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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dirimendo il contrasto delle sezioni semplici sul regime di rilevabilità della inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ha stabilito che, attenendo la tutela processuale in esame alla salvaguardia di interessi privati, non può essere rilevata d’ufficio.

Se, nonostante l’eccezione di parte, la prova per testi viene comunque assunta, ne deriva la nullità della stessa che deve essere opposta dalla parte interessata, pena l’acquisizione definitiva della prova al giudizio (sentenza n. 16723/2020testo in calce).

Il caso

In un giudizio civile nato in seguito ad un’opposizione a decreto ingiuntivo, la parte opponente si difende allegando l’avvenuta risoluzione del contratto per riconoscimento dei vizi di qualità della merce, contenuta in un nuovo accordo commerciale complessivo tra le parti. Parte opponente fornisce la prova del nuovo regolamento contrattuale delle parti a mezzo di testimoni.

L’opposizione, accolta in primo grado, è invece rigettata in appello, perchè secondo la Corte di Appello l’allegata risoluzione del contratto ha natura di transazione tra le parti, e come tale deve essere provata per iscritto, ai sensi dell’art. 1967 c.c..

La società opponente propone ricorso per Cassazione, sostenendo che la Corte di Appello ha arbitrariamente dichiarato d’ufficio la nullità ed inutilizzabilità della prova testimoniale della transazione, senza che controparte avesse formulato una specifica eccezione sul punto.

La questione è stata assegnata alle Sezioni Unite della Cassazione, per dirimere il contrasto giurisprudenziale delle sezioni semplici sulla questione di diritto a fondamento del ricorso.

La decisione

Nell’iter motivazionale della sentenza, le Sezioni Unite muovono dall’accertamento di fatto compiuto dalle corti di merito che la risoluzione allegata dall’opponente abbia natura di transazione.

Ai sensi dell’art. 1967 c.c., la transazione è un atto che deve essere provato per iscritto.

Ciò significa, secondo parte preponderante della giurisprudenza che tutti gli elementi costitutivi del negozio transattivo debbano risultare dal documento scritto, senza possibilità di fornire integrazioni o elementi aggiuntivi della transazione mediante la prova per testi o per presunzioni (Cass. Sez. 2, 28 aprile 2005, n. 8875; Cass. Sez. 3, 3 marzo 1999, n. 1787; Cass. Sez. 3, 6 gennaio 1983, n. 75; Cass. Sez. 1, 19 luglio 1979, n. 4298).

Secondo invece altra interpretazione giurisprudenziale, poiché la transazione ha forma scritta solo ad probationem (salvo il caso che incida su un contratto che prevede la forma scritta ad substantiam), non osta alla validità del contratto di transazione che talune concessioni reciproche non siano contenute nel documento, ma risultino dal complesso dell’atto o da elementi esterni allo stesso (Cass. Sez. 3, 8 giugno 2007, n. 13389).

Definito quindi il regime probatorio della transazione, le Sezioni unite esaminano il contrasto interpretativo relativo ai limiti della prova per testi nel contratto con forma scritta ad probationem.

Un primo consolidato orientamento della Corte di Cassazione distingue tra:

  • atti la cui forma scritta sia richiesta ad substantiam, per i quali è assolutamente inammissibile la prova per testi del contratto, salvo il caso in cui lo stesso sia andato perduto senza colpa. Tale inammissibilità è ritenuta rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio dal giudice.
  • atti la cui forma scritta sia richiesta ad probationem, per i quali, poiché la forma attiene alla tutela di interessi privati e non di ordine pubblico, l’inammissibilità della prova per testi non è rilevabile d’ufficio ma solo ad istanza della parte che ne ha interesse, nella prima difesa utile dopo il suo configurarsi, secondo le modalità dell’art. 157 comma 2 c.p.c. Pertanto, la mancata rituale eccezione di parte sulla inammissibilità della prova per testi, deve ritenersi sanata e la prova ritualmente acquisita al giudizio. (Cass. Sez. L, 3 giugno 2015, n. 11479; Cass. Sez. 1, 25 giugno 2014, n. 14470; Cass. Sez. 3, 30 marzo 2010, n. 7765; Cass. Sez. 2, 30 maggio 2005, n. 11389; Cass. Sez. 1, 20 febbraio 2004, n. 3392; Cass. Sez. 2, 8 gennaio 2002, n. 144; Cass. Sez. 3, 12 maggio 1999, n. 4690; Cass. Sez. 1, 16 marzo 1996, n. 2213; Cass. Sez. L, 1 ottobre 1991, n. 10206; Cass. Sez. 2, 10 aprile 1990, n. 2988; Cass. Sez. 3, 12 luglio 1979, n. 4047; Cass. Sez. 3, 25 maggio 1979, n. 3053; Cass. Sez. 3, 24 novembre 1969, n. 3814; Cass. Sez. 3, 22 giugno 1968, n. 2095; Cass. Sez. 3, 29 aprile 1965, n. 772)

Un secondo e contrario orientamento, non ritenendo valida la distinzione tra interessi privati sottesi alla forma ad probationem e interessi di ordine pubblico sottesi alla forma ad substantiam del contratto, muove invece dalla disciplina unitaria dell’art. 2725 c.c., che ammette la prova per testi solo in caso di perdita incolpevole del documento, sia nel caso in cui la forma dell’atto sia prevista ad substantiam, che nel caso in cui sia prevista ad probationem. (Cass. Sez. 3, 14 agosto 2014, n. 17986), con la conseguenza che la prova testimoniale sia in ogni caso inammissibile, e non venga sanata neppure per la mancata tempestiva eccezione di parte (così anche in Cass. Sez. 2, 8 marzo 1997, n. 2101)

Le Sezioni Unite, rilevato che il contrasto tra i due difformi orientamenti non ha ad oggetto l’ammissibilità o meno della prova per testi del documento, che è sempre inammissibile ai sensi dell’art. 2725 c.c., quanto piuttosto il regime di rilevabilità della predetta inammissibilità propendono per il primo degli orientamenti illustrati, basandosi sulle seguenti motivazioni:

  • quando il contratto, per la sua validità, richiede la forma scritta, i limiti di inammissibilità della prova testimoniale sono dettati da ragioni di ordine pubblico, e l’inammissibilità è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio, e non rimane mai sanata la prova testimoniale irritualmente acquisita, neppure in caso di mancata tempestiva opposizione della parte.
  • quando la forma scritta è richiesta invece per la prova del contratto, non è in discussione la validità dell’atto ma solo la questione processuale della forma della prova. In questo l’inammissibilità della prova per testi, prevista dall’art. 2725 c.c. è finalizzata a tutelare l’interesse delle parti processuali, che possono quindi anche rinunciare a fare valere la limitazione alla prova per testi.
  • L’inutilizzabilità processuale di un mezzo di prova, quando non sia in gioco un contratto con forma scritta ad substantiam, è riconducibile al regime delle nullità cosiddette “relative” ai sensi dell’art. 156 c.p.c. Essa pertanto deve essere rilevata dalla parte nel cui interesse è stabilito il requisito inosservato, e nel rispetto dei termini previsti dall’art. 157 comma 2 c.p.c.. La mancata eccezione dell’inammissibilità della prova per testi e la mancata eccezione della nullità della prova per testi comunque assunta, determinano la definitiva acquisizione della prova al processo, sanando quindi la nullità non rilevata.
  • Viceversa, quando si verte in tema di contatto scritto con forma ad substantiam, viene meno il principio di disponibilità dei fatti di causa, e la derogabili dei limiti oggettivi della prova. Pertanto, l’inammissibiltà è sempre rilevabile d’ufficio ed in qualunque stato e grado del processo, restando sempre preclusa qualunque sanatoria della prova illegittimamente acquisita.

Il principio di diritto

A seguito del ragionamento sopra descritto, la Suprema Corte, accogliendo quindi il ricorso , ha pronunciato il seguente principio di diritto:

L’inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell’art. 2725 c.c., comma 1, attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d’ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell’ammissione del mezzo istruttorio; qualora, nonostante l’eccezione d’inammissibilità, la prova sia stata egualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall’art. 157 c.p.c., comma 2, rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione”.

CASSAZIONE, SS.UU. CIVILI, SENTENZA N. 16723/2020 >> SCARICA IL PDF

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