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Errare è umano, perseverare diabolico. E per un uomo vicino alla Chiesa come Ernesto Maria Ruffini – da sette anni a capo dell’Agenzia delle Entrate – l’odore dello zolfo dovrebbe essere insopportabile. Da qualche giorno nelle caselle postali degli italiani sono arrivati una raffica di pignoramenti sui conti correnti, preavvisi di fermo amministrativo sui veicoli, avvisi bonari per debiti relativi a carichi esclusi dal perimetro della definizione agevolata, come già denunciato dal Giornale. Una scelta voluta o c’è lo zampino del demonio? Non lo sappiamo. Nessuno ammette alcuna responsabilità, che se accertata in un Paese normale dovrebbe portare alle dimissioni. E qualcuno già evoca un possibile colpo di spugna per i dirigenti delle Entrate che sbagliano.

Eppure, proprio in un momento di crisi – tra guerra in Ucraina e Israele, post pandemia, allarme inflazione e stallo nei consumi – gli spiragli di una pace fiscale finora evocata solo a sproposito avevano illuminato le tante famiglie in difficoltà in difficoltà con rate, bollette e pagamenti che invece si vedono tartassati dall’ex Equitalia con lettere minatorie. A metà luglio, pochi giorni dopo la chiusura della Rottamazione quater delle cartelle esattoriali, il leader della Lega Matteo Salvini aveva proposto «una grande e definitiva pace fiscale» con un saldo e stralcio che cancelli oltre a interessi, sanzioni e aggio di riscossione una parte del debito fiscale vero e proprio. Nelle prossime settimane sapremo se l’ennesimo piano per cancellare definitivamente le cartelle deciso dal governo guidato da Giorgia Meloni darà i suoi frutti o se sarà un flop come i precedenti tre, a conferma dei timori dei commercialisti per colpa delle rate, a loro avviso troppo poche, troppo alte e troppo ravvicinate.

C’è anche un pasticcio legato alle cartelle Inps, con l’istituto previdenziale che avverte: «La rottamazione di alcune cartelle può avere effetti negativi sulle ricostruzioni delle carriere». C’è tempo fino al 10 novembre per trovare un correttivo al volo, segno che (anche) la Rottamazione quater è stata scritta male. D’altronde, se lo Stato ha incassato in 45 anni appena 132 miliardi da condoni, scudi fiscali e voluntary disclosure sui capitali all’estero, il problema è a monte. E il debito «politico» di credibilità dietro la pioggia di cartelle pazze lo paga l’esecutivo, mica i dirigenti delle Entrate.

Nei giorni scorsi Il Giornale è stato sommerso dalle segnalazioni di numerosi contribuenti, studi legali e professionisti per l’arrivo a sorpresa di cartelle esattoriali, ganasce fiscali, intimazioni di pagamento basate su debiti risalenti persino al 2005. Alla signora A.P. nei giorni scorsi l’Agenzia delle Entrate di un comune ligure ha chiesto l’intimazione a pagare più di 17mila euro entro cinque giorni. Ma il presunto credito tributario vantato dalle Entrate era prescritto e condonato. Lo stesso discorso vale per molte ganasce fiscali, basate su debiti condonati o oggetto di rottamazione risalenti al 2010. Secondo una fonte Aci, sono oltre tre milioni i veicoli sottoposti al fermo amministrativo della vettura. Non pasta pagare la cartella per vedersi tolte le ganasce, bisogna segnalarlo all’Aci: ci sono ignari cittadini che circolano liberamente senza sapere di essere (giustamente e no) a rischio di pesanti sanzioni, anche perché il fermo non va mai in prescrizione. «L’ex Equitalia oggi Riscossione lo fa spesso – dice al Giornale l’avvocato Claudio Defilippi – non cancella definitivamente le cartelle dal 2000 al 2015 oggetto di condono. E a volte chiede intimazione anche di crediti oggetto di rottamazione», spiega. Possibile? Nelle scorse settimane Italia Oggi aveva raccontato episodi simili. Per il sottosegretario all’Economia Lucia Albano è un caso di «erronea inclusione di carichi non definibili» da parte del contribuente o di una banale «sovrapposizione temporale tra il ricevimento dell’istanza e invio e notifica entro i termini di legge della cartella». Insomma, un disguido. Sarà, ma nelle cartelle arrivate al Giornale c’è puzza di pervicace accanimento. Una dei soggetti che ha ricevuto la cartella è «sovraindebitata», cioè ha usufruito della cosiddetta legge 3 che consente di ridurre anche del 95% il debito con l’Erario per una oggettiva impossibilità a pagare.

Ci sono anche delle sentenze che riguardano cartelle pazze e dei termini di notifica, sui quali l’Agenzia delle Entrate costruisce gli escamotage per rendere esigibili cartelle dopo fino a 10 anni dall’effettivo debito. La sentenza della Sezioni Unite 23397/2016 ritiene che la cartella diventa inoppugnabile, decorso inutilmente il termine. Una cartella esattoriale non impugnata è un «atto interruttivo del credito, ma non novativo del suo titolo, al punto da fungere da giudicato e dunque da determinare una prescrizione decennale nei termini indicati da Agenzia delle Entrate – Riscossione», dicono i giudici a chi ha fatto ricorso, vincendo. Inoltre, «la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva – si legge in una recente sentenza di un giudice civile – produce soltanto l’effetto sostanziale dell’irretrattabilità del credito», non l’allungamento della prescrizione a 10 anni prevista dall’articolo 2953 del codice civile.

Più volte le Entrate sono state condannate, ma in molti casi «l’Agenzia non paga le spese», confermano molti legali. Con la riforma prevista dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo nella «definizione delle liti pendenti» tra Entrate e contribuente deciderà la Corte di giustizia tributaria. «La chiusura non sarà automatica – ragiona Alberto Arrigoni nella sua Gazzetta tributaria – ma bisognerà dichiarare estinto il processo pendente». Ma l’istanza di estinzione che il contribuente ha l’onere di depositare è obbligatoria? Ci sono sanzioni per chi non lo fa? Dubbi che si spera verranno risolti.

E poi c’è il tema di aggio, sanzioni e interessi. Molte delle cartelle sono gravate da una zavorra che le ha rese di fatto impossibili da pagare. Il Giornale è in grado di documentare come davanti alla Corte Costituzionale, in via pregiudiziale alla Corte di Cassazione nonché alla Corte di Giustizia Europea, sono state investite sulla possibile costituzionalità dell’applicazione automatica del 200% di sanzione nei termini di 60 giorni da un invito al pagamento di un tributo non recapitato personalmente al contribuente. Esiste un contrasto con gli articoli 16, 49, 50 e 52, della Carta dei diritti fondamentali e con i principi Ue di proporzionalità e effettività? È una misura contraria agli articoli 3, 24, 53, 113, 117 della Carta?

A giorni potrebbe anche arrivare il verdetto sulla costituzionalità dell’ammortamento alla francese (quello dei mutui, che fa pagare in gran

parte prima gli interessi, poi il debito) anche per i piani di rateizzazione dell’Agenzia delle Entrate, almeno fino a un paio di anni fa. Se così fosse, per i conti pubblici sarebbe un colpo durissimo. L’esecutivo è pronto?

 

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