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L’esibizione in giudizio dell’atto di matrimonio recante l’annotazione […] non è condizione sostanziale di opponibilità dell’atto ai terzi richiesta dall’art. 162 cod. civ., ma costituisce necessario adempimento dell’onere processuale della prova in giudizio.

E’ quanto chiarisce la Corte di Cassazione, Sezione III Civile, con la sentenza 12 ottobre 2017, n. 23955.

Due coniugi si opponevano all’esecuzione del creditore procedente, il quale aveva aggredito degli immobili costituiti in un fondo patrimoniale[1]. Il Tribunale aveva rigettato l’opposizione, giacché gli opponenti non avevano dimostrato l’opponibilità ai terzi dell’atto di costituzione in fondo patrimoniale dei cespiti pignorati. In particolare, il giudicante ha precisato che la mentovata prova doveva essere fornita mercé la produzione in giudizio dell’atto notarile e dell’atto di matrimonio recante la data dell’annotazione del regime patrimoniale. Infatti, le convenzioni matrimoniali sono opponibili ai terzi solo allorché la loro annotazione sia anteriore rispetto alla data di trascrizione del pignoramento (art. 162 c. 4 c.c.). In sede di gravame, si conferma la pronuncia di primo grado e viene ribadita la mancata produzione dell’atto di matrimonio; inoltre, si sottolinea l’impossibilità per il giudice d’appello di verificare la fondatezza della deduzione secondo cui il tribunale avrebbe errato nell’affermare che il documento non era stato prodotto in giudizio. Gli appellanti, infatti, avevano ritirato il fascicolo di parte all’udienza di precisazione delle conclusioni, omettendo di depositarlo nuovamente. Si giungeva così in Cassazione.

La Suprema Corte considera infondata la difesa dei ricorrenti in relazione al ritiro del fascicolo di parte, avvenuto ad opera di un collaboratore del loro legale, privo di autorizzazione in tal senso. Secondo gli Ermellini «quale che fosse l’incarico ricevuto, questi ultimi rispondono del suo operato quantomeno per culpa in eligendo». Del pari, viene rigettata la ricostruzione operata dai ricorrenti secondo cui l’annotazione dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale in calce all’atto di matrimonio sia di per sé sola condizione sufficiente alla sua opponibilità. A tal proposito si precisa che, se sono compresi beni immobili, l’atto costitutivo deve essere trascritto nei registri immobiliari (art. 2647 c.c.). Nondimeno la mera trascrizione dell’atto de quo non è sufficiente ai fini dell’opponibilità ai terzi, infatti, la trascrizione «resta degradata a mera pubblicità-notizia […] e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo»[2].

Torniamo ora alla fattispecie in esame.        
Secondo le difese svolte dai coniugi, l’art. 162 c. 4 c.c. non dispone la  produzione in giudizio dell’atto di matrimonio ai fini della sua efficacia erga omnes. I supremi giudici confutano la suddetta ricostruzione ed affermano che «se è vero che la condizione sostanziale di opponibilità ai terzi dell’avvenuta costituzione del fondo patrimoniale è data dalla annotazione dell’atto costitutivo in calce all’atto di matrimonio, è pur vero che in giudizio occorre fornire la prova dell’adempimento di tale onere». In buona sostanza, l’esibizione del documento rappresenta l’adempimento del principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) pendente in capo alla parte, in virtù del quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, secondo la massima “actore non probante, reus absolvitur”. Al lume di ciò, risulta corretta la decisione del giudice di merito che ha disposto il rigetto dell’opposizione all’esecuzione sulla scorta dell’omessa produzione in giudizio dell’atto. Inoltre, l’assenza dei documenti nel fascicolo di parte si deve considerare espressione della volontà della parte stessa, la quale così come è libera di ritirare il fascicolo, lo è di restituirlo. Ne deriva che è onere della parte dimostrare che la mancanza dell’atto sia incolpevole. Il giudice, infatti, in virtù del principio dispositivo (art. 115 c.p.c.), è tenuto ad ordinare la ricostruzione della documentazione mancante solo nel caso in cui emerga l’involontarietà della suddetta mancanza. In difetto di quanto sopra, egli deve giudicare sulla base delle prove e degli atti sottoposti al suo esame al momento della pronuncia[3]. Nel caso oggetto di scrutinio, non è stata dimostrata l’involontarietà del ritiro del fascicolo, pertanto l’opposizione all’esecuzione, correttamente, è stata ritenuta infondata. Il giudicante non esamina l’ulteriore rilievo sollevato dai coniugi, relativo alla natura dei crediti – a loro dire – estranei agli interessi della famiglia[4].  Secondo la Cassazione, infatti, tale «motivo di ricorso è assorbito dal rigetto di quello concernente la motivazione principale del provvedimento impugnato, la quale da sola è sufficiente a reggere la decisione finale». Infine, per mera completezza espositiva, giova ricordare che l’opponibilità ai terzi del fondo patrimoniale non è più assoluta, come in passato, ma incontra alcuni limiti. Infatti, l’art. 2929 bis c.c.[5] dispone che il creditore, pregiudicato da un atto del debitore – come, ad esempio, la costituzione di un fondo patrimoniale – compiuto successivamente al sorgere del credito, possa procedere a esecuzione forzata, qualora trascriva il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto è stato trascritto[6].

Sul tema si segnala:

(Altalex, 5 febbraio 2018. Nota di Marcella Ferrari)


[1] Il fondo patrimoniale rientra tra le convenzioni matrimoniali e si traduce in un vincolo  posto su alcuni beni, volto alla creazione di un “patrimonio separato” sottratto, ad alcune condizioni, alle azioni esecutive di eventuali creditori. I beni conferiti nel fondo appartengono in proprietà ai coniugi, che li amministrano seguendo le regole della comunione legale (art. 168 c. 4 c.c.), fatta salva una diversa pattuizione contenuta nell’atto costitutivo del fondo patrimoniale (art. 168 c. 1 c.c.). Ai fini dell’opponibilità ai terzi, è onere dei coniugi provvedere all’annotazione del fondo a margine dell’atto di matrimonio (art. 162 c. 4 c.c.).

[2] Vedasi Corte Cass., S.U., sent. del 13 ottobre 2009 n. 21658. La fattispecie esaminata dai supremi giudici riguardava l’iscrizione di ipoteca sui beni del fondo anteriore all’annotazione sull’atto di matrimonio, ma posteriore alla trascrizione nei registri immobiliari. Ebbene, secondo la prefata pronuncia, in mancanza di annotazione del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio, è irrilevante la sua trascrizione nei registri della conservatoria. Pertanto, nel caso esaminato, il fondo non è opponibile ai creditori che abbiano iscritto ipoteca anteriormente.

[3] Così Corte Cass., Sez. VI, ordinanza del 26 aprile 2017 n. 10224

[4] Per completezza, si ricorda che il creditore può aggredire i beni del fondo solo qualora i debiti contratti dai coniugi riguardino i bisogni della famiglia (art. 170 c.c.). Con il tempo, l’interpretazione del sintagma “bisogni della famiglia” si è fatta estremamente lata giungendo ad abbracciare molteplici categorie di crediti. A titolo di esempio, sono state ricomprese nella suddetta categoria anche le obbligazioni risarcitorie da illecito, con la conseguente piena responsabilità del fondo. Così Corte Cass. 5 giugno 2003 n. 8991; Corte Cass. 18 luglio 2003 n. 11230. Secondo i giudici, infatti, il criterio identificativo dei crediti che possono essere soddisfatti sui beni del fondo va ricercato, non già nella natura del credito stesso, ma nella relazione esistente tra il fatto generatore dell’obbligazione ed i bisogni della famiglia.

[5] Articolo introdotto dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito in legge 6 agosto 2015, n. 132

[6] La disposizione si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, intervenga nell’esecuzione da altri promossa (art. 2929 bis c.c.).


 

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