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Leasing immobiliare, clausola di salvaguardia, ammortamento alla francese ed interessi usurari

Leasing immobiliare: odinanza della Corte di cassazione, I Sez. Civile, n. 13144 del 15 Maggio 2023

 

Premessa: i principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite n. 19597 del 18 Settembre 2020

La recente ordinanza in commento sul tema del leasing immobiliare consente di cogliere l’occasione per ricordare alcuni significativi passaggi espressi dalle Sezioni Unite n. 19597 del 18 Settembre 2020, che qui si intendono riportare: “La disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso”.

La pronuncia, si potrebbe sostenere all’esito di una lettura puramente superficiale, sembrerebbe aver semplicemente ribadito la necessità di computare gli interessi moratori nell’ambito del calcolo della cd. “soglia usura”. Tale assunto, tuttavia, merita di essere maggiormente chiarito alla luce di alcuni significativi passaggi della recente ordinanza in commento.

Infatti, esponendo semplicemente che gli interessi moratori sono stati considerati dalle SSUU meritevoli di inserimento nel calcolo della soglia usura, si potrebbe essere portati a ritenere che gli stessi dovrebbero essere “sommati” e quindi meramente “aggiunti” agli interessi corrispettivi al fine di valutare l’avvenuto o non avvenuto superamento di una soglia che, in verità, non è immediato comprendere quale effettivamente debba essere e come debba concretamente essere calcolata.

Al riguardo, la Suprema Corte, nella pronuncia del 15 Maggio 2023, ha ritenuto opportuno chiarire che “[…] Anche su questi aspetti si è espressa la citata sentenza delle Sezioni Unite, in sostanza individuando una soglia antiusura per gli interessi moratori diversa (e più alta) rispetto a quella fissata per gli interessi corrispettivi e stabilendo che l’usurarietà del tasso di interesse di mora non incide sulla validità della clausola relativa agli interessi corrispettivi, né, quindi, sull’obbligo di pagamento di questi ultimi. Par. 2.5. Ciò che rileva in questa sede è che siffatti principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità (richiamati, successivamente, in motivazione, dalla più recente Cass. n. 14214 del 2022), nel mentre affermano la sensibilità del tasso di mora alla normativa antiusura, presuppongono una valutazione separata e distinta dei due tassi (corrispettivo e di mora) e sono, quindi, del tutto incompatibili con la tesi (oggi sostanzialmente fatta propria dai ricorrenti) secondo cui l’eventuale usura in un contratto di finanziamento dovrebbe essere apprezzata come un fenomeno unitario, ovverosia ricostruendo un unico tasso di interesse – frutto di una sintesi tra tasso degli interessi corrispettivi e tasso di mora – da valutare, poi, confrontandolo con la soglia antiusura posta dalla normativa per quel determinato tipo di contratto di finanziamento”.

Chiariti tali aspetti, appare facilmente comprensibile la ragione per la quale la Corte abbia inteso, in un certo senso, “declassare” il concetto di sommatoria degli interessi, qualificandolo come criterio non primario di risoluzione dei conflitti e delle controversie giurisprudenziali. 

Sul punto, infatti, è stato esposto che “il principio di sommatoria dei rispettivi tassi degli interessi corrispettivi e di mora per stabilire il tasso contrattuale da confrontare con la soglia antiusura, dunque, non è altro che uno – e, si potrebbe dire, il più grezzo – dei criteri utilizzabili per sintetizzare un tasso unico, senza distinguere, tra costi correlati al regolare adempimento del contratto e costi correlati al suo inadempimento”.

 

A completamento del quadro in materia di disciplina anti-usura giova ricordare che, nell’arco temporale che va dalla fine degli anni Novanta al 2013, tanto il legislatore quanto gli organi giudicanti hanno inteso, da un lato, intervenire sulla capitalizzazione trimestrale/annuale degli interessi, dall’altro incidere pesantemente sulla disciplina del TUB (d.lgs. n. 385 del 1993) e, precisamente, sull’art. 120.

Le considerazioni appena espresse si prestano ad una ulteriore digressione in materia di rapporti tra divieto di anatocismo di cui all’art. 1283 cc. e cd. ammortamento alla francese.

Preliminarmente, giova ricordare che il predetto ammortamento è caratterizzato da un piano di rientro “con rate costanti, strutturate in modo da comprendere nelle prime una maggiore quota di interessi progressivamente ridotta a vantaggio della quota capitale che tende, invece, ad incrementarsi”.

Nell’ottica evolutiva qui sinteticamente descritta può essere opportuno evidenziare i passaggi motivazionali in materia di anatocismo offerti dall’ordinanza.

Par. 3.2.1. Invero, ad avviso del Collegio, non può ritenersi sufficientemente specifica la censura sollevata denunciando soltanto e del tutto astrattamente, la pretesa realizzazione, mediante l’utilizzo del sistema di ammortamento cd. “alla francese”, di un risultato anatocistico, senza che tale asserzione sia accompagnata da specifiche deduzioni ed argomentazioni volte a dimostrare l’avvenuta concreta produzione, nella specie, di un tale risultato. Par. 3.3. Le argomentazioni del motivo, inoltre, in nessun modo si confrontano con l’ulteriore affermazione della corte distrettuale secondo cui “Va aggiunto, come evidenziato nella sentenza impugnata, che gli interessi dovuti sull’intero finanziamento vengono ripartiti nelle singole rate e sono calcolati sul capitale residuo, non ancora restituito, senza quindi che si verifichi l’addebito di interessi sugli interessi maturati, che è l’ipotesi disciplinata dall’art. 1283 c.c.” [scendendo nel dettaglio, con un motivo di ricorso era stato contestato alla Corte territoriale di aver considerato l’ammortamento alla francese –  applicato nel contratto di leasing immobiliare oggetto di causa e, dunque, oggetto anche dell’ordinanza in commento – alla stregua di un modello di ammortamento ampiamente in uso presso gli istituti di credito e ritenuto comunemente legittimo dalla giurisprudenza di merito perché, in concreto, non produttivo di anatocismo. Secondo il ricorrente, l’organo giudicante adito avrebbe dovuto uniformarsi al diverso orientamento della giurisprudenza di merito a mente del quale l’ammortamento alla francese dovrebbe essere considerato alla stregua di un mezzo di ammortamento illecito poiché capace di realizzare un risultato anatocistico “contrario ai dettami dell’art. 1283 cc. e, in particolare, [produttivo di] un effetto moltiplicatore degli interessi pagati dal mutuatario, tale da incrementare surrettiziamente il tasso formalmente pattuito tramite un’artificiosa composizione delle rate del piano di rimborso”].

 

Segue: i principi di diritto espressi a mezzo dell’ordinanza n. 13144 del 15 Maggio 2023

Richiamate le nozioni di tasso soglia, interessi moratori e corrispettivi, principio di sommatoria, anatocismo e ammortamento alla francese nell’ambito del leasing immobiliare (sia pure in chiave prettamente giurisprudenziale e non dottrinale) giova ricordare il seguente (ed utile) principio di diritto: “in tema di leasing immobiliare, l’inserimento in una clausola di salvaguardia, in forza della quale l’eventuale fluttuazione del saggio di interessi convenzionale di mora dovrà essere comunque mantenuta entro i limiti del cd. “tasso soglia” antiusura previsto dall’art. 2, comma quattro, della legge n. 108 del 1996, trasforma il divieto legale di pattuire interessi usurari nell’oggetto di una specifica obbligazione contrattuale a carico della società di leasing, consistente nell’impegno di non applicare mai, per tutta la durata del rapporto, interessi in misura superiore a quella massima consentita dalla legge. Conseguentemente, in caso di contestazione, spetterà alla società di leasing medesima, secondo le regole della responsabilità ex contractu, l’onere della prova di aver regolarmente adempiuto all’impegno assunto”.

Appare evidente come la clausola de quo ben richiami quei principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite del 2020, di cui si è già avuto modo in questo scritto di dare conto, specie nella parte in cui facevano riferimento allo “stralcio” dell’eccedenza degli indebiti corrisposti dal soggetto debole nel rapporto obbligatorio bancario rispetto al tasso soglia prefissato. La logica sembra essere tendenzialmente la stessa.

 

Conclusioni

In conclusione, si può osservare che, pur in presenza di evidenti esigenze definitorie di alcuni essenziali istituti del diritto bancario ancora eccessivamente fumosi, la giurisprudenza (quantomeno nei limiti delle due pronunce che si è scelto in questa sede di analizzare) sembra aver mantenuto una “linea di pensiero” piuttosto omogena e coerente e non “di contrasto”, come spesso è accaduto in questo settore.

 

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