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Per ciò che riguarda il recupero di un credito costituito dal corrispettivo di una compravendita immobiliare, la relativa obbligazione si prescrive nell’ordinario termine decennale stabilito dall’art. 2946 c.c.

Il termine prescrizionale in questione può essere interrotto ai sensi dell’art. 2943 c.c. ove il debitore sia costituito in mora dal creditore con atto anche stragiudiziale  (“La prescrizione è inoltre interrotta da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore…”) che abbia i requisiti necessari (Corte di Cassazione, ordinanza n. 15140 del 31/5/2021: “Al fine di produrre effetti interruttivi della prescrizione un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di fare valere il proprio diritto, con l’effetto sostanziale di costituire in mora il soggetto indicato (elemento oggettivo). La valutazione circa la ricorrenza di tali presupposti – il secondo dei quali, pur richiedendo la forma scritta, non postula l’uso di formule solenni, né l’osservanza di particolari adempimenti – è rimesso all’accertamento di fatto del giudice di merito ed è, pertanto, del tutto sottratto al sindacato di legittimità.”): in tale caso, “Per effetto dell’interruzione s’inizia un nuovo periodo di prescrizione (art. 2945, comma 1, c.c.).

Per ciò che riguarda le modalità di recupero del credito, l’Amministrazione può certamente procedere instaurando un giudizio civile per ottenere, in virtù del titolo contrattuale, la condanna del compratore al pagamento del prezzo non ancora versato, con possibilità di utilizzare (ove ne sussistano i presupposti) anche un procedimento monitorio ex art. 633 c.p.c. (c.d. decreto ingiuntivo).

Al contempo, si segnala che, astrattamente e salvo miglior valutazione sulla base del caso concreto, l’Amministrazione si ritiene che possa utilizzare anche il procedimento per la riscossione delle entrate patrimoniali ex R.D. n. 639/1910, ossia all’ingiunzione di pagamento prevista da tale testo di legge, nel caso in cui il credito sia certo, liquido ed esigibile.

La giurisprudenza, infatti, ha chiarito che:

– “Lo speciale procedimento disciplinato dal r.d. 14 aprile 1910 n. 639 è utilizzabile, da parte della p.a., non solo per le entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, trovando il suo fondamento nel potere di autoaccertamento della medesima p.a., con il solo limite che il credito in base al quale viene emesso l’ordine di pagare sia certo, liquido ed esigibile, dovendo la sua sussistenza, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, rispetto ai quali l’amministrazione dispone di un mero potere di accertamento, restando affidata al giudice del merito la valutazione, in concreto dell’esistenza dei suindicati presupposti.” (Corte di Cassazione, SS.UU., sentenza n. 11992 del 25/5/2009; in termini, anche Corte di Cassazione, sentenza n. 7076 del 11/4/2016 e T.A.R. Lazio, sentenza n. 11504 del 10/7/2023);

– il procedimento d’ingiunzione di cui al R.D. 14 aprile 1910, n. 639, art. 2, è applicabile non solo alle entrate strettamente di diritto pubblico, ma anche per quelle di diritto privato, senza che occorra la preventiva adozione di un autonomo provvedimento che accerti e quantifichi il debito restitutorio (Corte di Cassazione sentenze n. 13139/2006 e n. 34552/2019; T.A.R. Lazio, sentenza n. 11504 del 10/7/2023);

– “In ordine alla valutazione della esaustività e completezza dell’ingiunzione opposta, rileva ancora il Tribunale che, sempre secondo consolidati principi della Suprema Corte di Cassazione, nell’ingiunzione fiscale, il requisito della motivazione deve ritenersi osservato anche tramite la sola indicazione della causale e dell’ammontare del pagamento richiesto, in quanto idonea ad evidenziare la pretesa fatta valere dall’amministrazione e, quindi, a porre l’ingiunto in grado di conoscere la somma richiesta e la relativa causale, e per consentirgli così di opporre adeguate contestazioni (cfr. Sez. V, sentenza n. 20513 del 22 settembre 2006 e S.S.U.U., n. 2874 del 17 marzo 1998).” (Tribunale Roma, sentenza n. 4637/2019);

–  la P.A. convenuta in giudizio di opposizione ad ingiunzione ex art. 3 del R.D. n. 639 del 1910 per l’accertamento di un credito riconducibile ai rapporti obbligatori di diritto privato, assume la posizione sostanziale di attrice, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 2697 c.c., è tenuta a fornire la prova dei fatti costitutivi della propria pretesa, mentre l’opponente deve dimostrare la loro inefficacia ovvero l’esistenza di cause modificative o estintive degli stessi, in particolare “Non rileva al riguardo che la menzionata ingiunzione cumula in sé la natura e funzione di titolo esecutivo unilateralmente formato dalla P.A. nell’esercizio del suo peculiare potere di autoaccertamento e di atto prodromico all’inizio dell’esecuzione coattiva, poiché ciò non implica che nel giudizio di opposizione l’ingiunzione sia assistita da una presunzione di verità, dovendo piuttosto ritenersi che la posizione di vantaggio riconosciuta alla P.A. sia limitata al momento della formazione unilaterale del titolo esecutivo, restando escluso – perché del tutto ingiustificato in riferimento a dati testuali e ad un’esegesi costituzionalmente orientata in relazione all’art. 111 Cost. – che essa possa permanere anche nella successiva fase contenziosa, in seno alla quale il rapporto deve essere provato secondo le regole ordinarie“.  (Corte di Cassazione, ordinanze n. 9381 del 8/4/2021 e n. 23346 del 26/7/2022)

– “…i ricorrenti si dolgono dell’utilizzo, da parte del Comune intimato, dello strumento previsto dal R.D. n. 639 del 1910, malgrado nel caso di specie il credito del soggetto pubblico non discenda dall’esercizio di una potestà autoritativa, ma tragga origine da un contratto. In contrario il Collegio osserva che, secondo una pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione, la norma in considerazione risulta utilizzabile anche per la riscossione di entrate patrimoniali che abbiano titolo in atti negoziali di cui sia parte l’amministrazione pubblica (cfr., per quanto concerne il ricorso al R.D. n. 639 del 1910 per la riscossione dei canoni di locazione di immobili di proprietà della P.A., Cass. civ., Sez. VI – 3, Ord., 18 luglio 2013, n. 17611); con consequenziale rigetto anche del presente motivo di ricorso.” (TAR Sicilia – Catania, sentenza n. 116 del 15/1/2015)

– in una fattispecie similare a quella oggetto del quesito e relativa ad una opposizione avverso un’ordinanza ingiunzione di pagamento notificata da un Comune ai sensi dell’art. 3, R.D. 14 aprile 1910, n. 639 per il pagamento di un importo a titolo di differenza sul prezzo dovuto per la vendita di un immobile sdemanializzato, nella quale era stata censurata  la decisione impugnata per avere ritenuto ammissibile la procedura di ingiunzione amministrativa in questione in relazione al credito oggetto della controversia, ritenendo che lo stesso non poteva ritenersi certo, liquido ed esigibile, la Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo infondato poiché il prezzo (nella caso oggetto della decisione, tra l’altro, determinato da terzo secondo quanto stabilito nel contratto tra le parti) costituiva comunque un credito certo, liquido ed esigibile (Corte di cassazione civile, sez. III, ord., 18 marzo 2022 n. 8977).

27 maggio 2024            Alessandro Rizzo

 

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