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ROMA – I Comuni e gli altri enti locali – Province, città metropolitane, comunità montane, unioni e consorzi di Comuni – già oggi possono pignorare stipendi, conti correnti, fatture, immobili (tranne prima casa) o bloccare l’auto per recuperare dal contribuente il dovuto. Se dunque il cittadino non paga le tasse sulla casa come Imu e Tasi, sulla spazzatura come la Tari, la Tosap per l’occupazione del suolo pubblico o anche bollo auto, rette scolastiche, imposta su affissioni e pubblicità prima o poi può finire nel gorgo delle ganasce fiscali.

L’articolo 96 della legge di bilancio – ora all’esame del Senato – introduce però una “Riforma della riscossione degli enti locali” che consente a questi stessi enti di andare più veloci, senza attendere i tempi di iscrizione a ruolo del debito o di predisposizione dell’ingiunzione. Riduce in sostanza tempi e costi. Dall’1 gennaio 2020 ai sindaci servirà un solo atto anziché due (accertamento e ingiunzione) per arrivare alla soluzione estrema: l’esecuzione forzata. Parliamo dell’atto unico di accertamento che – al pari di quanto già oggi vale per l’Agenzia delle Entrate-Riscossione a livello di tributi erariali – contiene in sé tutti gli elementi di titolo idoneo anche al pignoramento del conto corrente o del quinto dello stipendio.

Entro 3 mesi dalla notifica dei mancati pagamenti, i Comuni potranno attivare le procedure di riscossione attraverso comunicazioni ufficiali con raccomandata o posta elettronica. L’azione resta comunque sospesa per altri 6 mesi, così da consentire agli interessati di mettersi in regola ed evitare le procedure di recupero forzato. Tra notifica e ganasce (ovvero fermo amministrativo, pignoramento o ipoteca) passeranno dunque 9 mesi. La norma non si applica a debiti inferiori a 10 mila euro – che sono la stragrande maggioranza nei Comuni – se non previo invio al debitore di un sollecito di pagamento. E sarannno consentite rateizzazioni di pagamento in base all’importo del debito: fino a 100 euro nessuna rata, da 100 a 500 euro 4 rate mensili e poi su fino a 72 rate mensili per debiti oltre 20 mila euro.

Il prossimo anno dunque il sindaco sarà dotato in tutto e per tutto non solo dei poteri che ha l’ex Equitalia, ma anche della sua maggiore scioltezza burocratica per il recupero delle somme. La norma per ora non include le multe stradali perché – si legge nella Relazione illustrativa alla manovra – “le disposizioni in esame non incidono sul codice della strada”. Non è però escluso che il testo cambi durante l’iter di discussione parlamentare, di qui alla fine dell’anno. Anche perché l’Anci – l’associazione dei Comuni – vorrebbe potersi assicurare quel miliardo di multe che rimangono sistematicamente fuori dalle casse cittadine. E che l’ex Equitalia fatica a riprendere, visti gli importi piccoli e i costi di recupero alti.

Il leader della Lega Matteo Salvini sembra esterrefatto:  “Se entrano nel tuo conto corrente per pignorare, secondo me siamo all’Unione sovietica fiscale, lo stato di polizia fiscale”. Dimenticando che già oggi succede. E che lo stesso viceministro leghista all’Economia Massimo Garavaglia nel governo Conte 1 sponsorizzava la riforma della riscossione degli enti locali, visto che il non riscosso degli enti locali è pari a 19 miliardi. Riforma portata avanti dalla sua collega, riconfermata viceministra all’Economia nel Conte 2, la pentastellata Laura Castelli. Ad oggi circa 3 mila Comuni italiani su 8 mila hanno affidato il servizio di recupero delle tasse evase all’Agenzia delle Entrate. Probabilmente continueranno a farlo. Anche perché la riscossione in proprio richiede un’organizzazione ad hoc che solo le città più strutturate possono permettersi.

 

 

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