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Il 4,4% delle famiglie non ha un conto corrente, né un conto deposito o postale. Non ha cioè accesso a strumenti finanziari di base, siano essi di risparmio o di pagamento. Parliamo di 1,1 milioni di famiglie, circa 2,3 milioni di persone. Fra le famiglie finanziariamente escluse, il 78,2% vive al Sud. Se si prende poi in esame la quota di esclusione alla richiesta di mutui e prestiti (rifiuti e pratiche incomplete), il Sud e le Isole fanno segnare rispettivamente tassi del 43% e del 39%, a fronte di un dato nazionale del 21%. Sono alcuni dei numeri emersi da Inclusione finanziaria e microcredito. Con le comunità per contrastare la povertà e l’esclusione, rapporto pubblicato da Fondazione Finanza Etica.

Lo studio ricomprende la quinta indagine sull’inclusione finanziaria realizzata da Banca Etica e la diciassettesima edizione del Rapporto sul microcredito in Italia curata da c.borgomeo&co., analizzando i dati proveniente da fonti istituzionali (Banca d’Italia e Istat) e dai contributi delle organizzazioni coinvolte: ad esempio l’analisi della condizione di inclusione finanziaria nelle diverse aree d’Italia, realizzata utilizzando l’Indice di Inclusione Finanziaria ideato da Banca Etica, e l’approfondimento effettuato da Ritmi e c.borgomeo&co. sulla presenza territoriale degli interventi di microcredito, arricchito da una rassegna dei progetti realizzati in Italia nell’ultimo anno. 

Famiglie a rischio usura e criminalità

«Che oltre 2 milioni di cittadine e cittadini italiani non abbiano accesso ai servizi finanziari di base è sintomo di deterioramento dei presidi territoriali e rappresenta una porta aperta ai circuiti finanziari non vigilati e criminali, in primis l’usura», spiega Anna Fasano, presidente di Banca Etica. «Del resto», aggiunge «tale scenario è il contraltare sociale di un calo dell’Indice di inclusione finanziaria sul 2020, e dovrebbe stimolare al contempo le istituzioni a rendere l’ecosistema bancario e finanziario più accogliente verso lavoratori fragili e precari (tra cui molte donne), verso le famiglie e le imprese in difficoltà, condividendo così (almeno in parte) la visione della finanza etica, che considera l’accesso al credito un diritto umano».

Nuovi e urgenti interventi. Per Fasano, inoltre, questa situazione «rende sempre più necessaria la risposta inclusiva di una finanza etica e del microcredito. Oltre a chiamare in causa le istituzioni per elaborare nuovi e urgenti interventi».

Peggiora l’indice di inclusione di Banca Etica

Dietro i numeri del rapporto si nascondono storie di migliaia di persone e di famiglie spesso in condizioni di estrema fragilità e che non hanno accesso a risorse economiche sufficienti. Dunque il 4,4% delle famiglie italiane non possiede un conto di deposito di nessun tipo: il dato aggregato è superiore alla media europea e diventa seriamente allarmante se si analizzano i dati regionali.

Di queste famiglie escluse finanziariamente, solo il 16% risiede al Nord e il 6% al Centro, mentre al Sud e nelle isole le percentuali sono nettamente più alte: rispettivamente il 56 e il 22%.

Due famiglie su dieci non hanno un conto corrente

In Campania e in Molise quasi il 20% della popolazione non ha accesso ad alcun strumento finanziario. Il 12% in Calabria e Sicilia. Meglio, ma sempre sopra la media nazionale, la situazione in Puglia e Basilicata (più del 5%).

Ad evidenziare le difficoltà registrate da famiglie e imprese nell’accesso ai servizi finanziari è anchde l’Indice di Inclusione Finanziaria elaborato da Banca Etica: nel 2021 si è registrato un peggioramento di ben 3 punti percentuali rispetto all’anno precedente. E le proiezioni sul 2022 prefigurano un ulteriore lieve calo dello -0,7% rispetto al 2021.

Dicevamo, l’Indice di Inclusione Finanziaria. Banca Etica lo elabora a partire da due dati. Il primo è l’intensità creditizia, cioè il rapporto tra finanziamenti e prodotto interno lordo (Pil) al netto delle sofferenze bancarie. Il secondo sono le condizioni di offerta del credito, cioè la propensione delle banche a erogare nuovi finanziamenti in una determinata area del Paese. La curva è in discesa dal 2012 ma a partire dal 2018 ha virato verso l’alto, con una brusca accelerazione nel 2020. Tra il 2020 e il 2021, però, il dato è tornato a peggiorare di tre punti percentuali, con un picco negativo nell’Italia centrale (-6,4%).

La desertificazione bancaria

La difficoltà di accesso al credito da parte dei cosiddetti soggetti non bancarizzati risente anche della crescente desertificazione bancaria: nel 2022 in Italia hanno chiuso 554 sportelli bancari (-2,6%). Quattro milioni di persone vivono oggi in un comune senza alcuna filiale, 6 milioni in località con un solo sportello a disposizione. Sono dati che fotografano una caduta verticale della presenza di presidi “istituzionali” del credito sui territori, peraltro sempre più interessati da forme rischiose e speculative di finanziamento (come la cosiddetta “cessione del quinto”, strumento talvolta utile, il cui impiego impone d’altro canto grande cautela) oppure rappresentati da società finanziarie borderline, attive ai margini del perimetro più vigilato e formalizzato.

I servizi bancari digitali non bastano. La desertificazione bancaria è in parte compensata dall’avvento dei servizi bancari digitali, il cui accesso ha visto un +29% nell’arco di dieci anni. Ma, appunto, questo è vero solo in parte. In un territorio come l’Italia, in cui l’età media è la più alta d’Europa e la rete internet veloce è ancora lacunosa, soltanto il 45% della clientela sfrutta i canali digitali delle banche. Molto meno rispetto alla media dell’Unione, pari al 58%. Per giunta, l’internet banking non è andato a sopperire alla mancanza di sportelli sul territorio. Lo dimostrano Trentino-Alto Adige e Calabria. La prima è in testa sia per accesso online ai servizi bancari (59,61% della popolazione), sia per diffusione degli sportelli (65 ogni 100mila abitanti). La seconda, viceversa, è fanalino di coda di entrambe le graduatorie, con il 26,8% della popolazione che usa l’home banking e 18 sportelli ogni 100mila abitanti.

Chi sono i protagonisti dell’esclusione finanziaria

In questo scenario, lavoratori precari e working poors, donne vittime di violenza diventano i target tristemente privilegiati dell’esclusione finanziaria. Sono d’altra parte crescenti anche i fenomeni di vera e propria espulsione dal sistema: una dilagante e sempre più allarmante situazione di sovraindebitamento, se non prontamente contrastata, è infatti destinata a espellere dal sistema finanziario milioni di persone, con il rischio di alimentare circuiti di finanziamento illegali legati alla criminalità organizzata.

Il ruolo del microcredito

Una delle risposte a questa situazione può venire dal microcredito: la ricerca ha rilevato come, nel corso del 2022 sono stati concessi microprestiti a 15.679 beneficiari, per un ammontare complessivo di quasi 214 milioni di euro, grazie al lavoro di promozione di 130 soggetti. Lo strumento, che nelle sue varie forme (microcredito produttivo, microcredito sociale, microcredito per gli studenti, microcredito antiusura) si presta a favorire l’inclusione finanziaria e il contrasto alla povertà, mostra peculiarità e limiti. Da un lato si registra una riduzione di impiego del microcredito sociale, dall’altro il microcredito d’impresa favorisce i giovani (la popolazione under 30 copre l’83% di questi finanziamenti nel 2022) ma non raggiunge la popolazione straniera e migrante (2%). E il divario di genere rimane: solo il 40% dei microcrediti erogati è diretto alle donne. 

Il microcredito è uno strumento indispensabile per contrastare l’esclusione sociale che alimenta fenomeni di illegalità finanziaria e criminalità usuraria, in particolare nel Mezzogiorno

 Giampietro Pizzo, presidente di Ritmi

Alto potenziale del microcredito

«I dati», chiarisce Carlo Borgomeo, presidente di c.borgomeo&co. «confermano una utilizzazione sostanzialmente costante di questo strumento. La nostra convinzione è che la domanda potenziale di microcredito, sia di quello “sociale” che di quello “imprenditoriale”, è molto più alta, ma che le politiche, le normative adottate nel corso degli anni non hanno consentito una estensione del fenomeno. E l’ultimo decreto del Mef, quello del novembre 2023, rischia addirittura di snaturare lo strumento».

Le strade per frenare l’esclusione: educazione finanziaria, microcredito e sinergie con le banche

La ricerca propone anche quali strade andrebbero battute maggiormente per modificare gli andamenti negativi. Innanzitutto quella dell’azione capillare di prevenzione: l’educazione finanziaria è infatti la premessa per rafforzare le capacità di scelta e di gestione delle risorse finanziarie da parte delle famiglie e delle imprese.

Il sovraindebitamento. In secondo luogo quella dello sviluppo di strutture sul territorio in grado di riconoscere le problematiche legate al fenomeno di sovraindebitamento (difficoltà sociali, economiche e psicologiche) per orientare la persona verso i servizi di assistenza più adatti.

Strumenti di risoluzione del problema. Terzo, favorire la predisposizione di strumenti finanziari e legali che possano condurre verso la risoluzione del problema: in alcuni casi con la ristrutturazione della posizione debitoria, in altri attraverso una procedura di cancellazione del debito come previsto dalla normativa italiana. 

Le relazioni tra attività bancarie tradizionali ed enti di microcredito. A ciò si aggiunge l’opportunità di rafforzare le relazioni tra attività bancarie tradizionali ed enti di microcredito, nonché di garantire il pieno inserimento del tema nella strategia degli stessi istituti bancari e di potenziare i servizi non finanziari di formazione, coaching e mentoring. E si segnala infine, l’esperienza delle banche etiche (Banca Etica in Italia è la prima e l’unica di questo genere), che mostrano come gli istituti di credito possano veicolare la raccolta di risparmio verso progetti mirati e verso attori dell’economia sociale che supportano le persone in condizioni di fragilità, favorendo così percorsi di prevenzione dei default.

In apertura foto di Giovanni Gagliardi per Unsplash. Nel testo foto di Alessio Nisi



 

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