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Se il creditore contesta l’imputazione del pagamento, spetta al debitore provare il collegamento dell’assegno con il debito.

Con ordinanza n. 31429 del 3 novembre 2021 la Cassazione ha operato alcune precisazioni in tema di onere della prova del pagamento a mezzo assegno. La Corte, segnatamente, ha affermato – ribadendo un proprio precedente orientamento – che, qualora l’imputazione del pagamento sia contestata dal creditore, incombe sul debitore convenuto l’onere di provare il collegamento del titolo di credito prodotto con il credito azionato.

L’iter logico-giuridico seguito dal Supremo Collegio nella pronuncia in oggetto, in particolare, è articolato nel modo che segue:

  • in primo luogo, la Corte ricorda che in tema di prova del pagamento vale la regola generale per cui, se il convenuto dimostra di aver corrisposto una somma di denaro idonea all’estinzione del debito, sul creditore che intenda imputare quel pagamento ad un credito diverso incombe l’onere di allegare e provare sia l’esistenza del diverso credito nei confronti dello stesso debitore sia la sussistenza delle condizioni necessarie per la diversa imputazione;
  • in secondo luogo, la Cassazione esclude l’applicabilità della richiamata regola al caso in cui il debitore eccepisca l’estinzione del debito mediante l’emissione di più assegni bancari: l’emissione degli assegni, infatti implica la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un rapporto cartolare, di talchè resta a carico del debitore l’onere di superare tale presunzione dimostrando che il debito cartolare è collegato con il precedente debito azionato.

Il caso di specie, nello specifico, traeva origine dall’emissione di un decreto ingiuntivo con il quale una società intendeva recuperare un proprio credito nei confronti di una società cooperativa.
Quest’ultima aveva però proposto opposizione a decreto ingiuntivo, deducendo l’avvenuta estinzione del proprio debito in quanto le somme dovute erano già state pagate con la corresponsione di alcuni assegni, regolarmente incassati dalla creditrice.
Il Tribunale, verificato che effettivamente tali assegni erano stati incassati dalla società creditrice e che quest’ultima non aveva dato prova dell’esistenza di una diversa ragione di credito o di una diversa imputazione, aveva allora accolto l’opposizione.
L’ingiungente, allora, aveva impugnato vittoriosamente la sentenza: la Corte d’appello, infatti, aveva rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo, richiamando il diffuso orientamento giurisprudenziale per cui l’onere della prova doveva gravare sul debitore e aveva valorizzato il fatto che, nel caso concreto, gli assegni prodotti dalla società ingiunta non coincidevano con le fatture azionate né per importo né per data.
Avverso tale pronuncia, l’ingiunta aveva allora proposto ricorso in Cassazione, deducendo – per quanto qui di interesse – la violazione o la falsa applicazione dell’art. 1193 c.c.: ad avviso dei ricorrenti, infatti, il giudice d’appello aveva erroneamente applicato il principio di diritto secondo cui, ove venga imputato al pagamento di un credito un assegno emesso in data diversa, l’onere della prova grava sul debitore, il quale deve dimostrare la causale dell’emissione e il collegamento tra il precedente debito azionato e il successivo debito cartolare.
Così investita della questione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso, sulla scorta delle ragioni sopra esaminate.



 

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