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E certo, ora la colpa è di Giancarlo Giorgetti e del governo Meloni. Come se la responsabilità della deflagrazione di una bomba fosse dell’artificiere che non riesce a disinnescarla in tempo piuttosto che del terrorista che l’ha piazzata. Che la faccia tosta in Italia sia una dote diffusa ogni oltre limite è risaputo. Ma il tentativo di sinistra e grillini, autori della più grande truffa ai danni del contribuente, di scaricare sull’attuale governo i loro misfatti sconfina nel surreale. Ieri Giorgetti ha utilizzato la metafora del Vajont per spiegare che una volta che la valanga è partita non è facile fermarla. E chi oggi lo accusa di non averlo fatto dovrebbe ricordarsi che sia lo scorso anno sia qualche mese fa è stato tra i primi a puntare il dito per la ferocia con cui il ministro lasciava in mezzo alla strada cittadini e imprese, abolendo di colpo la cessione del credito, o abbandonava le aree colpite dal terremoto e le onlus, non prevedendo deroghe alla tagliola sul Superbonus.

La realtà, leggendo quella stessa memoria dell’Upb che ora qualcuno vorrebbe scagliare contro il governo per inchiodarlo alle sue responsabilità, è che «i primi segnali di una possibile sottostima del fenomeno sono emersi dalla fine del 2021 dai dati di monitoraggio Enea» e che «ai fini di una valutazione complessiva della misura vanno considerate le numerose modifiche che l’impianto originario delle norme ha subito già a partire dal 2020».

In altre parole, in quello che secondo Repubblica sarebbe la pistola fumante che incastra l’esecutivo, il documento dell’Upb, si dice chiaramente che i pasticci sono stati fatti già dallo stesso governo, il Conte II, che ha varato il Superbonus, e che già dalla fine del 2021, governo Draghi, si intuiva che l’idea di ristrutturarsi la casa «gratuitamente», come amava dire Giuseppe Conte, era una bomba ad orologeria.

 

Ad appena quattro mesi dall’insediamento, nel febbraio del 2023, ed ecco la valanga del Vajont, Giorgetti si è trovato con crediti di imposta maturati di oltre 75 miliardi rispetto ai 35 previsti inizialmente per l’intero periodo di validità della misura. Di qui il decreto n.11, con cui il ministro ha tentato di bloccare per sempre la sciagura. Peccato che opposizioni, categorie e anche, va detto, parti della maggioranza abbiano preso d’assalto via XX Settembre, imponendo quelle «deroghe» ora sotto accusa.

Copione identico per il decreto di fine marzo adesso in discussione. Stop definitivo al superbonus? Sia mai. E le zone colpite dal terremoto e le onlus? Tutti contro quel cattivone di Giorgetti, che è stato costretto di nuovo ad allentare le maglie del provvedimento. L’ultimo atto è andato in scena ieri. Il ministro ha detto che non ci si sposterà di un millimetro dalle deroghe già previste e che i crediti d’imposta saranno spalmati non più su quattro ma su dieci anni, per salvaguardare i conti pubblici, così come suggeriva anche l’Upb. Apriti cielo: norma retroattiva, sgambetto alle imprese, Costituzione violata.

Peccato che la stessa Bankitalia, svegliandosi con un po’ di ritardo, come ha detto ieri Giorgetti, abbia suggerito qualche giorno fa di stoppare del tutto l’agevolazione, anche in forma ridotta, prima della scadenza del 2025, fregandosene di diritti acquisiti ed impegni presi.

 

 

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