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CORTE DI CASSAZIONE

La pignorabilità del conto corrente del pensionato

La Suprema Corte accoglie il ricorso dell’Inps pronunciandosi sulla normativa anteriore al D.L. n. 83 del 2015.

Un pensionato, correntista presso le Poste italiane, si era visto pignorare dall’Inps il saldo del conto corrente, sul quale confluivano i ratei di pensione, a seguito di due pregressi decreti ingiuntivi.

La Corte d’appello di Ancona, con sentenza del 17 maggio 2013, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva dichiarato legittimo il pignoramento per la sola parte eccedente l’importo impignorabile per legge, riferito ad un rateo delle pensioni complessivamente fruite dal pensionato.

La Corte di merito, premesso che sul conto corrente acceso dal pensionato erano stati accreditati, in via esclusiva, emolumenti pensionistici, diretti e di reversibilità, ed esclusa la possibilità di confusione patrimoniale per la connotazione omogenea delle somme accreditate, riteneva permanere sul denaro  accreditato  lo  stesso  vincolo giuridico della  parziale impignorabilità, in ragione non solo della provenienza delle somme accreditate da trattamenti pensionistici ma anche, e soprattutto, della funzione essenzialmente assistenziale nella quota intangibile riferita ad un rateo mensile, con la conseguente legittimità del pignoramento del saldo attivo del conto Bancoposta per la sola parte eccedente un rateo mensile delle due pensioni, di importo minimo, fruite dal debitore esecutato.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’INPS, ritenendola errata.

Con il motivo di ricorso, deducendo violazione dell’art. 545, quarto comma, Cod. proc. civ., l’INPS ha censurato la sentenza impugnata assumendo che le limitazioni al pignoramento previste dal Codice di rito valgono solo per il pignoramento eseguito presso l’Ente erogatore del trattamento pensionistico, nel qual caso risulta indubbio il titolo (pensionistico) in base al quale tale trattamento sia dovuto, ma non possono valere quando, come nella specie, il pignoramento sia eseguito presso l’istituto bancario o altro ente con il quale il debitore intrattiene un rapporto di conto corrente, nel qual caso l’originario titolo pensionistico viene meno e il credito del debitore pignorato altro non è che il credito alla restituzione delle somme depositate che trova titolo nel rapporto di conto corrente.

La Sezione Lavoro, con sentenza n. 26042 del 17 ottobre 2018, ha accolto il ricorso e cassato la decisione della Corte marchigiana, rinviando la causa al giudice di merito, onerato di attenersi (in diversa composizione) ai principi di diritto enunciati.

Occorre premettere che il pignoramento del quale si controverte, nel profilo della applicabilità o meno dei limiti alla pignorabilità previsti dal Codice di rito a tutela di esigenze elementari e vitali di sussistenza del debitore pensionato, si colloca temporalmente in epoca antecedente alla novella introdotta dal legislatore del 2015 (con D.L. 27 giugno 2015 n. 83 recante “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”), inapplicabile, nel caso di specie.

Infatti la Corte costituzionale (sentenza 15 maggio 2015, n. 85), proprio al fine di rimuovere un vulnus nella tutela del pensionato e nella garanzia di protezione delle condizioni minime per il sostentamento, ha ribadito che le somme dovute dal pensionato (o dal lavoratore), a qualsiasi titolo, una volta transitate su un conto corrente postale o bancario, e dunque una volta acquisite dal titolare ed entrate a far parte del suo patrimonio, si confondono giuridicamente con quest’ultimo e non sono, nel concreto, applicabili  le  limitazioni alla  pignorabilità  previste dall’art. 545 Cod. proc. civ. e da altre leggi speciali.

Nell’inerzia del legislatore, la giurisprudenza di legittimità ha contribuito a superare l’incerta determinazione del minimo vitale da garantire ai pensionati, riconoscendo che spettasse al giudice dell’esecuzione il compito di individuare l’importo maggiormente adeguato a soddisfare esigenza di assicurare, comunque, al pensionato sufficienti ed adeguati mezzi di vita.

Il legislatore, apportando la novella al Codice di rito, ha fissato, nell’esercizio di un potere discrezionale, il discrimine temporale per l’applicazione delle nuove regole con riferimento alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge, nel novero delle quali non rientra, come detto, ratione temporis, la procedura portata all’odierno esame della Corte di cassazione.

Nondimeno la novella al Codice di rito ha tenuto conto sia delle somme accreditate contestualmente o dopo il pignoramento, sia delle somme accreditate prima del pignoramento, introducendo la distinzione tra crediti futuri e risparmi del debitore esecutato, e un diverso limite alla pignorabilità per le due tipologie di somme.

Solo a seguito dell’intervento riformatore risulta, dunque, introdotto il principio (valido anche per i crediti retributivi) per cui l’operazione contabile di accreditamento della pensione su un conto corrente intestato al creditore fa conservare comunque la funzione connessa al titolo previdenziale per il quale il denaro è stato percepito, purché le somme siano accreditate direttamente dall’ente previdenziale e risulti chiaramente intelligibile la causale del versamento.

Nel contesto normativo previgente alla detta riforma, che viene in rilievo nel ricorso sottoposto alla Cassazione, la chiara esclusione, nella citata sentenza n. 85 del 2015 della Corte costituzionale, dell’impignorabilità parziale relativa, allo stato della legislazione, preclude secondo il Collegio un nuovo vaglio di costituzionalità per avere il Giudice delle leggi già affermato che se la detta esclusione non può precludere, in radice, la tutela dei principali bisogni collegati alle esigenze di vita del soggetto pignorato, tuttavia l’individuazione e le modalità di salvaguardia della parte di pensione necessaria ad assicurare al beneficiario mezzi adeguati alle sue esigenze di vita è riservata alla esclusiva discrezionalità del legislatore ed a esso soltanto è demandato il compito di razionalizzare il quadro normativo (antecedente dunque alla riforma del 2015) in coerenza con i precetti dell’art. 38 Cost.

Neanche risulta esperibile, secondo i Giudici di Piazza Cavour, un’interpretazione estensiva, atteso che i limiti alla pignorabilità dei beni del debitore costituiscono deroghe al principio generale della responsabilità patrimoniale, tassativamente previste dalla legge ed insuscettibili, pertanto, di estensione analogica.

Del pari assorbente è il rilievo che anche in ordine ad un eventuale, e ulteriore, intervento additivo il Giudice delle leggi si sia già espresso (con la più recente decisione ampiamente richiamata), nel senso che un’eventuale pronuncia additiva non potrebbe essere a rime obbligate, dal momento che “il credito da pensione è situazione giuridica profondamente diversa dal credito di conto corrente e che, conseguentemente,

l’indefettibile principio costituzionale di tutela del fine solidaristico (di garantire l’emancipazione dal bisogno del pensionato) non può trovare soluzione obbligata attraverso l’automatica riproduzione di una norma appartenente ad un contesto giuridico diverso” (così, appunto, Corte Cost. n.85 del 2015 cit.).

Ebbene, nel quadro normativo applicabile al pignoramento in esame, con il versamento sul conto corrente delle somme dovute a titolo pensionistico si è verificata l’estinzione, pro rata, del rapporto obbligatorio corrente tra il pensionato ed il terzo debitore del trattamento economico (cfr., sempre, Corte Cost. n. 85 del 2015 cit.); il denaro versato in conto, seguendo l’ordinario regime dei beni fungibili, secondo le regole del deposito irregolare (art. 1782 cod. civ.), è divenuto di proprietà dell’istituto di credito (artt. 1834 e 1852 e seguenti cod. civ.), con contestuale nascita di un diverso rapporto obbligatorio tra l’istituto di credito ed il depositario o correntista, che si compendia nel diritto a richiedere, in ogni momento, il saldo attivo risultante dal conto e per il quale non sono previsti limiti di pignorabilità dipendenti dalle cause che diedero origine agli accrediti.

A tanto consegue la pignorabilità indistinta delle somme giacenti sul conto corrente, secondo il principio generale sancito dall’art. 2740 del Codice civile.

I medesimi principi trovano ulteriore conferma nella giurisprudenza penale della Corte che, con orientamento consolidato, in tema di sequestro eseguito sul conto corrente dell’indagato, sul quale veniva accreditata la pensione, alla dedotta impignorabilità sul presupposto della destinazione di tali somme al soddisfacimento delle esigenze di mantenimento, ha opposto l’inapplicabilità del divieto stabilito dall’art. 545

Cod. proc. civ. quando le somme siano già state corrisposte all’avente diritto e si trovino confuse con il suo patrimonio mobiliare.

Rodolfo Murra

(23 ottobre 2018)

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