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Una manifestazione di braccianti stranieri contro la piaga del capolarato nei campi


Un esercito di lavoratori, un esercito di fantasmi. Ma sfruttati, picchiati, dopati. E non poche volte morti di lavoro. Nella provincia di Latina vivono circa 30mila immigrati asiatici, tra regolari e irregolari, in gran parte indiani di etnia sikh, la maggiore comunità in Italia. Tra i 15 e i 18mila lavorano nei campi. Gli sfruttati sarebbero tra 5 e 8mila. E con loro anche africani, circa 500. Sono richiedenti asilo ospiti dei Cas, che gli imprenditori pagano meno, perché tanto, dicono, «avete già vitto e alloggio». Così fanno concorrenza ai sikh, costringendoli ad accettare condizioni da schiavitù.

È la risposta di caporali e imprenditori disonesti ai primi passi di sindacalizzazione e rivendicazione dei braccianti indiani, sfociato il 18 aprile 2016 col primo sciopero a Latina organizzato assieme alla Flai Cgil e alla cooperativa In Migrazione che ha nel sociologo Marco Omizzolo il principale “amico” dei braccianti, al punto da finire pesantemente minacciato. Perché la storia di questa comunità di lavoratori, concentrata soprattutto nei borghi di Bella Farnia e Borgo Hermada, è storia di tanta violenza. Frutto anche di disperazione. Ben 18 suicidi in sei anni tra i braccianti indiani. Uno degli ultimi in pieno lockdown. Si chiamava Joban Singh, 25 anni. Lavorava in nero per 500 euro al mese. Senza permesso di soggiorno. Quando viene a sapere della regolarizzazione intravede una luce di speranza. Invano bussa alla porta di vari imprenditori. Nessuno lo vuole mettere in regola. Così nella notte del 6 giugno 2020 si impicca ad una trave di casa. Ma nell’Agro Pontino, sempre tra gli immigrati, ci sono stati anche 15 morti sul lavoro tra il 2022 e il 2023, compresi quelli travolti mentre in bicicletta rientrano la sera dai campi. Sono incidenti sul lavoro, come prevede la legge, ma i fantasmi non hanno diritto ad alcuna tutela. Sempre che l’incidente non nasconda altro, una morte sui campi.

Col corpo gettato sul ciglio di una strada, come accertato in alcune inchieste, dopo essere caduto da una serra o schiacciato da un trattore. Storie simili a quella di Satnam Singh, ma solo quelle più o meno conosciute, perché, ci spiega Omizzolo, «sospettiamo che i morti siano almeno 15 ogni anno». Fantasmi anche in morte. Ma si muore anche bruciati, come il bracciante morto nel marzo 2022, carbonizzato nell’incendio del container di metallo dove lo costringeva a dormire il “padrone”. Aveva dovuto accettare questa condizione perché non aveva potuto rinnovare il permesso di soggiorno con cui era entrato in Italia. Un lavoratore in nero non lo può ottenere e nessuno lo voleva regolarizzare. Così si era ridotto a vivere in un “cassone”, nelle campagne tra Sabaudia e San Felice al Circeo, famose mete turistiche. Accanto al corpo, ci racconta sempre Omizzolo, era stato trovato un quaderno nel quale segnava le ore lavorate e le condizioni di lavoro, concludendo con una amara accusa: “Padrone ladro, padrone come mafia”. Secondo un recente studio di Amnesty International Italia «molti lavoratori agricoli indiani lavoravano 9-10 ore al giorno dal lunedì al sabato, poi mezza giornata la domenica mattina, per circa 3-3,5 euro l’ora.

Alcuni lavoratori, tutti con permessi di soggiorno validi, hanno dichiarato di lavorare sei giorni alla settimana per 4-5 euro l’ora. Solo uno dei 25 lavoratori migranti intervistati ha affermato di essere pagato 8 euro l’ora». Uno sfruttamento che, come scoperto nel 2014, portava non pochi braccianti indiani a “doparsi”, assumendo farmaci e perfino stupefacenti per sopportare la fatica o la sera per alleviare il dolore di ore e ore piegati in due sotto il sole. Sostanze spesso fornite da caporali e “padroni”, un mercato ovviamente illegale, ad alto rischio come confermato anche da alcuni casi di overdose. E le donne sikh sono trattate anche peggio. Pagate 4 euro l’ora, ma solo per 4-6 ore. Al massimo 18-25 euro al giorno. E contratti grigi. Scrivono 15 giorni ma poi ne lavorano 30, anche sabato e domenica. Sempre in piedi a riempire cassette. Ovviamente niente indennità di maternità. Anzi quando una è incinta viene subito licenziata o obbligata ad abortire. Ricatti economici e ricatti sessuali. Alcuni caporali e proprietari ci provano, soprattutto con le ragazze nuove, quelle che hanno più bisogno che devono accettare per non perdere il lavoro.

 

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