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Il decreto del Tribunale di L’Aquila del 18 aprile 2023, di cui solo recentemente si è avuto conoscenza, sembrerebbe essere il primo intervento della giurisprudenza sull’art. 120-bis del DLgs. 14/2019.

Tale norma, oltre a rimettere, in via esclusiva, l’accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza agli amministratori, li blinda. È stabilito, infatti, che, dalla iscrizione della decisione nel Registro delle imprese e fino alla omologazione, la revoca degli amministratori è inefficace se non ricorre una giusta causa. Si precisa, inoltre, che non costituisce giusta causa la presentazione di una domanda di accesso a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza in presenza delle condizioni di legge e che, comunque, la deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto dalla sezione specializzata del Tribunale delle imprese competente, sentiti gli interessati (art. 120-bis comma 4 del DLgs. 14/2019).

Nel caso di specie, il 15 dicembre 2022, il CdA di una spa in house – nell’intento di superare la situazione di crisi – deliberava di depositare un ricorso per concordato preventivo con riserva ovvero per un accordo di ristrutturazione dei debiti. Quindici giorni dopo, l’assemblea ordinaria dei soci disponeva la revoca per “giusta causa” del CdA con contestuale nomina di un amministratore unico, ponendo a fondamento di tale scelta tutta una serie di inadempimenti rispetto ai quali la decisione di accedere a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza risultava solo un mezzo per conseguire una abusiva protezione.

Con successivo ricorso, poi, la spa adiva il Tribunale al fine di ottenere l’approvazione della delibera di revoca ex art. 120-bis comma 4 del DLgs. 14/2019, sottolineando come – almeno così sembrerebbe – si reputasse rimesso al Tribunale un solo controllo estrinseco ovvero la sola verifica del fatto che la delibera di revoca non facesse leva sulla mera scelta di accedere a uno strumento di regolazione della crisi, ma su una differente causa (giusta) di revoca. Vi si opponevano gli amministratori revocati eccependo, da un lato, l’assenza di legittimazione attiva del nuovo amministratore unico, essendo ancora sub iudice l’approvazione della delibera di revoca, e, dall’altro, l’insussistenza di qualsiasi giusta causa di revoca.

I giudici abruzzesi ritengono, innanzitutto, esistente la legittimazione attiva del nuovo amministratore unico. La delibera di revoca dei membri del CdA, con contestuale nomina dell’amministratore unico, è infatti considerata immediatamente efficace, benché sottoposta all’approvazione del Tribunale delle imprese, non venendo in questione il diverso istituto della prorogatio e producendo il contratto concluso tra la società e l’amministratore unico i propri effetti sin dal momento della sua conclusione, anche in relazione ai profili legati alla rappresentanza. Peraltro, l’iscrizione della nomina nel Registro delle imprese assolve a una mera funzione dichiarativa e non costitutiva, rilevando ai soli fini dell’individuazione del momento in cui l’evento diviene opponibile ai terzi in buona fede (cfr. Cass. n. 30542/2018, secondo la quale il contratto di amministrazione produce, di per sé, effetti dal momento della sua conclusione; così come la revoca prende effetto non appena venga comunicata all’amministratore che la subisce. Questa regola vale, in linea di principio, anche per quella parte del rapporto di amministrazione che è costituita dalla funzione rappresentativa).

Quanto alla questione attinente alla giusta causa di revoca, invece, si osserva, in primo luogo, come non sia corretta l’eccezione della spa secondo la quale il sindacato riconosciuto al Tribunale dal quarto comma dell’art. 120-bis del DLgs. 14/2019 atterrebbe esclusivamente alla sussistenza di una causa di revoca diversa dalla decisione degli amministratori di accedere a uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza (controllo estrinseco).

Tale interpretazione, infatti, confliggerebbe con la ratio della nuova previsione normativa che, al contrario, intende tutelare gli amministratori che abbiano assunto iniziative concorsuali suscettibili di esporre pubblicamente la situazione di crisi o di insolvenza della società. Se al Tribunale fosse impedito di sindacare il contenuto della delibera di revoca, sotto il profilo della legittimità o meno delle condotte che ne costituiscono il fondamento, si finirebbe per frustrare la finalità della norma e per fornire una interpretazione abrogativa della stessa. In altre parole, si chiederebbe al Tribunale di svolgere un mero controllo “notarile”, del tutto incompatibile con la funzione propria dello stesso, tenuto invece a sindacare, in modo penetrante e intrinseco, il modo di operare della compagine sociale. Il controllo meramente estrinseco eliderebbe in radice qualsiasi garanzia per gli amministratori, laddove, invece, l’art. 120-bis comma 4 del DLgs. 14/2019 fa riferimento al controllo sulla “giusta” causa di revoca, presupponendo dunque una valutazione del merito del provvedimento revocatorio (controllo intrinseco).

Ad ogni modo, nella specie, gli inadempimenti contestati risultavano inesistenti e, quindi, inidonei a supportare la revoca per giusta causa, che, anzi, appariva meramente “ritorsiva” (con necessità, sembrerebbe, di provvedere alla reintegrazione degli amministratori revocati).

 

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