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Legge sul sovraindebitamento: il giudice può autorizzare il taglio della morosità se il debitore non ha soldi a sufficienza per pagare i creditori.

Se hai troppi debiti per poterli pagare pur lavorando un’intera vita ed, in più, non sei imprenditore, per cui non puoi dichiarare “fallimento” lasciandoti tutto alle spalle, esiste una via d’uscita, rapida e indolore per cancellare le passività con Equitalia, le banche, le finanziarie o altri creditori: si chiama “legge sul sovraindebitamento” (da alcuni battezzata anche “legge salva suicidi”) e consente di ottenere dal giudice una decurtazione del debito finanche del 75%. È questa l’applicazione pratica che i giudici – dopo un primo momento di incertezza – stanno dando alla legge del 2012

[1].

A fare da apripista erano stati, l’anno scorso, il tribunale di Busto Arsizio (che aveva autorizzato un saldo e stralcio con Equitalia) e di Napoli (che, invece, era intervenuto in merito a un’esposizione debitoria con la banca). Ma l’esempio è ora seguito da altri fori. Gli ultimi esempi provengono dal tribunale di Monza e di Como. In pratica, con una particolare procedura (detta “piano del consumatore” o “accordo con i creditori”, a seconda che sia richiesto o meno il consenso del creditore), il consumatore o il piccolo imprenditore può ristrutturare il proprio debito (anche se con il fisco) ottenendo la riduzione dell’importo in base delle proprie capacità economiche.

Tutto parte da una proposta che il debitore presenta in tribunale. Questi deve farsi assistere da un “organismo di composizione della crisi” che, in realtà, può essere anche un semplice professionista come un avvocato o un commercialista.

È necessario che il debitore risulti “meritevole” dello sconto: il che significa che la situazione di morosità deve essere stata determinata da cause non attribuibili a sua colpa (per esempio, un licenziamento, una difficile congiuntura economica, la riduzione dello stipendio, ecc.; non così, invece, sarebbe in caso di una sua eccessiva propensione alle spese).

Inoltre, il debitore deve dare da un lato la prova di poter pagare almeno una minima percentuale del debito, attingendo da propri o altrui beni (si pensi, per esempio, alla vendita della casa dei genitori o alla cessione di parte del TFR); dall’altro lato che, pur dotandosi di buona volontà, egli non sarebbe capace di ricoprire la residua parte.

Il debitore, insomma, deve offrire un “saldo e stralcio” del debito tarato in base alle sue effettive possibilità.

A questo punto, la procedura può prendere due risvolti differenti, a seconda della scelta fatta dal debitore.

L’accordo con i creditori

La prima, detta “accordo coi creditori”, richiede che la proposta di saldo e stralcio ottenga il consenso del 60% dei creditori (se è uno soltanto, il nulla osta è ovviamente unico). Il giudice, preso atto del voto favorevole, autorizza il piano di ristrutturazione e libera il debitore dal residuo debito.

Perché mai il creditore dovrebbe accettare? Perché, attraverso le carte depositate in tribunale dalla controparte, viene messo in grado di comprendere che questa è, per lui, la migliore occasione di recuperare almeno parte del proprio credito. Come dire “meglio questo che niente!”.

Il piano del consumatore

La seconda alternativa è detta “piano del consumatore”: qui, a differenza della prima ipotesi, non è richiesto il consenso del creditore. Il debitore si fa autorizzare direttamente dal giudice che decide in base al proprio convincimento. Se il giudice ritiene che il programma di pagamento sia soddisfacente e commisurato alle effettive possibilità del debitore, lo autorizza, decurtando – anche in questo caso – la residua parte della passività.

Il piano del consumatore, come suggerisce il nome stesso, è ammesso solo per debiti non derivanti da attività professionale, lavorativa o imprenditoriale.

Stop ai debiti con Equitalia

Come noto, il debitore non può presentarsi da Equitalia e chiedere un accordo che riduca il debito. Questo perché, trattandosi dello Stato, vige il principio di pari trattamento tra tutti i cittadini, cosa che non sarebbe di certo garantita nell’ipotesi in cui ad alcuni fossero concesse determinate e più favorevoli condizioni di pagamento e ad altri, invece, condizioni meno vantaggiose. Questo significa che la richiesta di “saldo e stralcio” in via amministrativa non può essere mai accolta.

Il contribuente può, a tutto voler concedere, chiedere una rateazione del debito, ossia la dilazione fino a 72 rate (senza dover presentare documenti a giustificazione della propria difficoltà economica) o a 120 rate (in quest’ultimo caso, invece, è necessaria una documentazione più stringente).

Con il piano del consumatore, invece, si supera questo limite e il debitore può ottenere, per il tramite però del giudice, un forte sconto che può arrivare – benché la legge non ponga espressamente limiti – fino a tre quarti. Ovviamente, il tutto è possibile solo se il magistrato ritiene che sussistano i requisiti per omologare il Piano del consumatore presentato dalla famiglia in difficoltà. In sostanza, secondo il giudice, l’attuazione del piano deve rappresentare il massimo sforzo che, stante le attuali condizioni, il debitore può compiere per uscire dalla crisi. Di conseguenza, la decurtazione del debito deve coincidere, secondo il tribunale, con la migliore soddisfazione possibile per i creditori.

La prima sentenza che ha decurtato il debito di un contribuente con Equitalia (scontandolo di circa l’80%) è stata emessa dal tribunale di Busto Arsizio, il quale ha omologato un “piano del consumatore”. Ora, l’esempio è stato seguito anche da altri fori come quello di Como: il giudice ha cancellato del 74% i debiti che una imprenditrice aveva verso Equitalia e l’Agenzia delle Entrate, passati da 1,4 mln di euro a 370 mila euro. In questo caso, la procedura prescelta è stata quella dell’Accordo coi creditori. Chi è scettico nella buona volontà del fisco di trovare accordi, dovrà ricredersi: l’amministrazione finanziaria ha accettato il saldo e stralcio al 74%. Costretta, evidentemente, dall’inoppugnabile dimostrazione che il contribuente non avrebbe mai potuto pagare di più. Nel caso di specie, Equitalia e l’Agenzia delle Entrate erano consapevoli che, a conti fatti, non avrebbero avuto armi per azionare l’esecuzione forzata, essendo il debitore nullatenente ed essendo l’immobile in cui questi viveva, “prima casa” e, quindi, impignorabile.

Stop ai debiti con la banca

Il tribunale di Monza, invece, seguendo l’esempio di quello di Napoli, ha omologato un Piano del consumatore richiesto da un soggetto che aveva attivato troppe carte revolving e dall’accensione di prestiti mediante cessione del quinto dello stipendio. In questo caso, la decurtazione del debito autorizzata dal tribunale ammonta al 65%. Il residuo sarà ora rimborsato utilizzando anche parte del Tfr accantonato presso il proprio datore di lavoro dal lavoratore del nucleo familiare.

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