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Premessa

La Legge delega di riforma fiscale n. 111/2023 con l’art. 18 ha nuovamente posto alla ribalta l’annoso problema della riscossione dei tributi che, nonostante i tanti interventi di riforma (dalle esattorie ai concessionari della riscossione, a Riscossione s.p.a., poi ridefinita “Equitalia” e da ultimo “Agenzia delle Entrate-Riscossione”) è da sempre tacciata di scarsa efficienza.

Si prevede, al riguardo (e sarà l’ennesima modifica da parte del legislatore), l’individuazione di un nuovo modello organizzativo del sistema nazionale della riscossione, da attuarsi anche con il passaggio delle funzioni e delle attività oggi svolte dall’agente nazionale della riscossione, o di parte delle stesse, all’Agenzia delle Entrate. In tal modo si pensa di far venir meno quella duplicità che al momento caratterizza il nostro sistema di riscossione e che vede:

  • l’Agenzia delle Entrate come creditore dei tributi, in quanto titolare della pretesa impositiva;
  • l’Agenzia delle Entrate-Riscossione come il soggetto che attiva la procedura di recupero coattivo dei tributi.

Criteri direttivi e norme in materia di espropriazione forzata in generale

Tra i criteri direttivi che dovranno essere osservati in sede di redazione dei decreti delegati, il Governo dovrà seguire, tra l’altro, quelli di (art. 18):

“a) incrementare l’efficienza dei sistemi della riscossione, nazionale e locali, e semplificarli, orientandone l’attività secondo i principi di efficacia, economicità e imparzialità e verso obiettivi di risultato (…);
b) assicurare un’adeguata tutela del contribuente nel corso delle attività istruttorie poste in essere dall’Amministrazione finanziaria;

c) favorire l’uso delle più evolute tecnologie e delle forme di integrazione e interoperabilità dei sistemi e del patrimonio informativo funzionale alle attività della riscossione ed eliminare duplicazioni organizzative, logistiche e funzionali, con conseguenti riduzioni di costi.

Per meglio valutare l’impatto dei criteri che informeranno la futura riscossione, occorre rammentare che la c.d. “procedura esattoriale” è regolata da specifiche disposizioni del D.P.R. n. 602/1973 poste in deroga alle norme del codice di procedura civile in materia di espropriazione forzata in generale.

Peraltro, va del pari segnalato che le disposizioni del suddetto decreto non si sovrappongono sempre a quelle del c.p.c. Quest’ultimo, infatti, resta il riferimento principale per il recupero coattivo dei tributi con la conseguenza che spetta pur sempre all’interprete valutare quando la disciplina esattoriale debba essere o meno integrata dalle norme del c.p.c.

A ciò si deve aggiungere che la riscossione coattiva dei tributi si differenzia dal codice di rito per diversi aspetti:

  • per il tipo di atto di pignoramento e il titolo esecutivo (ruolo/cartella di pagamento e avviso di accertamento esecutivo);
  • per le modalità di vendita dei beni pignorati, caratterizzate dalla massima celerità e sottratte al preventivo controllo del giudice dell’esecuzione.

Quest’ultimo interviene in modo molto limitato e, in alcune ipotesi, solo eventualmente rispetto a quanto contemplato nel rito esecutivo ordinario.

Si segnala che le funzioni tipicamente esercitate dagli ufficiali giudiziari sono svolte da altri soggetti e cioè dagli ufficiali esattoriali e che la procedura esattoriale si svolge ad istanza di un soggetto che, come prima si accennava, è diverso dal titolare della pretesa impositiva.

Procedura esattoriale: termini, emolumenti e modalità dell’atto del pignoramento

Notifiche e scadenze

Il D.P.R. n. 602/1973 stabilisce, poi, che per la vendita del compendio pignorato non occorra l’autorizzazione del giudice e che essa possa avvenire solo con l’incanto (art. 52). In altre parole, nella procedura esattoriale non sarebbe ammessa la vendita senza incanto in alternativa alla prima, si potrebbe contemplare una vendita in modalità telematica anche se fosse divenuta obbligatoria nell’espropriazione immobiliare ai sensi dell’art. 569 c.p.c. e nell’espropriazione mobiliare in base all’art. 530 c.p.c.

Con riferimento ancora alla scansione del procedimento, il recupero coattivo dei tributi parte, al pari di quanto avviene nella procedura ordinaria, dall’atto del pignoramento. A questo proposito, non si seguono i tempi del c.p.c., ma si stabilisce che l’atto pignoramento, in base all’art. 50 D.P.R. n. 602/1973, non può essere attivato se non sono decorsi sessanta giorni dalla notifica della cartella di pagamento. Nel contempo si prevede che, se l’espropriazione non è iniziata entro un anno da tale adempimento, per poter andare avanti con l’esecuzione l’Agenzia delle Entrate-Riscossione dovrà procedere a notificare al contribuente un ulteriore atto, e cioè l’avviso ad adempiere entro cinque giorni l’obbligo recato dalla cartella di pagamento.

Tale avviso perde efficacia dopo un anno dalla sua notifica.

Se il pignoramento non sarà stato ancora effettuato entro questa scadenza, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione dovrà rinnovare l’avviso di intimazione e quindi procedere alla sua notifica, sempre al debitore contribuente. Tutto questo potrà essere ripetuto per un valido pignoramento fino al momento in cui il credito del Fisco non risulterà prescritto.

Nell’ottica di agevolare l’attività dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione, si prevede con l’art. 18 della Legge delega che, nei decreti delegati, il Governo procederà ad allungare il temine attuale di un anno per procedere al pignoramento dei beni, attività che, come si diceva, segna l’inizio dell’espropriazione esattoriale.

Qualora il titolo esecutivo fosse rappresentato da un avviso di accertamento esecutivo – da estendere prossimamente, sempre sulla base della Legge n. 111/2023, anche ai tributi indiretti sui trasferimenti (registro, successioni e donazioni, ipotecarie e catastali) -, è necessario attendere il termine di centottanta giorni dalla scadenza del termine per l’affidamento dell’avviso all’Agente della riscossione prima di procedere al primo atto dell’espropriazione.

Emolumenti percepiti

Per quanto riguarda la ricerca dei beni da pignorare, attualmente il D.P.R. n. 602/1973 prevede alcuni strumenti volti a facilitarne l’individuazione.

Così l’art. 72-ter, D.P.R. n. 602/1973 consente all’Agenzia delle Entrate-Riscossione di accedere alla banca dati dell’INPS per conoscere le informazioni sui rapporti di lavoro, in modo da individuare gli emolumenti percepiti dal contribuente da sottoporre a pignoramento.

Restano fermi i limiti di pignorabilità:

  • un decimo per importi fino a 2.500 euro;
  • un settimo per ammontari dovuti al Fisco oltre i 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro;
  • per i crediti superiori a 5.000 euro, il limite di pignorabilità per i tributi dovuti allo Stato e agli enti locali è quello di un quinto dello stipendio.

Modalità di intervento

Anche qui, la procedura esattoriale cambia rispetto al c.p.c.

Secondo il codice di rito, sono necessari:
– un’apposita richiesta al giudice da parte del creditore, con la quale quest’ultimo manifesta l’interesse a ricercare i beni da pignorare;
– un preventivo controllo da parte del giudice stesso.

Per ragioni di riservatezza e tutela del debitore, la Legge poi prevede che l’interrogazione alla banca dati avvenga a cura dell’ufficiale giudiziario e non possa essere effettuata direttamente dal singolo creditore. Nella procedura esattoriale, invece, compete al personale dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione procedere alla ricerca presso le banche dati, e non è previsto alcun vaglio giurisdizionale.

La differente disciplina viene giustificata dalla necessità di velocizzare i tempi procedurali della riscossione fiscale. Tale obiettivo incide anche sulle modalità di intervento del giudice che appaiono, dunque, molto più limitate e, in genere, successive allo svolgimento della fase di liquidazione dei beni pignorati.

In ogni caso, proprio per la specialità che caratterizza la disciplina dell’esecuzione “esattoriale” si esclude che la ricerca dei beni da pignorare possa avvenire secondo modalità diverse e senza possibilità di utilizzare in via analogica quelle del codice di rito.

Ancora si segnala che altri istituti della procedura esattoriale mirano alla finalità di agevolare la conoscenza di dati utili alla ricerca dei beni a favore dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione.

Si pensi all’art. 75-bis, D.P.R. n. 602/1973 secondo cui, decorso inutilmente il termine per iniziare l’esecuzione ai sensi dell’art. 50, D.P.R. n. 602/1973, il creditore ha direttamente il potere di:

chiedere a soggetti terzi, debitori del soggetto iscritto a ruolo o dei coobbligati, di indicare per iscritto, ove possibile in modo dettagliato, le cose e le somme da loro dovute al creditore”,

vale a dire colui che risulta debitore verso il Fisco.

L’interpellato ha l’obbligo di rispondere entro un termine non inferiore a trenta giorni dal ricevimento della richiesta, pena la sanzione da 2.000 a 21.000 euro stabilita dall’art. 10, D.Lgs. n. 471/1997.

Nella stessa prospettiva, va letto l’istituto disciplinato dall’art. 48-bis, D.P.R. n. 602/1973, in base al quale gli enti pubblici e le società a prevalente partecipazione pubblica – quando procedono al pagamento di crediti superiori a 5.000 euro – devono prima verificare, anche in via telematica, se il beneficiario sia inadempiente all’obbligo di versamento dei crediti portati da una o più cartelle di pagamento, per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo.

In caso di risposta positiva, gli enti sopra indicati devono sospendere il pagamento e segnalare tale circostanza all’agente della riscossione competente per territorio.

Si tratta di una modalità nella quale l’iniziativa non parte direttamente dall’ Agenzia delle Entrate-Riscossione, ma consente comunque a quest’ultima di venirne a godere. In particolare, tramite un canale informativo, si impone ai soggetti pubblici debitori del contribuente inadempiente di congelare i pagamenti dovuti e di comunicare all’ Agenzia delle Entrate-Riscossione l’esistenza di crediti spettanti al debitore e che potranno fruttuosamente essere pignorati con la semplice notifica dell’ordine diretto di pagamento.

Non ultima, infine, è la disposizione dell’art. 3, D.L. n. 193/2016 conv. dalla Legge n. 225/2016 secondo cui:

a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’Agenzia delle Entrate può utilizzare le banche dati e le informazioni alle quali è autorizzata ad accedere sulla base di specifiche disposizioni di Legge, anche ai fini dell’esercizio delle funzioni relative alla riscossione nazionale (omissis)”.

In altre parole, per la ricerca dei beni da pignorare, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione è legittimata ad utilizzare qualsiasi notizia relativa al patrimonio del debitore che abbia comunque acquisito dalle interrogazioni di banche dati, ovvero da altre fonti di informazione, nello svolgimento dei propri compiti istituzionali.

Legge delega e pignoramento dei conti correnti bancari e postali

In questo panorama, si inserisce ora la Legge delega della riforma fiscale che, in sede di formulazione dei decreti attuativi, dovrà rendere più efficiente anche il pignoramento dei conti correnti bancari e postali.

Attualmente, il pignoramento delle somme detenute dalle banche avviene in base alle regole del pignoramento presso terzi. È utilizzata la modalità semplificata di cui all’art. 72-bis, D.P.R. n. 602/1973 secondo cui l’atto di pignoramento del conto corrente del debitore può contenere, in luogo della citazione della banca perché renda la dichiarazione della somma di cui è debitrice nei riguardi del debitore, l’ordine a quest’ultima di versare direttamente l’importo risultante all’Agenzia delle Entrate–Riscossione.

È una forma di espropriazione mobiliare immediata nella quale si estromette completamente il giudice dell’esecuzione. Il pignoramento dell’importo del credito detenuto presso il terzo comporta, peraltro, un vincolo di indisponibilità relativamente ai beni e ai crediti che sono nella titolarità del debitore contribuente, ma che non sono nella sua libera utilizzabilità perché ancora si trovano presso il terzo banca.

L’ Agente della riscossione, così facendo, acquisisce velocemente e definitivamente le somme pignorate, sottraendole di fatto agli altri creditori che potrebbero godere dello stesso grado di privilegio.

Una volta che gli viene notificato l’atto di pignoramento, il terzo banca assume gli obblighi di custodia delle somme dovute al debitore contribuente. Ne consegue che la banca non potrà disporre di tali somme per procedere al pagamento nei riguardi di quest’ultimo.

Più di una volta l’Agenzia delle Entrate ha evidenziato che, dopo aver notificato l’ordine di pagamento diretto, si è ritrovata insoddisfatta per incapienza del conto corrente. A fronte di questa criticità, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha utilizzato il mezzo della dichiarazione stragiudiziale del terzo ai sensi dell’art. 75-bis, D.P.R. n. 602/1973 in modo tale da poter conoscere anticipatamente la consistenza dei beni da pignorare.

Conclusioni

L’attuazione pratica di questo istituto richiede però del tempo.
Si vorrebbe dunque venir incontro all’esigenza di celerità della riscossione dei tributi e a tal fine, sembra da primi commenti, l’ostacolo verrà meno con un canale telematico di dialogo tra Agenzia delle Entrate-Riscossione e gli istituti finanziari. Tramite tale strumento, la prima potrà anteriormente venire a conoscenza delle reali e aggiornate diponibilità finanziarie del debitore detenute presso gli istituti bancari e simili. Contestualmente, a tutela del contribuente, dovrebbero essere meglio disciplinati i termini della notifica dell’ordine di pagamento: l’obiettivo, in questo caso, è quello di tutelare il debitore, in modo che non sia avvertito tardivamente rispetto alla ricezione dell’ordine da parte della banca pignorata.

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