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Note minime in tema di soggetti legittimati a richiedere l’autorizzazione paesaggistica (nota a T.A.R. Basilicata, sez. I, 01 febbraio 2024, n. 56) 

di Gianluigi Delle Cave

Sommario: 1. Breve inquadramento del tema. – 2. Individuazione dei soggetti “legittimati” alla richiesta dei titoli: il caso del permesso di costruire. – 2.1. (segue) casi specifici di legittimazione. – 2.2. (segue) le verifiche della P.A. – 3. La legittimazione nella richiesta di autorizzazione paesaggistica: simmetrie normative con il Testo Unico Edilizia. – 4. Riflessioni conclusive. 

 1. Breve inquadramento del tema.

La pronuncia del T.A.R. Basilicata in commento offre interessanti spunti di riflessione giuridica, inter alia, sulla corretta individuazione dei soggetti legittimati a richiedere l’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del d.lgs. n. 42/2004 (per brevità “Codice del paesaggio”).

Più nel dettaglio, anticipando quanto meglio si dirà nel seguito, i giudici amministrativi hanno ritenuto legittimo un provvedimento con il quale la Regione ha opposto un diniego in ordine ad una istanza avanzata dalla società locataria (nella specie, si trattava di affitto di azienda) di una struttura alberghiera, tendente ad ottenere il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica per la realizzazione di una struttura temporanea a servizio dell’albergo, che sia motivato con riferimento al fatto che la società proprietaria dell’immobile si è formalmente opposta al suddetto rilascio.   

In particolare, muovendo dal caso specifico – e prendendo le mosse dal tenore letterale dell’art. 146, comma 1, cit., che, quanto ai soggetti legittimati alla richiesta dell’autorizzazione in esame, espressamente si riferisce ai “proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico” -, il TAR ha avuto modo di rilevare, per quanto qui di precipuo interesse, che: (i) l’affitto di azienda è un contratto in forza del quale il proprietario concede un diritto personale di godimento a un terzo dietro pagamento di un canone, integrando una “species” del “genus” della locazione; (ii) non è revocato in dubbio che anche il detentore qualificato possa istare per l’autorizzazione paesaggistica de qua(iii) tuttavia, in tale ultimo caso, è necessario e quindi indefettibile il consenso da parte del proprietario del bene, con la conseguenza che (iv) sussiste l’obbligo in capo all’Amministrazione di accertare, in un contratto di locazione, la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, non potrà procedere al rilascio del titolo edificatorio così come di quello paesaggistico.

2. Individuazione dei soggetti “legittimati” alla richiesta dei titoli: il caso del permesso di costruire.

Nell’analisi del tema supra, giova prendere le mosse, anzitutto, dall’approfondimento di una questione similare (se non sovrapponibile entro gli ovvi limiti delle discipline applicabili), ossia quella dei soggetti che possono richiedere il permesso di costruire. Sul punto specifico, l’art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (“Testo Unico Edilizia”) è molto ampio: si prevede infatti che il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a “chi abbia titolo per richiederlo”. In particolare, come più volte evidenziato in via pretoria, tale ultima espressione va intesa nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base ad una relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria, purché, in questo caso, con il consenso del proprietario.

Da tale angolo visuale, adunque, il Comune, prima di rilasciare il titolo, ha sempre l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria

Quanto ora esposto, unitamente a detto concetto di “sufficienza” riferito al titolo (elaborato pure in via giurisprudenziale), comporta quindi, in generale, che: (a) per un verso, chi richiede il titolo autorizzatorio edilizio debba comprovare la propria legittimazione all’istanza; (b) per altro verso, è onere del Comune ricercare la sussistenza di un titolo (di proprietà, di altri diritti reali, etc.) che fonda una relazione giuridicamente qualificata tra soggetto e bene oggetto dell’intervento, e che dunque possa renderlo destinatario di un provvedimento amministrativo autorizzatorio.

Ora, tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza ma non comporta anche che l’Amministrazione debba comprovare prima del rilascio (ciò mediante oneri di ulteriore allegazione posti al richiedente o attraverso propri approfondimenti istruttori), la “pienezza” (nel senso di assenza di limitazioni) del titolo medesimo. Ed infatti, ciò comporterebbe, in sostanza, l’attribuzione all’Amministrazione di un potere di accertamento della sussistenza (o meno) di diritti reali e del loro “contenuto” non ad essa attribuito dall’ordinamento. In tal senso, adunque, laddove ricorrano limitazioni negoziali al diritto di costruire, l’Amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, «deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico, appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario».

Tuttavia, assume rilievo differente l’ipotesi in cui la legittimazione a richiedere l’autorizzazione edilizia si fondi sulla titolarità di un diritto reale, da quella in cui essa attenga ad una disponibilità del bene a titolo diverso. Ed infatti, in tale ultimo caso (ad esempio, bene detenuto per effetto di contratto di locazione), l’Amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire.

2.1. (segue) casi specifici di legittimazione. 

Orbene, sulla base delle coordinate ermeneutiche sopra brevemente tratteggiate, la giurisprudenza ha di volta in volta individuato i soggetti che possono o meno richiedere il titolo edilizio oltre ad aver meglio chiarito il perimetro di azione della P.A. nell’accertamento di detta legittimazione.

Può presentare istanza di permesso di costruire, anzitutto, quel soggetto che, come detto, è titolare di un diritto reale su bene oggetto dell’intervento edilizio se ed in quanto quel diritto comprenda anche lo jus aedificandi, essendo il diritto a costruire una proiezione del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento sul bene che ne autorizzi la modifica costruttiva. In particolare, sono stati riconosciuti legittimati a chiedere il permesso di costruire: (i) il titolare del diritto reale di usufrutto; (ii) il titolare del diritto reale di superficie; (iii) il titolare del diritto reale di enfiteusi; (iv) i soggetti beneficiari della procedura espropriativa. Si è ritenuto legittimato, peraltro, a proporre domanda di permesso di costruire pure il titolare di diritto di opzione all’acquisto dell’immobile interessato dall’intervento e il promissario acquirente laddove il proprietario abbia assentito alla presentazione della domanda di rilascio del permesso oppure l’obbligo di acquisto dell’immobile sia subordinato all’ottenimento del permesso di costruire. In questi casi, pare doveroso evidenziare, la legittimazione a chiedere il permesso trova fondamento non tanto nella posizione giuridica soggettiva di promissario acquirente in sé, quanto nell’autorizzazione o delega del promittente venditore, effettivo proprietario dell’immobile fino alla sua definitiva vendita, non essendo infatti sufficiente, in ogni caso, il solo rapporto obbligatorio tra richiedente e area o immobile interessati all’intervento edilizio.

Con riferimento, invece, ai titolari di diritti obbligatori, si è pure affermato che essi possano richiedere il titolo edificatorio quando, per effetto di esso, «questi abbia obbligo o facoltà di eseguire i lavori per cui è chiesto il permesso»; in altri termini quando il richiedente sia autorizzato in base al contratto o abbia ricevuto espresso consenso da parte del proprietario. In particolare, si è rilevato, pure in via pretoria, come, al fine della legittimazione, non è sufficiente una mera relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata al mero possesso, ma è necessario che venga trasferita, oltre che la disponibilità del bene, anche la potestà edificatoria.

Alla luce di quanto sopra, adunque, sono stati ritenuti legittimati a chiedere il permesso di costruire: (i) l’amministratore di condominio, se e in quanto munito di specifici poteri a lui conferiti dai singoli condomini; (ii) l’affittuario di un terreno agricolo ove il contratto preveda la facoltà in capo allo stesso di eseguire ad esempio opere infrastrutturali volte al potenziamento tecnico produttivo; (iii) il comodatario, con riferimento a titoli edilizi compatibili con l’effettiva disponibilità del bene e con l’entità della trasformazione oggetto dell’istanza; (iv) il conduttore/locatario dell’immobile, qualora abbia ricevuto dal locatore (proprietario dell’immobile) l’inequivocabile autorizzazione all’esecuzione degli interventi di trasformazione edilizia in funzione dell’uso per il quale lo stesso è stato concessooppure richieda di eseguire opere di carattere non irreversibile; (v) l’appaltatore, purché nel contatto di appalto o negli atti ad esso collegati emergano il consenso del proprietario (o del diverso titolare di diritto reale) e la costituzione in favore dell’appaltatore stesso della predetta posizione di soggetto che ha “legittima disponibilità dell’area” o dell’immobile oggetto dell’intervento (posizione non implicita nel ruolo di mero appaltatore)

Si è poi osservato in giurisprudenza che, in caso di richiesta di permesso di costruire in sanatoria, vi sarebbe una legittimazione addirittura più ampia rispetto a quella della richiesta di titolo edilizio, ammettendo l’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 la proposizione dell’istanza di sanatoria da parte non solo del proprietario, ma anche del responsabile dell’abuso, tale dovendo intendersi lo stesso esecutore materiale ossia chi abbia la disponibilità del bene al momento dell’emissione della misura repressiva; si badi però che detta “ampia” legittimazione trova, tuttavia, anche qui un limite invalicabile nella volontà (positiva/negativa) dell’eventuale proprietario o comproprietario.

2.2. (segue) le verifiche della P.A.

Orbene, a fronte di un intervento edilizio soggetto al preventivo rilascio di un permesso di costruire (art. 20, d.P.R. 380/2001) o SCIA (artt. 22 e 23, d.P.R. cit.), la P.A. è sempre tenuta ad accertare che il soggetto interessato abbia titolo per attuare detto intervento; nel dettaglio, l’Amministrazione deve accertare che l’istante sia proprietario dell’immobile oggetto dell’attività edilizia proposta o che, comunque, abbia un titolo di disponibilità tale da giustificarne la realizzazione. In punto di corretto inquadramento del raggio d’azione di tale verifica, si segnala che la P.A. non è tenuta a spingersi fino a ricostruire tutte le vicende relative al regime di proprietà dell’immobile in relazione al quale viene richiesto il rilascio del titolo abilitante, non avendo l’Amministrazione il compito di effettuare complessi accertamenti a tal fine, ed anzi, in ossequio al principio generale del divieto di aggravamento del procedimento amministrativo, la stessa P.A. può semplificare e accelerare tutte le attività di verifica sul titolo prodotto, valorizzando gli elementi documentali forniti dalla parte interessata. In altri termini, non è onere dell’Amministrazione effettuare accertamenti complessi volti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità del bene o di verificare l’inesistenza di servitù o altri vincoli reali, in quanto il titolo edilizio è un atto amministrativo che legittima l’opera da realizzare e regola un rapporto intercorrente tra la stessa P.A. e il soggetto che richiede il titolo.

La P.A., quindi, non deve spingersi a ricercare d’ufficio eventuali elementi preclusivi, limitativi o estintivi del titolo di disponibilità allegato dal richiedente, ma deve valutarli qualora emergano nel corso del procedimento. Non a caso si è evidenziato in via pretoria che in sede di rilascio del titolo abilitativo, il Comune non può esimersi dal verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici sull’intervento. Ciò però a condizione che questi ultimi siano effettivamente conosciuti, o immediatamente conoscibili e/o non contestati, senza necessità di procedere ad una accurata e approfondita disamina dei rapporti tra privati. In buona sostanza, il Comune ha il dovere di accertare, inter alia, il presupposto circa il soggetto legittimato e che esso sia sufficiente per eseguire l’attività edificatoria. Il potere di controllo in sede di rilascio dei titoli edilizi (al pari di quello esercitato in sede inibitoria), quindi, deve sempre collegarsi al riscontro di profili d’illegittimità dell’attività per contrasto con leggi, regolamenti, piani, programmi e regolamenti edilizi, mentre non può essere esercitato a tutela di diritti di terzi non riconducibili a quelli connessi con interessi di natura pubblicistica, quali ad esempio il rispetto delle distanze dai confini di proprietà o del distacco dagli edifici; fatto salvo il caso in cui de planorisulti l’inesistenza di un titolo giuridico che fondi la legittimazione attiva del richiedente il titolo edilizio.

Va da sé, quindi, che l’onere di verifica della P.A. assume connotati differenti a seconda che la detta legittimazione si fondi sulla titolarità di un diritto reale ovvero attenga ad una disponibilità del bene a titolo diverso. In tale ultimo caso (ad esempio, bene detenuto per effetto di contratto di locazione), l’amministrazione è tenuta ad accertare la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, non potrà procedere al rilascio del permesso di costruire.

3. La legittimazione nella richiesta di autorizzazione paesaggistica: simmetrie normative con il Testo Unico Edilizia. 

Con la pronuncia in commento – ove si muove, in punto di fatto, da un detentore qualificato del bene (non titolare di un diritto reale, ma di un diritto personale di godimento) richiedente l’autorizzazione paesaggistica ma in difetto del consenso del proprietario -, si compie “un passo in più” con riferimento all’argomento in trattazione, sottolineando, in sostanza, come i rilievi ampiamente evidenziati sub §2 e §2.1. del presente scritto si “attaglino” anche nel caso in cui sia domandato il rilascio di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146, comma 2, d.lgs. n. 42/2004.

Sul versante normativo, infatti, l’art. 20, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 dispone che la domanda per il rilascio del permesso di costruire vada sottoscritta da “uno dei soggetti legittimati ai sensi dell’articolo 11” e vada presentata allo sportello unico corredata da un’attestazione concernente il titolo di legittimazione. L’art. 11 del decreto, a sua volta, limita lo spettro di coloro che possano istare per tale titolo, come detto, al proprietario dell’immobile o a “chi abbia titolo per richiederlo” ossia ai soggetti titolari di tutte quelle posizioni civilisticamente utili per esercitare un’attività costruttiva (disponibilità giuridica ad aedificandum), che, come detto, è possibile individuare anche in soggetti che vantano altra qualificata relazione legittimante il titolo edilizio, diversa dalla proprietà esclusiva.

Muovendo, ora, al Codice del Paesaggio, l’art. 146, comma 1, dispone che “i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili e aree di interesse paesaggistico” non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione. Il comma 2 dell’art. 146 cit. prevede poi che “i soggetti di cui al comma 1” hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione. La disposizione di cui all’art. 146 cit., dunque, individua i soggetti legittimati a richiedere l’autorizzazione paesaggistica indicandoli nei “proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili di aree di interesse paesaggistico”, ossia, in senso letterale, in tutti coloro che hanno con la res, oggetto di protezione vincolistica, una relazione dominicale e/o materiale, cioè, secondo un’interpretazione estensiva conforme al dettato costituzionale, a coloro che del bene debbono avere la disponibilità materiale. Detto in altri termini, la norma in parola, proprio perché dettata in relazione ad una (futura) attività manipolativa del bene protetto, circoscrive il numero di quanti possono richiedere l’assenso al compimento del “facere” – altrimenti illegittimo – a coloro che del bene, come detto, hanno la disponibilità materiale. L’ampiezza della previsione normativa non esclude, però, la necessità che l’autorità chiamata a curare la tutela del vincolo, sia pure mediante un controllo di legittimità dell’autorizzazione rilasciata da altra amministrazione, acquisisca dal richiedente il titolo relativo alla situazione di proprietà, di possesso o di detenzione di volta in volta dedotte, essendo chiaro, dal tenore della disposizione esaminata supra, che l’autorizzazione non può essere richiesta da un quisque de populo

Orbene, a ben vedere, quindi, entrambe le disposizioni sopra esaminate (art. 11 del Testo Unico Edilizia e art. 146 del Codice del Paesaggio) non limitano la legittimazione alla domanda di rilascio del titolo al solo proprietario, ma la riferiscono anche a coloro che abbiano “un altro titolo”. Sebbene la formulazione normativa sia differente (il ché dipende anche dall’aver il codice dei beni culturali mutuato la corrispondente previsione della legge n. 1497 del 1939) lo spettro dei destinatari risulta sostanzialmente coincidente. Invero, come evidenziato dai giudici amministrativi, con riguardo al permesso di costruire si è avuto modo di chiarire come l’espressione “a chiunque abbia titolo per richiederlo” vada intesa «nel senso più ampio di una legittima disponibilità dell’area, in base aduna relazione qualificata con il bene, sia essa di natura reale, o anche solo obbligatoria». Da tale prospettiva, anche il comma 1 dell’art. 146 valorizza, di fatto, letteralmente la previa esistenza di un titolo, escludendo la legittimazione a istare per il rilascio dell’autorizzazione in capo a coloro che ne siano sprovvisti. In entrambi i casi, quindi, sembrerebbe necessaria la relazione qualificata col bene, così come in entrambi i casi il dato testuale non contempla alcun riferimento alla relazione tra soggetto istante e titolare del corrispondente diritto dominicale. Al cennato parallelismo tra le due disposizioni, quindi, conseguirebbe, per simmetria giuridica, l’estensione degli approdi raggiunti con riguardo alla legittimazione a chiedere il permesso di costruire alle domande di rilascio di autorizzazione paesaggistica. In particolare, secondo il TAR, all’obbligo in capo all’Amministrazione di accertare, in un contratto di locazione, la sussistenza del consenso del proprietario, con la conseguenza che, laddove questo difetti, «non potrà procedere al rilascio del titolo, così come di quello paesaggistico». 

Così perimetrato il “gemellaggio” tra autorizzazione paesaggistica e permesso di costruire (nell’area di quanto oggetto di esame specifico qui), non può non evidenziarsi che apparirebbe comunque arduo comprendere, in una prospettiva differente da quella evidenziata dai giudici amministrativi, quale sarebbe l’interesse a conseguire (con oltretutto inutile dispiego di risorse umane, di mezzi e di tempo da parte dell’amministrazione) un’autorizzazione soltanto ancillare e con valenza endoprocedimentale rispetto alla realizzazione dell’intervento edilizio programmato, quest’ultimo restando comunque concretamente precluso dall’impossibilità di rilascio del permesso di costruire costituita dal mancato consenso del proprietario; ciò a maggior ragione laddove i rapporti tra proprietà e affittuario siano controversi anche giudizialmente in sede ordinaria, non potendosi esigere dalla P.A. l’effettuazione di valutazioni di tipo civilistico, appartenenti alla giurisdizione del giudice ordinario.

In sintesi, quindi, per un verso, risulterebbe compromesso il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica laddove la società richiedente non sia titolare di alcun diritto reale, ma semplice affittuaria dell’immobile (il che già renderebbe comunque necessario un consenso espresso, inequivoco del proprietario). Per altro verso, non può tacersi del fatto che, laddove anche fosse possibile superare il dissenso espresso del proprietario, l’eventuale sussistenza di una “discordanza interpretativa” in ordine a quanto disposto dal contratto di affitto, renderebbe evidente come la legittimazione della locataria a presentare l’istanza non fondi su basi chiare e certe ictu oculi, essendo invece necessarie interpretazioni del contenuto del contratto estranee alla competenza della pubblica amministrazione in sede di rilascio dell’autorizzazione de qua

4. Riflessioni conclusive.

Come ampiamente rilevato supra, l’art. 146 del Codice del Paesaggio (in specie commi da 1 a 3) individua nei “proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico” i soggetti legittimati alla richiesta di autorizzazione paesaggistica. Emerge, adunque, dal dettato normativo, come la relazione tra il soggetto richiedente e la res (es. l’immobile in relazione al quale deve declinarsi la valutazione di compatibilità paesaggistica) risulta in qualche modo “neutra” rispetto alla presentazione della richiesta di che trattasi, essendo sufficiente che l’istante provi la “mera” detenzione del bene. Del resto, così fa propendere la lettura non solo dell’art. 146 cit. – laddove si individua, in modo ovviamente estensivo, tutte le categorie civilistiche di relazione con un determinato bene immobile – ma anche dell’art. 167, commi 1 e 5, del Codice del Paesaggio, laddove, in materia sanzionatoria e di compatibilità paesaggistica, la legislazione dispone nel senso di richiamare le figure, a vario titolo coinvolte nel procedimento de quo, del “trasgressore” in generale, del proprietario dell’area sulla quale si è consumato l’illecito paesaggistico e comunque del “possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi” (soggetti che possono essere tenuti alla rimessione in pristino delle opere abusivamente realizzate). Si opera così una scelta la cui ratio, a ben vedere, consiste nell’addossare il costo per la reintegrazione del complesso dei valori paesaggistici, indebitamente distrutti o dei quali si è indebitamente appropriato mediante la realizzazione dell’opera abusiva, a colui che dell’opera abusiva trae effettivo ed attuale godimento, quale che sia il titolo che sostiene siffatta situazione soggettiva.

In sostanza, quindi, la previsione di cui al comma 1, art. 146 cit., in un’interpretazione sistematica e teleologicamente orientata, risulta giustificata sulla base del fatto che ad essere “indagato” da parte dell’autorità competente non è tanto il titolo sulla base del quale viene prodotta la richiesta de qua, bensì la compatibilità strutturale e funzionale dell’immobile con i valori tutelati, al netto, ovviamente, della prova di relazione qualificata con l’immobile per il quale si richiede l’emissione del titolo paesaggistico specifico.

Ora, oltre il dato pretorio e volendo proseguire nel parallelismo tra legittimazione alla richiesta dell’autorizzazione paesaggistica e del permesso di costruire, si potrebbe certamente confermare pure il fatto che talune categorie di soggetti – pacificamente riconosciute, anche in via pretoria, come titolate alla richiesta del titolo edilizio (cfr. amplius il paragrafo §2.1. del presente scritto) – siano anche legittimate in punto di richiesta del titolo paesaggistico in esame. È il caso, ad esempio e a parere di chi scrive, degli appaltatori. Ed infatti il contratto di appalto è un contratto ad effetti obbligatori che conferisce, normalmente, anche l’espressa detenzione qualificata dell’area su cui deve essere realizzata l’opera, con la conseguenza che l’appaltatore può essere autore sia di interventi abbisognosi di tutela paesaggistica sia di azioni che ledono il paesaggio (e, in quanto tale, può essere destinatario delle sanzioni previste dal d.lgs. n. 42/2006).

Ciò che rileva, quindi, in punto di legittimazione alla richiesta dell’autorizzazione paesaggistica, è certamente un titolo fondato su un diritto reale o almeno su di un diritto obbligatorio, che riconosca all’istante la disponibilità giuridica e materiale del bene; sotto diverso profilo, invece, la semplice relazione di fatto, come il possesso del bene, benché tutelata dall’ordinamento, non sembrerebbe tale da conferire il diritto ad ottenere dalla P.A. l’atto paesaggistico se non, quantomeno, in presenza di un consenso espresso da parte del soggetto proprietario dell’immobile o dell’area specifica. Consenso, si badi, scevro da potenziali “discordanze interpretative” che possano, in qualche modo, compromettere ictu oculi la bontà dei presupposti dell’istanza paesaggistica (come detto, le specifiche interpretazioni contrattuali restano e sono estranee alla competenza della P.A. sia in sede di rilascio del titolo edilizio, sia in quella relativa all’autorizzazione ex art. 146 cit.).

Pertanto, in linea con la pronuncia in commento, si ritiene che la P.A., nell’esaminare ed istruire la richiesta di autorizzazione paesaggistica, dovrà certamente verificare, quale presupposto necessario, la sussistenza dei requisiti soggettivi in capo al richiedente il titolo paesaggistico, e che – al pari del caso edilizio – il diritto dell’istante si fondi su di un legittimo atto (contratto) che accordi al soggetto, altrettanto legittimamente, la disponibilità giuridica e materiale del bene immobile, dimostrando, ove necessario, anche il consenso della parte proprietaria. Potrebbe, adunque, essere utile valutare da parte dell’Amministrazione, entro gli espressi limiti più volte evidenziati nel presente scritto, anche il requisito essenziale della “causa” del contratto (art. 1325 c.c.), intesa come la funzione economico/sociale che, da un lato, il negozio oggettivamente persegue, e, dall’altro, il diritto riconosce rilevante ai fini della tutela da apprestare

 Si tratta di T.A.R. Basilicata, sez. I, 01 febbraio 2024, n. 56, in giustizia-amministrativa.it.

 In dottrina, ex plurimis e senza pretese di esaustività, si veda M.A. Sandulli, Natura ed effetti dell’imposizione dei vincoli paesisticiAtti del Convegno di studi giuridici sulla tutela del paesaggio, Milano, 1963, 87 ss.; F. Fracchia, Autorizzazione amministrativa e situazioni giuridiche soggettive, Napoli, 1996; G. Altavilla, Il codice dei beni culturali e del paesaggio. I beni paesaggistici. Note brevi e spunti critici, in Prime note zoom, 2004, 62, 173 ss.; A. Angiuli, Commento all’art. 146, in A. Angiuli, V. Caputi Jambrenghi (a cura di), Commentario al codice dei beni culturali e del paesaggio, Torino, 2005, 396 ss.; D. Antonucci, Commento al Codice dei beni culturali e del paesaggio, Napoli, 2005; P. Carpentieri, La nozione giuridica di paesaggio, Studi e contributi, in giustizia-amministrativa.it, 2005; R. Ferrara, Introduzione al diritto amministrativo. Le pubbliche amministrazioni nell’era della globalizzazione, Roma-Bari, 2005; F. Gualandi, L’autorizzazione paesaggistica in sanatoria tra “condono ambientale” (legge n. 308/2004) e la disciplina del nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio (art. 146, comma 10, lettera c) del d.lgs. n. 42/2004), in LexItalia, 2005; D. Sandroni, Commento all’art. 146, in R. Tamiozzo (a cura di), Il codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2005, 695 ss.; C. Videtta, Le valutazioni tecniche ambientali tra riserva procedimentale e selfrestraint del giudice amministrativo, in FA, 2005, 1359 ss.; V. Mazzarelli, La disciplina del paesaggio dopo il d.lgs. n. 157/2006, in Gior. dir. amm., 2006, 1080 ss.; M. Renna, Vincoli alla proprietà e diritto dell’ambiente, Diritto pubblico dell’economia, in Ambiente, attività amministrativa e codificazione, Milano, 2006, 389 ss.; M.R. Spasiano, I soggetti della politica ambientale in Italia, in Ambiente, attività amministrativa e codificazione, Milano, 2006, 159 ss.; P. Carpentieri, Il secondo “correttivo” del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in Urb. e app., 2008, 692 ss.; F. Cangelli, La disciplina procedimentale dell’autorizzazione paesaggistica: l’impatto delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 26, marzo 2008n. 63, in Riv. giur. urb., 2009, 175 ss.; S. Casu, L’autorizzazione paesaggistica tra disciplina a regime e disciplina transitoria (verso un equilibrio nel riparto di competenze), in Giustamm.it, 2009, 164 ss.; F. Marzari, Autorizzazioni paesaggistiche: sta per tramontare il veto della sovrintendenza, in Edilizia e territorio, 2009, 10 ss.; P. Marzaro, L’amministrazione del paesaggio. Profili critici ricostruttivi di un sistema complesso, Torino, 2009; Id., La “cura” ovvero l’amministrazione del paesaggio: livelli, poteri e rapporti tra enti nella riforma del 2008 del Codice Urbani (dalla concorrenza dei poteri alla paralisi dei poteri?), in Riv. giur. urb., 2008, 423 ss.; S. Amorosino, Introduzione al diritto del paesaggio, Roma-Bari, 2010.

 La controversia può essere così brevemente riassunta in fatto: la ricorrente, società locataria di una struttura alberghiera nel Comune di Maratea, ha impugnato il diniego di autorizzazione paesaggistica relativo alla realizzazione di una struttura temporanea a servizio dell’albergo de quo. In particolare, il diniego opposto dalla Regione Basilicata si è sostanziato nel fatto che «trattasi della stessa opera per cui l’Ufficio di pianificazione territoriale e paesaggio, in data 05/08/2022, ha determinato un diniego al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del d.lgs42/2004, avendo acquisito il diniego assoluto della proprietà alla realizzazione di cui trattasi». Pertanto, al fine di proseguire l’iter istruttorio della pratica, «sussiste la necessità di acquisire preventivamente l’assenso della società proprietaria dell’immobile in oggetto». Avverso tale specifico profilo, la ricorrente ha lamentato la violazione di legge, l’eccesso di potere e la disparità di trattamento, in quanto l’Amministrazione regionale, in buona sostanza, avrebbe errato nel qualificare il rapporto contrattuale quale “locazione”, mentre in realtà lo stesso costituirebbe un contratto di “affitto d’azienda” di durata pari a quattordici anni. L’affittuario, adunque, sarebbe subentrato nella pienezza dei rapporti facenti capo al concedente e avrebbe acquisito «prerogative di godimento e di disposizione equivalenti a quelle del proprietario giacché estese non solo sulle dotazioni di scorta (c.d. capitale circolante) ma anche sugli impianti (c.d. capitale fisso)». Secondo tale ricostruzione, dunque la ricorrente vanterebbe rispetto al bene alberghiero una posizione giuridica qualificata, quale diritto personale di godimento, alla presentazione dell’autorizzazione paesaggistica ex art. 146 d.lgs. 42/2004 e alla presentazione del permesso a costruire ex art. 11 del d.P.R. n. 380/2001.

 Si veda M.R. Spasiano, Art. 146, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2012, 1116 ss.; P. Carpentieri, Regime dei vincoli e Convenzione europea, in G.F. Cartei (a cura di), Convenzione europea del paesaggio e governo del territorio, Bologna, 2007, 135 ss.

 Ancora sull’autorizzazione paesaggistica in generale si veda L. Corti, Il controllo statale sulle autorizzazioni paesaggistiche nel (quasi concluso) regime transitorio, in Riv. giur. amb., 2010, 785 ss.; D. Logozzo, La “nuova” disciplina in materia di autorizzazione paesaggistica, in Urb. e app., 2010, 907 ss.; A. Serritiello, La semplificazione nel sistema di amministrazione del paesaggio, in AEDON, 2013, 1 ss.; G. Mari, Le incertezze irrisolte in tema di autorizzazione paesaggistica, in Riv. giur. ed., 2014, 103 ss.; E. Zampetti, La disciplina dell’autorizzazione paesaggistica tra esigenze di semplificazione e garanzie costituzionali, in Nuove Autonomie, 2014, 316 ss.; P. Carpentieri, Patrimonio culturale e discrezionalità degli organi di tutela. Semplificazione e tutela, in AEDON, 2016, 3, 1 ss.; M. Immordino, R. Lombardi, Elementi di legislazione dei beni paesaggistici, in A. Police, M.R. Spasiano (a cura di), Manuale di governo del territorio, Torino, 2016, 209 ss.; G. Mari, La rilevanza della disciplina del silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche nei procedimenti relativi ai titoli abilitativi edilizi: il ruolo dello sportello unico dell’edilizia. Considerazioni a margine di una recente circolare del MIBACT, in Riv. giur. ed., 2016, 61 ss.; P. Marzaro, Silenzio assenso tra Amministrazioni: dimensioni e contenuti di una nuova figura di coordinamento ‘orizzontale’ all’interno della ‘nuova amministrazione’ disegnata dal Consiglio di Stato, in Federalismi.it, 2016, 1 ss.; G. Sigismondi, Valutazione paesaggistica e discrezionalità tecnica: il Consiglio di Stato pone alcuni punti fermi, in AEDON, 2016, 3, 54 ss.; S. Amorosino, Il nuovo regolamento di liberalizzazione e semplificazione delle autorizzazioni paesaggistiche (d.P.R. n. 31 del 2017), in Riv. giur. urb., 2017, 174 ss.; B. Fenni, Tutela del paesaggio e esigenze di semplificazione, in Ambientediritto.it, 2017, 1 ss.; P. Marzaro, Autorizzazione paesaggistica semplificata e procedimenti connessi, in Riv. giur. urb., 2017, 220 ss.; G. Piperata, Paesaggio, in C. Barbati, M. Cammelli, L. Casini, G. Piperata, G. Sciullo, Diritto del patrimonio culturale, Bologna, 2017, 243 ss.; M. Sinisi, L’autorizzazione paesaggistica tra liberalizzazione e semplificazione (D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31): la “questione aperta” del rapporto tra semplificazione amministrativa e tutela del paesaggio, in Riv. giur. ed., 2017, 4, 235 ss.; G. Zborowski, La disciplina dell’autorizzazione paesaggistica, in F.G. Scoca, P. Stella Richter, P. Urbani (a cura di), Trattato di diritto del territorio, Torino, 2018, 1127 ss.

 Si veda, in giurisprudenza, Cons. Stato, sez. IV, 19 luglio 2021, n. 5407; Id., sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4776; Id., sez. IV, 25 settembre 2014, n. 4818, tutte in giustizia-amministrativa.it. Di particolare rilievo è il caso di cui a Cons. Stato, sez. IV, 30 agosto 2018, n. 5115, in Dir. e Giust., 2018, secondo cui, per il tramite dell’istanza di cui all’art. 19, comma 6 ter l. n. 241/1990, e nei limiti del suo interesse ad agire, il privato terzo, in caso di SCIA edilizia, può solo richiedere all’Amministrazione «la verifica obiettiva della compatibilità di quanto si intende realizzare con la disciplina urbanistica ed edilizia applicabile al caso di specie. Ma il privato non può certo richiedere all’amministrazione di verificare – in capo al soggetto che agisce sulla base di una Scia – la sussistenza delle condizioni perché questi possa essere destinatario di un titolo edilizio ex art. 11 d.P.R. n. 380/2001, proprio perché il medesimo articolo esclude che la Scia possa essere ricondotta ad un provvedimento amministrativo».

 Cfr., oltre alle pronunce già richiamate nella nota precedente, Cons. Stato, sez. V, 04 aprile 2012, n. 1990, in Foro amm.-C.D.S., 2012, 4, 891 ss., secondo cui, anche in materia di concessione di costruzione, deve essere applicato il principio per cui, ai fini dell’accertamento della proprietà di un’area, i dati catastali hanno valore meramente indiziario e ad essi può essere attribuito valore probatorio soltanto quando non risultino contraddetti da specifiche determinazioni negoziali delle parti o dalla complessiva valutazione del contenuto dell’atto al quale deve farsi risalire la titolarità dell’area medesima, da cui emerga l’effettiva, diversa estensione e delimitazione dell’oggetto del contratto stesso.

 Si veda, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2022, n. 1827, in Foro amm., 2022, 3, 371 ss., ove si rileva che tale verifica, tuttavia, deve compiersi secondo un criterio di ragionevolezza e secondo dati di comune esperienza, con la conseguenza che l’Amministrazione, quando venga a conoscenza, ad esempio, dell’esistenza di contestazioni sul diritto di richiedere il titolo abilitativo, deve compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, ma senza tuttavia assumere valutazioni di tipo civilistico sulla “pienezza” del titolo di legittimazione addotto dal richiedente.

 C.G.A.R.S., 11 maggio 2021, n. 413; Cons. Stato, sez. II, 30 settembre 2019, n. 6528, in giustizia-amministrativa.it, secondo cui «colui che richiede un titolo edilizio deve allegare e dimostrare di essere legittimato alla realizzazione dell’intervento che ne costituisce oggetto, il Comune non è tenuto a svolgere approfondite indagini al fine di appurare l’effettiva esistenza della legittimazione, ma deve limitarsi ad effettuare valutazioni sommarie, basate su prove di facile apprezzamento; conseguentemente, in caso di contestazioni sul titolo di legittimazione, pur potendo condurre le necessarie attività istruttorie il Comune non può sovrapporre propri apprezzamenti a quelli di competenza del giudice civile, e quindi deve arrestarsi laddove il richiedente non sia in grado di produrre elementi prima facie attendibili».

 Cons. Stato, n. 5407/2021 cit.

 In giurisprudenza, Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2021, n. 4919, in giustizia-amministrativa.it.

 Si veda Cons. Stato, sez. VI, 02 agosto 2011, n. 4576; Id., 08 giugno 2007, n. 3027; Id., sez. IV, 05 giugno 2012, n. 3300, quest’ultima in Riv. giur. ed., 2012, 3, 798 ss., ove si chiarisce che nelle controversie derivanti dall’impugnazione di un permesso di costruire, la coesistenza su un medesimo bene di più diritti reali, implica che più soggetti possano agire anche indipendentemente l’uno dall’altro a difesa dei rispettivi diritti insistenti sul medesimo bene: tale legittimazione, peraltro, «spetta anche all’usufruttuario, a prescindere dalla circostanza che l’usufruttuario sia anche detentore del bene».

 Cons. Stato, sez. IV, 05 giugno 2012, n. 3300; T.A.R. Campania, Napoli, sez. II, 07 marzo 2011, n. 1318, in giustizia-amministrativa.it. Secondo T.A.R. Veneto, sez. IV, 13 novembre 2013, n. 1270, il diritto di usufrutto, in quanto ricomprende anche la possibilità di sfruttare pienamente la potenzialità edificatoria del suolo, costituisce titolo idoneo a legittimare la richiesta del permesso di costruire. Secondo Cons. Stato, sez. IV, 13 marzo 2014, n. 1238, in giustizia-amministrativa.it, in base all’art. 11 del d.P.R. n. 380/2001 anche il nudo proprietario ha diritto a richiedere il titolo edilizio, mentre secondo un orientamento più risalente (T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Bolzano, sez. II, 30 luglio 1997, n. 306, in giustizia-amministrativa.it) il nudo proprietario non sarebbe legittimato, salvo si tratti di interventi che determinino la modifica ca della destinazione d’uso dell’immobile, per la quale è richiesto l’assenso sia dell’usufruttuario che del proprietario.

 T.A.R. Abruzzo, sez. I, 01 settembre 2011, n. 504, in Foro amm.-T.A.R., 2011, 9, 2768 ss. Come detto, il permesso di costruire è rilasciato, salvi i diritti dei terzi, non solo al proprietario, ma anche a “chi abbia titolo per richiederlo”, dovendosi intendere tali soggetti anche nei contitolari del diritto dominicale, nell’enfiteuta, usufruttuario, titolare del diritto di superficie, d’uso e d’abitazione, fino al promissorio acquirente in possesso del godimento dell’immobile; ora, «dal momento che il comproprietario condominiale ha il diritto ad utilizzare il suo titolo reale parziario, al pari di tutti gli altri condomini, l’Amministrazione non è, pertanto, tenuta ad effettuare alcuna disamina puntuale dei rapporti tra gli stessi condomini, essendo sufficiente la sussistenza di un qualificato collegamento soggettivo tra chi fa l’istanza ed il bene oggetto dell’edificazione».

 T.A.R. Basilicata, sez. I, 25 ottobre 2010, n. 779, in Foro amm.-T.A.R., 2010, 10, 3353 ss.

 Cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 18 luglio 2011, n. 1365, in Riv. giur. ed., 2011, 5, 1362 ss., ove si specifica che l’art. 11 d.P.R. n. 380 del 2001, nel disporre che il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi ne abbia titolo, prevede, quale condizione legittimante la presentazione della richiesta, la sussistenza di una situazione giuridica assimilabile alla proprietà ovvero alla qualificata aspettativa di poter esercitare le prerogative del proprietario sull’area ove realizzare l’intervento. In tale ipotesi, rientra la stipulazione di un contratto di opzione e ciò «in ragione della sua configurazione quale sostanziale proposta irrevocabile, con vincolo a carico del concedente e diritto potestativo in favore dell’opzionario, trattandosi senz’altro di istituto idoneo a fa sorgere, in capo all’interessato, una situazione di qualificata aspettativa».

 Sul punto, T.A.R. Sardegna, sez. II, 11 maggio 2017, n. 332, in giustizia-amministrativa.it.

 Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4776, in Riv. giur. ed., 2014, 5, 1069 ss., ove si chiarisce che tale lettura si estende anche alle procedure di condono edilizio, per la cui richiesta la normativa di riferimento rinvia alla domanda di concessione edilizia e a chi abbia titolo per presentarla. Cfr. pure Cons. Stato, sez. I, 28 giugno 201, n. 7563, in Foro amm.-C.d.S., 2013, 6, 1740 ss.; Id., sez. VI, 25 marzo 2011, n. 1842, in Foro amm.-C.d.S., 2011, 3, 991 ss.; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 08 luglio 2013, n. 1500, in Foro amm.-T.A.R., 2013, 7-8, 2500 ss.; Cons. Stato, sez. IV, 26 gennaio 2009, n. 437, in Riv. giur. ed., 2009, 3, 898 ss.; Id., 27 ottobre 2009, n. 6545, in Foro amm.-C.d.S., 2009, 10, 2307 ss.

 In giurisprudenza, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 03 settembre 2008, n. 10036, in Foro amm.-T.A.R., 2008, 9, 2523 ss., ove si evidenzia che anche l’amministratore di un condominio, se e quando munito di specifici poteri a lui conferiti dai singoli condomini, può richiedere il rilascio di una concessione edilizia in quanto la legge non esclude che i soggetti titolati possano avvalersi di altri soggetti, regolarmente incaricati secondo le regole generali per esercitare il loro diritto. Ciò può facilmente verificarsi «nell’ipotesi di lavori di ristrutturazione di uno stabile condominiale per i quali è richiesta la concessione edilizia o nel caso di demolizione e successiva ricostruzione di un edificio condominiale».

 Cfr. T.A.R. Puglia, Lecce, sez. III, 12 dicembre 2013, n. 2443 e Cons. Stato, sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4370, in giustizia-amministrativa.it, ove si evidenzia che sia necessario guardare ai contenuti del contratto stipulato dalle parti ed alle facoltà in esso conferite, comparando le stesse con il tipo di intervento edilizio che si è richiesto per l’immobile.

 T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 24 gennaio 2012, n. 765; T.A.R. Basilicata, sez. II, 26 luglio 2010, n. 532, in Foro amm.-T.A.R., 2010, 8, 2638 ss., laddove i giudici amministrativi evidenziano che «il provvedimento di concessione edilizia può essere rilasciato al proprietario dell’area o a chi ha titolo per richiederla, quale titolare di un diritto reale ovvero un diritto obbligatorio che accordi al richiedente la disponibilità del suolo o la potestà edificatoria, mentre una semplice relazione di fatto, ancorché tutelata, quale quella legata al mero possesso dell’area, non è idonea a conferire il diritto ad ottenere il rilascio del titolo concessorio».

 Cons. Stato, sez. VI, 02 febbraio 2012, n. 568, in giustizia-amministrativa.it.

 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 22 settembre 2014, n. 4776, in giustizia-amministrativa.it.

 Si veda, in particolare, Cons. Stato, sez. VI, 24 luglio 2020, n. 4745 in Riv. giur. ed., 2020, 5, 1292 ss., ove si chiarisce che «se è vero che l’Amministrazione comunale, nel corso dell’istruttoria sul rilascio della concessione edilizia, deve verificare che esista il titolo per intervenire sull’immobile per il quale è chiesta la concessione edilizia, benché la concessione sia sempre rilasciata facendo salvi i diritti dei terzi, è anche vero, però, che deve escludersi un obbligo del Comune di effettuare complessi accertamenti diretti a ricostruire tutte le vicende riguardanti la titolarità dell’immobile, o di verificare l’inesistenza di servitù o altri vincoli reali che potrebbero limitare l’attività edificatoria dell’immobile, atteso che la concessione edilizia è un atto amministrativo che rende semplicemente legittima l’attività edilizia nell’ordinamento pubblicistico, e regola solo il rapporto che, in relazione a quell’attività, si pone in essere tra l’autorità amministrativa che lo emette ed il soggetto a favore del quale è emesso, ma non attribuisce a favore di tale soggetto diritti soggettivi conseguenti all’attività stessa, la cui titolarità deve essere sempre verificata alla stregua della disciplina fissata dal diritto comune». Cfr. anche Cons. Stato, sez. IV, 23 dicembre 2019 n. 6394, in Foro amm., 2019, 12, 2039 ss.

 Si veda T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. III, 10 gennaio 2019, n. 56, in giustizia-amministrativa.it, ove si sottolinea, nel dettaglio, che ogni qual volta è nota la situazione di comproprietà dell’immobile oggetto di intervento, l’ente locale è tenuto ad accertare che vi sia l’assenso di tutti i comunisti coinvolti, senza che possano essere opposte, al fine di escludere la necessità di tale assenso, vicende sostanziali e processuali che presuppongono accurate ed approfondite indagini circa i sottesi rapporti civilistici.

 Cons. Stato, sez. VI, 07 settembre 2016, n. 3823, in Foro amm., 2016, 9, 2105 ss. In particolare, secondo il giudice di seconde cure, in sede di procedimento per rilascio di titolo edilizio (in specie, in sanatoria) deve formare oggetto di valutazione, da parte del Comune, la sussistenza di tutti i presupposti cui la legge condiziona il suddetto rilascio e, fra essi, anche la circostanza che l’istanza di sanatoria «provenga da un soggetto qualificabile come proprietario dell’edificio oggetto degli interventi della cui sanatoria giuridica si tratti e che abbia l’intera proprietà del bene, e non solo una parte o quota di esso; non può invece riconoscersi la legittimazione al semplice proprietario pro quota ovvero al comproprietario di un immobile, atteso che il contegno tenuto da quest’ultimo potrebbe pregiudicare i diritti e gli interessi qualificati dei soggetti con cui condivida la propria posizione giuridica sul bene oggetto di provvedimento». Cfr. pure Cons. Stato, sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2116; Id., 25 settembre 2014, n. 4818, tutte in giustizia-amministrativa.it.

 T.A.R. Sardegna, sez. I, 25 febbraio 2022, n. 135, in Riv. giur. ed., 2022, 3, 832 ss. che conferma, in linea con costante impostazione giurisprudenziale, il fatto che il Comune, in sede di rilascio del titolo abilitativo, deve verificare l’esistenza del titolo giuridico per realizzare l’intervento, ex art. 11, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, ma non è tenuto a svolgere verifiche complesse in ordine al regime proprietario dei beni né, tanto più, a risolvere conflitti tra parti private; cfr. pure Cons. Stato, sez. IV, 18 marzo 2021, n. 2329, in Riv. giur. ed., 2021, 3, 921 ss.

 Del resto, il rilascio del titolo edilizio non incide sui rapporti tra privati, ma lascia impregiudicati i diritti degli aventi diritto; tanto è confermato dall’art. 11, comma 3, d.P.R. 380/2001, nella parte in cui sancisce espressamente che “il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi”. Sul punto, la giurisprudenza amministrativa ha più volte ribadito che «il rilascio del titolo edilizio abilitativo, facendo salvi i diritti dei terzi, non interferisce nell’assetto dei rapporti tra privati; pur restando fermo il potere (dovere) dell’Amministrazione di verificare la sussistenza di limiti di matrice civilistica per la realizzazione dell’intervento edilizio da assentire. Si tratta, in sostanza, di un controllo generale di conformità che non può spingersi comunque sino a penetranti analisi, nel senso che l’Amministrazione non è tenuta a svolgere complesse ricognizioni giuridico-documentali circa gli effetti pregiudizievoli dell’intervento progettato sui diritti reali vantati da terzi sulle parti comuni dell’edificio o sull’incidenza dell’intervento su vincoli reali gravanti sull’edificio stesso»; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 24 gennaio 2022, n. 435; Id., sez. IV, 13 novembre 2020, n. 5204, in giustizia-amministrativa.it.

 Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2021, n. 4919; Id., 24 febbraio 2022, n. 1302, in Foro amm., 2022, 2, 191 ss.

 Diverso è il caso in cui in cui il Comune sappia che il diritto di chi richiede il titolo abilitativo è contestato: in tal caso, l’ente deve compiere le indagini necessarie per verificare se tali contestazioni siano fondate e negare il rilascio del titolo laddove il richiedente non sia in grado di fornire elementi seri a fondamento del suo diritto (così Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2021, n. 2951, ove si specifica che se è vero che il rilascio del permesso non incide sui diritti dei terzi è anche vero che i principi di economicità dell’azione amministrativa sconsigliano di rilasciare titoli abilitativi aventi ad oggetto interventi edilizi oggetto di facili impugnative da parte dei controinteressati).

 In situazione di comproprietà dell’immobile oggetto di intervento (risultante, ad esempio, dall’atto di proprietà), si è rilevato come l’ente locale è tenuto ad accertare che vi sia l’assenso di tutti i comproprietari coinvolti, senza che possano essere opposte, al fine di escludere la necessità di tale assenso, vicende sostanziali e processuali che presuppongono accurate ed approfondite indagini circa i sottesi rapporti civilistici (T.A.R. Catanzaro, n. 56/2019 cit.). Più nel dettaglio, si è evidenziato come il comproprietario è singolarmente legittimato solo con l’avallo, esplicito (delega) o implicito degli altri, desumibile quest’ultimo anche dal c.d. “factum fiduciae” e cioè un comportamento concludente attestante un rapporto fiduciario tra i vari comproprietari, che è stato talvolta ricondotto alla c.d. “tolleranza pregressa”, ossia nel tempo trascorso senza che vi sia un’esplicita espressione di dissenso da parte degli altri comproprietari; Cons. Stato, sez. IV, 29 agosto 2019, n. 5947, in giustizia-amministrativa.it.

 Secondo il TAR Basilicata, nella pronuncia in commento, parte resistente «non ha affatto proceduto a una autonoma riqualificazione del contratto di affitto d’azienda in locazione, essendosi limitata ad affermarne l’equivalenza ai fini che qui rilevano, in quanto entrambi tali tipi contrattuali attribuiscono al locatore o all’affittuario un diritto personale di godimento». In particolare, si è evidenziato come l’affitto di azienda è un contratto in forza del quale il proprietario concede un diritto personale di godimento a un terzo dietro pagamento di un canone, integrando una “species” del “genus” della locazione.

 Si veda anche S. Speranza, Silenzio assenso tra P.A. e autorizzazione paesaggistica. Le prospettive del Consiglio di Stato (nota a Consiglio di Stato, Sezione Sesta, n. 4098 del 24 maggio 2022), in Giustizia Insieme, 2022. Sia consentito il rinvio anche a G. Delle Cave, «In interpretatione non fit claritas»: sulla duplice (anzi triplice) esegesi pretoria in materia di silenzio assenso ex art. 17 bis l. n. 241/1990 e parere paesaggistico soprintendizio, in Giustizia Insieme, 2023; Id., Autorizzazione paesaggistica e silenzio assenso tra P.A.: un connubio (im)possibile? competenze procedimentali e portata applicativa dell’art. 17 bis l. n. 241/1990ivi, 2022. 

 D. Galasso, Nelle aree vincolate l’autorizzazione paesaggistica è sempre necessaria, in Dir. e giust., 2016, 10, 12 ss.; L. Corti, Vincoli e autorizzazioni paesaggistiche: orientamenti consolidati e profili di novità, in Riv. giur. amb., 2011, 3, 524 ss.

 T.A.R. Liguria, sez. I, 26 maggio 2011, n. 1015 e T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 09 novembre 2010, n. 23672 in Foro amm.-T.A.R. 2010, 11, 3596 ss., secondo cui, ad esempio, non può essere annoverato tra questi soggetti il promissario acquirente «cui non sia stata attribuita la detenzione del bene». Pertanto, è necessaria la disponibilità materiale del bene «pena l’inefficacia del sistema di tutela giurisdizionale». Sul punto, si veda V. Parisio, Art. 146, comma 12, in M.A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Giuffrè, 2019, 1310 ss. Recentemente, Cons. Stato, sez. I, 30 dicembre 2022, n. 2208, in giustizia-amministrativa.it.

 Si veda T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 09 novembre 2010, n. 23672, in Foro amm.-T.A.R., 2010, 11, 3596 ss.

 Cons. Stato, sez. IV, 15 marzo 2022, n. 1827, in giustizia-amministrativa.it.

 Sul punto, si veda Cons. Stato, sez. IV, 2023 n. 2836, in Riv. giur. ed., 2023, 3, 634 ss., ove si evidenzia che il parere di compatibilità paesaggistica costituisce un atto endoprocedimentale emanato nell’ambito di quella sequenza di atti e attività preordinata al rilascio o al diniego del provvedimento di autorizzazione paesaggistica: le valutazioni espresse sono finalizzate all’apprezzamento dei profili di tutela paesaggistica che si consolideranno, all’esito del procedimento, nel provvedimento di autorizzazione o diniego di tale autorizzazione. Cfr. T.A.R. Piemonte, sez. I, 11 febbraio 2019, n. 190; T.A.R. Campania, Napoli, sez. III, 03 settembre 2018, n. 5317; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 31 agosto 2016, n. 2040, tutte in giustizia-amministrativa.it. Cfr. S. Caggegi, Funzione del parere di compatibilità paesaggistica e sindacabilità degli atti finalizzati alla tutela ambientale. Nota a Consiglio di Stato, sez. IV, 21 marzo 2023, n. 2836, in Giustizia Insieme, 2023.

 Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 2023 n. 5407, in giustizia-amministrativa.it.

 N. Durante, Il controverso regime delle autorizzazioni paesaggistiche, relazione nell’ambito del convegno “La tutela dei beni paesaggistici e culturali, a venti anni dall’entrata in vigore del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42”, 2024.

 Si veda anche T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 17 febbraio 2023, n. 513, in giustizia-amministrativa.it.

 S. Amorosino, Autorizzazioni paesaggistiche: una sentenza “passatista” del Consiglio di Stato disattesa dal T.A.R. Salerno, in Urb. e app., 2021, 4; P. Carpentieri, Silenzio assenso e termine a provvedere, anche con riferimento all’autorizzazione paesaggistica. Esiste ancora l’inesauribilità del potere amministrativo?, in giustizia-amministrativa.it, 2022.

 Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 09 giugno 2020, n. 3689, in giustizia-amministrativa.it.

 Si veda, sul punto, la lucida analisi di O. Carparelli, Brevi note in tema di soggetti legittimati a richiedere la concessione edilizia, in LexItalia, 2020.

 Secondo O. Carparelli, op. cit., detta causa, che, di regola, è tipica per ciascuna fattispecie di contratto, «deve essere lecita; sicché, non sarebbe legittimo e/o lecito che le parti facciano ricorso all’utilizzazione dello strumento negoziale per frodare la legge (art.1344 c.c.), nel senso che non è lecito che le stesse, intenzionalmente, attribuiscano al negozio una funzione obiettiva diversa da quella tipicamente prevista, per il raggiungimento di una comune finalità contraria alla legge».

 

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