posizione di garanzia derivante dall’assunzione della carica. Infatti, in caso di bancarotta patrimoniale e di bancarotta impropria, occorre che lo stesso abbia quanto meno la generica consapevolezza, pur non riferita alle singole operazioni, delle attività illecite compiute dalla società per il tramite dell’amministratore di fatto, mentre in tema di bancarotta documentale, l’amministratore di diritto risponde di tale reato purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato

Il fatto

La Corte d’appello di Milano confermava la sentenza di condanna di un amministratore unico di una società fallita per i delitti di bancarotta fraudolenta documentale (per avere sottratto o distrutto i libri e le scritture contabili, non consegnate al curatore, in pregiudizio dei creditori ed al fine di profitto) e di bancarotta impropria per avere cagionato il fallimento della srl, omettendo di versare le imposte dovute per un totale di euro 2.666.832,43, a fronte di un debito complessivo pari ad euro 2.909.335,04.

In particolare, l’imputato, divenuto amministratore nel 2013, era ritenuto essere stato il prestanome degli amministratori di fatto della fallita e, immediatamente dopo il fallimento, si era reso irreperibile, recandosi in Marocco, e, neppure quando era stato rintracciato, aveva consegnato al curatore alcuna delle scritture contabili; tutto ciò premesso in fatto, la Corte osservava come il prevenuto, pur mero prestanome degli amministratori di fatto, avrebbe dovuto impedire, per la posizione di garanzia ricoperta, la condotta illecita degli amministratori in ordine alla tenuta della contabilità, così come avrebbe dovuto informarsi circa i rilievi mossi dall’Agenzia delle entrate in ordine ai mancati pagamenti dell’IVA ed a vigilare sul regime fiscale adottato dalla società. Quanto all’elemento soggettivo ed in particolare la consapevolezza dell’agire illecito degli amministratori di fatto, la prova veniva desunta dalla circostanza gli era stato offerto un compenso per assumere quella carica che avrebbe loro consentito di consumare i descritti illeciti senza esserne chiamati a risponderne.

In sede di ricorso per cassazione, la difesa lamentava la mancata prova circa l’elemento soggettivo per entrambi i reati. Si era, infatti, accertato che il prevenuto aveva assunto solo formalmente la carica di amministratore della fallita e, quanto alla bancarotta documentale, la Corte territoriale aveva dedotto la sua responsabilità dalla mera posizione di garanzia ricoperta e dalla constatazione, riferita dal curatore, che lo stato delle scritture contabili non aveva consentito la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari, così però richiamando gli elementi costitutivi della diversa ipotesi di bancarotta documentale, la bancarotta “generica”, ritenendo così sufficiente la sussistenza del dolo generico, neppure affrontando il tema della configurabilità del dolo specifico, ed aveva ricollegato la consapevolezza del prevenuto circa l’inadempimento degli obblighi contabili al solo possesso di un smart card che aveva consegnato al commercialista.

Anche la bancarotta impropria gli era stata attribuita a cagione del mancato controllo delle pendenze della società presso gli uffici finanziari mentre sarebbe stato provare la sua consapevolezza circa lo stato e la conservazione delle scritture contabili e circa i debiti erariali accumulati, consapevolezza che trovava, nel caso di specie, documentale smentita nei dati di bilancio in cui si era indicato un credito e non un debito verso il fisco.

La decisione

La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso.

Si ricorda che da tempo la giurisprudenza ritiene che, nel caso dell’amministratore solo formale di società fallite, non sia sufficiente, per dichiararne la colpevolezza, neppure nel caso della bancarotta documentale, richiamare la mera posizione di garanzia derivante dall’assunzione della carica. Infatti, mentre in caso di bancarotta patrimoniale e di bancarotta impropria, l’elemento soggettivo del dolo, in forma diretta o eventuale, dell’amministratore formale, postula almeno la generica consapevolezza, pur non riferita alle singole operazioni, delle attività illecite compiute dalla società per il tramite dell’amministratore di fatto (Cass. pen., sez. V, 24 settembre 2020, n. 32413), in tema di bancarotta documentale, l’amministratore di diritto risponde di tale reato, per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori delle scritture contabili, anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita, in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato (Cass. pen., sez. V, 14 luglio 2017, n. 43977).

In particolare, in una più recente pronuncia si è sostenuto che, per la sussistenza del dolo dell’amministratore solo formale, non occorre che questi si sia rappresentato ed abbia voluto gli specifici interventi da altri realizzati nella contabilità volti ad impedire o a rendere più difficoltosa la ricostruzione degli affari della fallita, ma è sufficiente che l’abdicazione agli obblighi da cui è gravato sia accompagnata dalla rappresentazione della significativa possibilità dell’alterazione fraudolenta della contabilità e dal mancato esercizio dei poteri-doveri di vigilanza e controllo che gli competono (Cass. pen., sez. V, 4 novembre 2021, n. 44666).

A nessuno di questi principi aveva, secondo la Cassazione, prestato osservanza la sentenza di merito, posto che aveva attribuito le diverse condotte, di bancarotta impropria e di bancarotta documentale, alla sola posizione di garanzia assunta dall’odierno imputato, di mero amministratore formale della società. Quanto alla circostanza, sottolineata dai giudici di merito, rappresentata dal fatto che l’imputato aveva percepito un compenso per assumere una carica solo formale, senza che ne fosse derivato impegno lavorativo alcuno, secondo i giudici di legittimità costituisce un’argomentazione “circolare”, perché afferisce a qualunque amministratore “testa di legno”, anche quelli che avvengono nominati a fini eventualmente diversi (per evitare profili di incompatibilità, di conflitto di interesse, anche privi di rilievo penale) da quelli di coprire le responsabilità per le condotte di vera e propria bancarotta, patrimoniale, documentale o impropria, che gli amministratori di fatto intendono consumare dietro lo schermo di un prestanome.

Inoltre, quanto alla bancarotta documentale, viene evidenziato come la Corte d’appello avesse motivato la sussistenza del dolo in capo al prevenuto, oltre che limitandosi a esaltarne la sola funzione di garanzia, anche equivocando sulla ipotesi al medesimo contestata, facendo riferimento al dolo generico piuttosto che al dolo specifico, come avrebbe dovuto essendo stata contestata la prima ipotesi fra quelle previste dall’art. 322, comma 1 lett. b), d.lgs. n. 14 del 2019.

Si è infatti precisato che in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 322 citato – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Cass. pen., sez. V, 8 ottobre 2020, n. 33114).

In fatto, poi, era emerso come le scritture contabili – così aveva riferito il commercialista della società – erano state da questi affidate agli amministratori di fatto per la loro tenuta, così che la mera disponibilità da parte del prevenuto della apposita smart card non dimostra compiutamente che costui ne conoscesse lo stato.

Anche in riferimento alla bancarotta impropria per cagionamento del fallimento mediate operazioni dolose, la difesa aveva opposto che le comunicazioni dell’Agenzia delle entrate erano pervenute al commercialista (che riferiva ai soli amministratori di fatto) e che il prevenuto aveva avuto accesso ai soli bilanci della società che riportavano però, dei crediti con il fisco e non affatto i debiti che poi erano, invece, maturati. Circostanze che la Corte non aveva adeguatamente valutato, fermandosi alla mera posizione di garanzia assunta dall’imputato accettando la carica di amministratore della società poi fallita.

Esito del ricorso:

Accoglimento del ricorso, con annullamento con rinvio

Riferimenti normativi:

Art. 322, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 14/2019

Art. 329 D.Lgs. n. 14/2019

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